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Banche Regionali

Tutti gli effetti sistemici del crac della Silicon Valley Bank

Il fallimento di Silicon Valley Bank è un sintomo che il restringimento delle politiche monetarie sta avendo un impatto sulle economie. L'analisi di Giuseppe Sersale, strategist di Anthilia Capital Partners Sgr.

 

Il fallimento di Silicon Valley Bank e Signature Bank ha visto il suo impatto continuare sui mercati lunedì, con massicce perdite dell’azionario anche in Europa (con particolare veemenza sul settore bancario), e un collasso dei rendimenti, che ha visto le curve andare a scontare percorsi si rialzo dei tassi molto meno aggressivi, basti pensare che la future strip USA ha scontato Fed Funds inferiori al 4% a fine anno (da 5.5% di metà della scorsa settimana) e le parti brevi delle curve hanno visto contrazioni dei rendimenti di 50 bps, non più viste dalla grande recessione, o anche prima.

Se le misure varate di garanzia dei depositi e di finanziamento degli asset delle banche regionali a valore nominale hanno arrestato la fuga dei depositi, il coinvolgimento di azionisti e obbligazionisti (giusto, beninteso) nel default ha colpito il sentiment. Oltre a ciò, il fallimento di SVB e Signature, pur non avendo le caratteristiche di un evento sistemico, in grado di contagiare il sistema bancario globale, costituisce un sintomo che il tightening delle politiche monetarie sta avendo un impatto sulle economie. Se la clientela di SVB, Start up Tech e Venture Capital, è più vulnerabile, essendo vittima di un credit crunch, presto o tardi l’aumento del cost of funding raggiungerà tutti i settori economici (alcuni, come l’immobiliare, ci fanno già conti).

Riguardo le banche, sebbene SVB costituisca un caso specifico di mala gestione degli attivi e concentrazione della clientela, la sua vicenda accende un faro sui possibili effetti negativi del tightening delle politiche monetarie sui fondamentali del settore bancario:

  1. Crescente competizione nella raccolta e conseguente aumento del cost of funding
  2. Difficoltà nel reperire impieghi sufficientemente remunerativi (anche a causa dell’inversione delle curve)
  3. Possibilità di perdite latenti di entità varia nel portafoglio obbligazionario, a causa del rapido rialzo dei rendimenti
  4. Rischio di deterioramento degli asset a causa del rallentamento economico

L’impressione è che la price action di lunedì, pur con gli eccessi causati da un esplosione di volatilità su mercati, come quello europeo, caratterizzati da sentiment e positioning elevati, abbia iniziato a fattorizzare quest’ordine di problemi.

Due giorni fa si è assistito ad una pausa nella risk adversion. Evidentemente le azioni dei regulators hanno avuto un temporaneo successo nel calmare i timori. L’attenzione si è poi concentrata sulla pubblicazione del CPI di febbraio in US, che ha sostanzialmente confermato le attese, pur mostrando che effettivamente il rientro, in particolare dell’inflazione sui servizi, è lento e pieno di pause. Alla fine il tasso di crescita trimestrale della core inflation, una volta annualizzato, supera ancora il 5%, oltre il doppio del target.

Il risultato è che azionario e banche sono rimbalzati, e i rendimenti hanno recuperato parte dei cali del giorno prima, anche se i livelli di tightening prezzati una settimana fa, ovvero il 5.6% di picco dei Fed Funds e il 4% e passa di tasso ECB, sono rimasti un pallido ricordo.

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