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Panetta

Un’analisi del panettismo

Cosa ha detto e che cosa non ha detto Fabio Panetta, governatore della Banca d'Italia, nelle sue Considerazioni finali all'assemblea della Banca d'Italia.

Le prime considerazioni finali del governatore di Bankitalia Fabio Panetta, costituiscono un documento di eccezionale utilità. Niente in comune con le incolori e paludate osservazioni del suo ultimo predecessore.

Abbiamo affrontato in un primo articolo le obiezioni sul metodo. Riassumibili con la banale constatazione che l’indipendenza di Bankitalia dagli altri poteri deve essere reciproca: se il potere legislativo ed esecutivo non può occuparsi di politica monetaria, allora Bankitalia non può invadere altri campi. Altrimenti facciamo governare il Direttorio di via Nazionale e morta là.

Ora entriamo nel merito e ci concentriamo sull’economia, perché ce n’è tanta nelle parole di Panetta. E vi offriamo dieci passaggi di rilievo, sia in prospettiva che per valutare eventi ormai passati.

Un lavoro che si rende necessario, perché la modalità tipica con cui i giornali hanno trattato le considerazioni di Panetta è stata quella di riportare stralci, spesso decontestualizzati, piegandoli alle esigenze delle rispettive “curve” da stadio. Spiegazioni poche.

  1. L’EUROPA PERDE PESO NELL’ECONOMIA MONDIALE, CHISSÀ PERCHÉ…

Negli ultimi due decenni il peso della UE sul PIL globale è sceso dal 26% al 18%, mentre quello degli Usa è rimasto pressoché invariato, al 26%, e quello della Cina è quadruplicato”. Spiegato con l’“insoddisfacente dinamica della produttività”. Di fronte ad un disastro simile, soprattutto in coincidenza con un ventennio che, con l’adozione dell’euro, avrebbe dovuto mostrare un rafforzamento dell’economia della UE, ci sembra davvero una spiegazione parziale e affrettata. E perché è calata la produttività? Silenzio, come se fosse una variabile esogena. Invece idee chiarissime sulle “azioni decise in più direzioni” da intraprendere. Ma non è necessaria una buona diagnosi della malattia, prima di procedere spediti verso la terapia? Non sembra questo il caso. La terapia contiene la clamorosa ammissione della necessità di “riequilibrare il modello di crescita seguito nei due decenni passati, riducendo l’eccessiva dipendenza dalla domanda estera”. Nessuna riflessione sul perché, chi e come abbia deciso di “seguire” tale modello, come se certe decisioni fossero state prese su Marte. Due parole sarebbero state utili, soprattutto perché Panetta conosce molto bene le risposte. Invece ha fretta di farci sapere in fretta che si tratta di azioni realizzabili solo a livello europeo, perché si eviterebbero duplicazioni e si sfrutterebbero le economie di scala. Nessuna riflessione sul fatto che un abito unico non potrà mai adattarsi a 27 Paesi, ciascuno con le sue specificità e priorità e il Recovery Fund ci sta fornendo prove abbondanti in proposito.

  1. PER RIPARTIRE CI VUOLE PIÙ EUROPA, MA LA RIFORMA DEL PATTO DI STABILITÀ NON SERVE A NULLA, ANZI…E IL MERCATO DEI CAPITALI NON SI VEDE ANCORA

Ci vuole un “bilancio comunee un mercato dei capitali integrato”. Sul primo obiettivo è interessante l’ammissione che la riforma del Patto di Stabilità “non ha segnato particolari progressi, così come non ha introdotto la necessaria semplificazione delle regole”. E, di grazia, se i 27 Paesi hanno litigato per 18 mesi per partorire una riforma così insignificante, come potrebbe essere mai possibile accordarsi su un bilancio comune che valga qualcosa di più del 1,2% del PIL, così come accade oggi? Quando mai ci sarà il consenso per arrivare a dimensioni paragonabili a quelle del bilancio USA (25% de PIL). Facile sognare, ma poi le soluzioni devono essere praticabili. Soprattutto quando non si è nemmeno sicuri che il topolino della riforma “darà buona prova di sé” e “potrà rinvigorire l’economia europea”. Se non ci crede nemmeno lui…

Stesso copione sul mercato dei capitali troppo frammentato. Per migliorarlo ci vorrebbe “un titolo pubblico europeo privo di rischio” e il “completamento dell’Unione bancaria”. Panetta dimentica di aggiungere che per avere il primo, cosa ben diversa dai titoli episodicamente emessi per il Next  Generation EU, bisognerebbe cambiare i Trattati (auguri!) e che, per avere il secondo, le trattative sono bloccate da anni per insanabili dissidi tra la visione tedesca e quella italiana. Un po’ distratto come Padre Costituente europeo.

  1. LA FAMOSA SPIRALE “PREZZI-SALARI” NON FA PIÙ PAURA.

Panetta ritiene che l’inflazione rallenterà ancora nei prossimi mesi e che la crescita dei salari, fisiologica per recuperare potere d’acquisto falcidiato dall’inflazione 2021-2022, non avrà effetto sui prezzi perché “l’alta redditività consente peraltro alle imprese di assorbire i recenti aumenti delle retribuzioni”. Niente male come ammissione, che giunge però dopo aver sventolato a lungo lo spauracchio della spirale prezzi-salari, che tuttora viene spesso citata da numerosi esponenti della Bce. Invece, ormai anche le pietre sanno da tempo che i margini di profitto delle imprese sono generalmente cresciuti cavalcando e spesso provocando l’onda dell’inflazione e che c’è abbondante spazio nei loro conti per assorbire gli aumenti salariali.

  1. POLITICA MONETARIA TROPPO RESTRITTIVA?

Con la discesa dell’inflazione e tassi nominali invariati, stiamo già assistendo a un aumento dei tassi reali, con ulteriore effetto restrittivo ed è quindi preferibile “un’azione tempestiva e graduale” rispetto a una “tardiva e precipitosa”. Massimo Catalano, indimenticato re dell’ovvio ai tempi di “Quelli della notte” di Renzo Arbore, avrebbe condiviso.

  1. IL VENTENNIO PERDUTO DELL’ITALIA.

In Italia nel 2000 il reddito per ora lavorata era inferiore del 5% circa rispetto alla media dell’eurozona. Nel 2023 siamo a -15%, con punte di -25% rispetto a Francia e Germania. La colpa pare che sia attribuibile alla stagnazione della produttività, a sua volta frenata da insufficienti investimenti. La solita visione “offertista”. Ma se la domanda langue – depressa anche da politiche di bilancio restrittive e razionamento del credito – perché si dovrebbe investire? Il solito mistero irrisolto per gli offertisti, tutta produzione a favore dei consumatori di… Marte.

  1. LA RIPRESA POST PANDEMICA È STATA ROBUSTA GRAZIE AGLI INCENTIVI PUBBLICI.

Panetta ammette che la ripresa è stata sostenuta da una significativa ripresa degli investimenti “sostenuta anche da incentivi fiscali (generosissime)”. Parla del Superbonus e di Transizione 4.0 per gli investimenti ad alto contenuto tecnologico delle imprese. Si discuterà a lungo se altre misure avrebbero potuto dare maggiori benefici in termini di crescita. Aspetto niente affatto banale. Ma non si può certo dire che gli ingenti deficit pubblici del 2021-2022-2023 non abbiamo prodotto effetti. Poi ha aggiunto un dato sottovalutato: oggi la nostra posizione verso l’estero è creditoria per 155 miliardi (7,4% del PIL), mentre dieci anni fa eravamo al -23% del PIL. Significa che i rilevanti avanzi della bilancia commerciale si traducono in risparmio privato che resta investito all’estero, con i nostri connazionali che hanno fatto incetta di fondi comuni, azioni e obbligazioni estere, soprattutto USA.

Spazzato via in poche righe il vetusto luogo comune sulle nostre imprese che non hanno agganciato la rivoluzione tecnologica. Abbiamo 13,4 robot ogni 1.000 addetti, ai vertici in Europa. Dal 2019 è stata raddoppiata la quota di investimenti in tecnologie digitali. A beneficio delle tante (troppe) spiegazioni farlocche sulle cause del declino dell’Italia.

  1. DEMOGRAFIA E CRESCITA. SERVE PIÙ IMMIGRAZIONE?

Questo è probabilmente il passaggio peggio interpretato e banalizzato. Panetta parte dalla constatazione che la dinamica demografica fino al 2040 determinerà un calo di “5,4 milioni di persone in età lavorativa” (non di occupati, attenzione!). La conseguenza sarebbe un calo del PIL del 13%, e del 9% in termini pro capite. Premesso che si tratta di stime da prendere con mille cautele, le soluzioni sono diverse e l’immigrazione arriva solo al termine. Invece ha prevalso una lettura a senso unico.

Prima di tutto, Panetta richiama l’attenzione sulla scarsa partecipazione al mercato del lavoro che si registra in Italia (66,7%, 8 punti in meno rispetto alla media UE). Molte persone non entrano nemmeno nel computo dei disoccupati perché un lavoro nemmeno lo cercano, soprattutto tra giovani e donne (tasso di occupazione solo al 52,5%). E su questo punto le proposte di Panetta non mancano. Si arriverebbe così, aumentando la percentuale degli occupati, a mantenere invariato il numero assoluto di occupati. Solo a questo punto Panetta aggiunge l’ovvio e cioè che – premesso che con più occupati aumenta il PIL – un maggiore flusso di immigrazione potrebbe aiutare. Ma aggiunge che “vanno bilanciate le esigenze delle produzione con gli equilibri sociali, rafforzando le misure di integrazione dei cittadini stranieri”. Esattamente il contrario dell’accoglienza indiscriminata alimentata dal traffico clandestino degli immigrati, che piace tanto alla gauche caviar.

A placare gli entusiasmi per questo tipo di crescita, proprio qualche giorno fa sul Wall Street Journal è apparso un intervento magistrale, in cui si sostiene che è vero che buona parte della recente crescita economica degli USA è stata prodotta dai massicci flussi di immigrazione, spesso irregolare. Ma che si tratta di una politica insostenibile nel lungo termine, perché basata sull’illegalità. Esattamente il contrario della certezza delle regole necessaria per una ordinata crescita economica. Vogliamo crescere anche noi con l’immigrazione clandestina, facendo saltare i già precari equilibri sociali?

In ogni caso quegli aumenti di occupazione, comunque ottenuti, sono poca cosa (”apporto modesto”) ai fini della crescita, rispetto all’importanza della maggiore produttività.

  1. PRODUTTIVITÀ E COME OTTENERLA

Investimenti in ricerca e sviluppo, che devono essere sostenuti da “interventi pubblici mirati”. A questo proposito, Panetta si spinge – fingendosi capo del Governo – a chiedere un raddoppio dell’aliquota per il credito di imposta per la ricerca e sviluppo. Interessante, per incentivare nuove imprese nei settori a tecnologia avanzata, la spinta a favore del venture capital, che è sottodimensionato in Italia. A questo proposito ci limitiamo a condividere la proposta di Panetta di rimuovere alcuni ostacoli normativi.

Avrebbe potuto fermarsi qui, invece Panetta affronta il ruolo dello Stato per favorire la produttività e si avventura in un discutibile panegirico delle mitologiche “riforme” del PNRR. Ci permettiamo di esprimere qualche dubbio su “incrementi di produttività stimabili tra 3 e 6 punti (complimenti per la precisione!) in un decennio”. Soprattutto se i modelli econometrici sono gli stessi che avevano calcolato la spesa presunta per il Superbonus, con un errore pari a 10 volte.

Convince ancora meno il discorso sulla “zavorra” o “fardello” del debito pubblico. Che è un problema a causa della relativa spesa per interessi. Ma perché dire che “sottraggono risorse all’innovazione e allo sviluppo”? Si tratta di una spesa come un’altra, certamente non discrezionale e controllabile. Però si potrebbe dire lo stesso di qualsiasi altra maggiore spesa o di qualsiasi altra minore entrata. Tutto dipende sempre dagli effetti sul PIL e buona parte degli interessi finiscono nelle tasche di soggetti residenti, non vengono bruciati in un falò. Perché gli investitori dovrebbero desiderare un sentiero “credibile” di riduzione del debito, per accontentarsi di rendimenti minori? Gli investitori vogliono capacità del debitore di ripagare gli interessi (il capitale si rinnova sempre) e sappiamo com’è finita l’ultima volta che qualcuno (Monti?) ha proposto piani “credibili” di riduzione del debito…

  1. COME STANNO LE BANCHE? MOLTO BENE. MA ATTENZIONE AI RISCHI DELLE TECNOLOGIE INFORMATICHE.

Panetta non può che ammettere ciò che vi abbiamo raccontato ormai mesi fa. L’aumento dei tassi si è subito riflesso sugli impieghi e molto più lentamente sulla raccolta, con conseguente esplosione dei margini. E non sembrano in vista significativi aumenti delle sofferenze.

Molto interessante il riferimento all’importanza delle nuove tecnologie per migliorare l’efficienza nell’offerta di servizi finanziari ma Panetta avverte dei rischi connessi a servizi erogati “da terze parti” (alcuni esternalizzati a migliaia di chilometri) ed evidenzia che gli incidenti cibernetici gravi segnalati dalle banche sono triplicati nel 2023. “L’esternalizzazione non deve mettere a rischio la sana e prudente gestione degli intermediari”, ha ammonito. E se ha ritenuto di usare toni così allarmati, il problema deve essere già esploso da qualche parte. Resta da capire se e come, con questi dubbi, sia possibile procedere senza timori sulla strada dell’euro digitale, trascurando l’infrastruttura fisica a partire dal contante.

  1. L’EUROPA NON FUNZIONA? ALLORA CE NE VUOLE DI PIÙ.

Lascia davvero interdetti il pistolotto finale a favore “dell’avanzamento dell’integrazione europea”. Panetta ha un’adesione fideistica verso le magnifiche sorti e progressive della UE. Nessun dubbio. Solo granitiche certezze ma, a giudicare dalle prestazioni degli ultimi 20 anni, sarebbe almeno legittimo avere qualche dubbio.

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