Ieri c’è stato l’esordio di Fabio Panetta, Governatore della Banca d’Italia, nel ruolo di autore delle rituali considerazioni finali.
Tradizionale occasione per fare il punto sul passato, presente e futuro della politica economica del Paese e Panetta non ha deluso le attese. Prosa efficace e rigorosa senza dare spazio a fronzoli e prese di posizione nette, non ambigue.
Tanto nette che, alla fine della lettura, siamo stati colti da un dubbio. È un discorso di insediamento di un capo di Governo? L’ha scritto Giorgia Meloni? Può un’istituzione che fa dell’indipendenza il suo tratto distintivo – perché ci raccontano che la politica monetaria deve essere sottratta al governo di politici troppo miopi – dettare un’agenda con soluzioni così squisitamente politiche?
Troppo comodo pontificare dall’alto della (presunta) superiorità tecnica in virtù della quale si gestisce – senza contraddittorio – alcune leve di politica economica e prendersi la licenza di esondare con prescrizioni puntuali e niente affatto neutrali relative a tutto l’ampio spettro della politica economica del Paese.
Attenzione, qui non ne facciamo una questione di merito, perché le ipotesi di lavoro di Panetta sono talvolta condivisibili, ma di metodo. Se il modello di sviluppo della UE è crollato sotto i colpi della deglobalizzazione, della frammentazione e del protezionismo e quindi “occorre innanzi tutto riequilibrare il modello di crescita seguito nei due decenni passati, riducendo l’eccessiva dipendenza dalla domanda estera”, lui ha già le soluzioni: ampliare e valorizzare il mercato unico, ridurre la dipendenza energetica della Ue e puntare sulle tecnologie avanzate.
Peccato che quel modello di crescita, i cui squilibri erano evidenti sin dall’origine, sia stato osannato fino a un attimo prima della pandemia. Anche da Bankitalia e da Panetta che oggi ci dicono che bisogna voltare pagina, senza nemmeno ammettere di essersi sbagliati. Ma sono soluzioni la cui valutazione ed esecuzione richiedono una legittimazione democratica? O siamo già al governo degli Ottimati?
E siccome fare tutto ciò costa moltissimo, il realizzatore di tale vaste programme deve essere la UE, con una politica di bilancio comune (non i quattro spiccioli di oggi), un mercato dei capitali integrato e il completamento dell’Unione bancaria.
Le tecnologie avanzate sono la via maestra per condurre al tanto agognato aumento della produttività (parola che ricorre per ben 20 volte), unica via per rilanciare la crescita in Italia.
Ma da soli non ce la faremo mai perché (udite, udite…) “l’avanzamento dell’integrazione europea è la risposta ai mutati equilibri geopolitici e al rischio di irrilevanza cui i singoli Stati membri sarebbero altrimenti condannati dalla cruda aritmetica dei numeri”. Per chi fosse ancora dubbioso nel sol dell’avvenire, ha aggiunto in chiusura che “l’agenda è chiara, e può essere realizzata. E va realizzata per tornare a crescere e per contare in Europa, e con l’Europa contare nel mondo”.
Temevamo concludesse con “credere, obbedire, combattere” ma ci ha graziato con “L’Italia ha concorso a fondare l’Unione europea: ora può e deve concorrere al suo progresso. È con la forza di questa prospettiva che dobbiamo guardare con fiducia al futuro.”
E se fosse esattamente il contrario? E cioè che l’avanzamento dell’integrazione europea può solo peggiorare la situazione, con ciò finendo realmente “condannati” e che, finora, la UE ha prevalentemente frenato il progresso del Paese?
Sfruttando una citazione ormai di uso comune, se “l’agenda è chiara” (almeno a lui), Panetta fondi un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende… Altrimenti, se intende restare “al riparo dal processo elettorale”, è meglio occuparsi solo di politica monetaria e lasciare al Parlamento ed al Governo, dotati di legittimazione democratica, tutto il resto.