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Fit For 55

Energia e non solo, tutti gli ultimi disastri dell’Ue

Il corsivo di Giuseppe Liturri

 

“Gli uomini fanno progetti e gli Dei sorridono”. Viene in mente questa frase dello scrittore israeliano Meir Shalev per commentare la triste fine che, per ben due volte in meno di due anni, stanno facendo tutti i piani della UE.

Si chiami Covid e relativa gestione (disastrosa per l’economia e di dubbia efficacia per la salute) delle misure di contenimento, o si chiami guerra Russia-Ucraina, appena c’è bisogno di strumenti per fronteggiare una crisi, la cassetta degli attrezzi di Bruxelles si dimostra desolatamente vuota e si deve correre ai ripari nottetempo, facendo un unico falò di tutti i regolamenti minuziosamente scritti dai Mandarini della Commissione.

Vale la pena di ricordare che il 18 marzo la BCE dovette intervenire inventandosi il piano straordinario di acquisti PEPP, sul filo della violazione dei Trattati, per mettere una toppa al clamoroso buco aperto nei mercati finanziari solo 6 giorni prima, con l’ormai famoso “non siamo qui per ridurre gli spread” pronunciato dalla Presidente Christine Lagarde. La quale presumeva – sbagliando di grosso – di essere in pieno controllo della situazione con gli strumenti a sua disposizione.

Merita anche di essere ricordata la sostanziale rottamazione del Patto di Stabilità e Crescita, che si è rivelato un pacchetto di regole capace solo di ridurre la crescita in tempo di pace, e buono a nulla, e perciò levato precipitosamente di mezzo, in tempi di recessione.

Quando, tra mille esitazioni, si stava nuovamente pianificando la normalizzazione delle leve di politica economica della UE (sia sul fronte monetario che dei bilanci pubblici), sono bastati tre giorni di guerra per fare nuovamente vacillare le decisioni di Bruxelles: sono riapparsi dubbi sul termine della sospensione del Patto si Stabilità (prevista per il 2022) e sul rialzo dei tassi e sul termine degli acquisti di titoli da parte della BCE.

Ma non solo. Si rischia di rottamare in modo fragoroso due fiori all’occhiello della politica economica voluta dalla Commissione su spinta del socio egemone tedesco:

1) il Green Deal europeo attuato dal programma lanciato a luglio 2021 “Fit for 55” (raggiungere entro il 2030 la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 55% rispetto ai livelli del 1990, con l’obiettivo di arrivare alla “carbon neutrality” per il 2050)

2) Il Next Generation UE (NGEU), il cui pilastro è la spesa del 37% a favore della transizione ecologica.

La crisi di questi giorni ha solo acuito le tensioni già manifestatesi nei mesi scorsi, ora drammaticamente a nudo:

1) I tempi insostenibilmente compressi del Green Deal hanno provocato tensioni sul mercato delle materie prime e delle fonti energetiche, gettando la UE sull’orlo della recessione a causa di un’inflazione salita oltre il 5%.

2) La transizione ecologica del NGEU è diventata il libro dei sogni davanti alla scelta necessaria di riavviare le centrali a carbone, per sopperire ai prevedibili problemi nelle forniture di gas provenienti dalla Russia e dai suoi alleati. Ma vi è di più. Abbiamo anche improvvisamente scoperto di aver sbagliato la strategia di approvigionamento delle nostre fonti energetiche negli ultimi 20 anni, tutta eccessivamente sbilanciate sulla strategia di stampo tedesco “gas dalla Russia – incentivi alle rinnovabili”. Oggi scopriamo che il gas di Mosca potrebbe scarseggiare e che le rinnovabili richiedono tempi lunghi e non offrono stabilità di offerta e possibilità di stoccaggio.

È proprio vero. Gli Dei stanno sorridendo di fronte a tale disastro, imposto alla UE dagli interessi tedeschi.

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