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Banca Centrale Cinese

Come va (male) l’economia cinese

Nel secondo trimestre il Pil della Cina è cresciuto ben al di sotto dell'obiettivo previsto. Il Dragone è in difficoltà: ecco perché. L'articolo di Marco Orioles

Sull’economia cinese tira una brutta aria. La crisi strisciante che sta mettendo in serie difficoltà il Dragone negli ultimi mesi non è dovuta solo alla controversa politica zero-covid, i cui effetti devastanti vengono evidenziati da tutti gli analisti, ma a una serie di fattori concomitanti che hanno contributo a fare precipitare verso il basso molti indicatori rilevanti.

Per fare il punto sulla situazione attingeremo da una analisi condotta da Roberto Rossignoli per Moneyfarm, che completeremo con uno spunto tratto dalla rivista Quartz.

Crescita del Pil inferiore alle attese

Cominciamo con i dati del Pil, che nel secondo trimestre è cresciuto di appena lo 0.4% rispetto al 2021, ben al di sotto dunque dell’obiettivo previsto dell’1% e molto inferiore della crescita del 4,8% registrata nel primo trimestre.

Come osserva Rossignoli, si tratta per la Cina del peggior risultato dal 1992, eccezion fatta per la contrazione record del 6,9% registrata nel primo trimestre del 2020 a seguito della prima ondata della pandemia.

Segnali deboli dal manifatturiero

Ha mancato i propri obiettivi anche la produzione industriale, aumentata del 3,9% anno su anno contro le previsioni di una crescita del 4,1%. Coerenti con questa tendenza sono la crescita della produzione del settore manifatturiero (3,4% contro 0,1% a maggio), di quello dei servizi pubblici (3,3% contro 0,2%) e della produzione mineraria (8,7% contro 7%).

Le nefaste conseguenze della politica zero-covid

Ci sono poi le conseguenze dirette delle chiusure determinate dalla rigida posizione del Partito, con blocchi totali o parziali nei principali centri del Paese. A fare peggio di tutti è Shangai che ha registrato su base annua una impressionante contrazione del Pil pari al 13,7% mentre a Pechino la contrazione si è ridotta al 2,9%. Qui Rossignoli osserva che, se a giugno molte restrizioni sono state revocate, e i dati economici hanno mostrato timidi segnali di miglioramento, non sembra probabile una rapida ripresa economica come avvenuto immediatamente dopo la prima ondata di Covid.

Data l’attuale rigida impostazione della politica di contenimento dei contagi decisa dal Partito, Moneyfarm ritiene difficile che la Cina raggiunga l’obiettivo di una crescita di circa il 5.5% per il 2022. “Le previsioni parlano infatti”, scrive Rossignoli, “di un rallentamento del 4% (mentre) i mercati finanziari cinesi sono inquieti, le azioni ondeggiano (e) lo yuan è sceso al minimo contro il dollaro dal settembre 2020”.

Boom della disoccupazione giovanile

Una conseguenza diretta della politica zero-covid è il boom della disoccupazione giovanile, che a giugno ha lambito la soglia del 20% in un altro record tutto negativo per Pechino.

Crisi del Real Estate

Ma un fattore che sta influenzando negativamente l’economia cinese è la crisi del mercato immobiliare, che dalla fine del 2021 sta sperimentando un momento di grave difficoltà. Altri colossi del Real Estate nazionale hanno seguito la scia dl noto caso Evergrande, indebolendo ulteriormente il settore.

Le conseguenze le hanno pagate in prima persona i cittadini che avevano comprato casa prima che questa fosse finita e che sono clamorosamente scesi in piazza dichiarando alle banche e alle autorità di regolamentazione di non avere intenzione di pagare i loro mutui.

Balance-sheet recession?

Su questo punto specifico interviene l’analisi di Quartz, secondo cui la Cina potrebbe essere entrata nel vortice di una inedita “recessione da bilancio patrimoniale (balance-sheet recession)”.

L’espressione è stata coniata dall’economista taiwanese-americano Richard Koo per descrivere una situazione in cui si registra il collasso del valore degli asset di famiglie e imprese: una condizione che penalizza pesantemente i loro bilanci spingendole a risparmiare di più e a investire di meno, con una combinazione che ha l’effetto di causare una contrazione economica.

Gli economisti come Koo sono convinti che sia difficile risalire la china di una recessione di questo tipo, visto che la politica monetaria diventa largamente inefficace in quanto coloro i quali si ritrovano con n bilancio patrimoniale precario si rifiutano di prendere in prestito denaro anche a fronte di bassissimi tassi di interesse.

L’ipotesi che la Cina stia vivendo una condizione di questo tipo è oggetto di intense discussioni negli ultimi tempi da parte degli economisti cinesi. Il mese scorso ad esempio il China Finance 40 Forum ha pubblicato un working paper il cui focus erano proprio i bilanci compromessi delle aziende private cinesi del Real Estate, che sarebbero in una condizione di stress a causa delle restrizioni pandemiche, del debito eccessivo, della crescita contenuta e di una stretta regolatoria che ne ha inficiato i modelli di sviluppo.

Come scrivono gli autori del paper, “il quadro macroeconomico cinese sperimenterà probabilmente una debole espansione (proprio) a causa dei bilanci danneggiati”.

A nutrire le stesse convinzioni è l’economista di Pantheon Economics Craig Botham, citato da Quartz, che così scrive in una recente nota: “pensiamo che la Cina sia entrata nel secondo quadrimestre in una recessione da bilanci patrimoniali”, con i valori degli asset compromessi dalla “combinazione della situazione sfavorevole del mercato immobiliare, delle misure restrittive sul settore hi-tech e della politica zero-covid”.

Chi non concorda su queste valutazioni è Vishrut Rana, economista di S&P Global, che nega l’esistenza di una recessione di questo tipo. A suo avviso i rischi macroeconomici sono limitati esclusivamente al settore del Real Estate, che sta sì sperimentando una crisi dei bilanci ma non al punto tale da innescare una recessione economica.

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