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Agcom Tim

Ecco le tasse (non) pagate da Facebook, Google, Amazon, Apple, Microsoft e Netflix

Facebook, Google, Amazon, Apple, Microsoft e Netflix hanno messo in atto strategie che erodono la base imponibile, pagando sempre meno tasse in America, in Italia e nel resto del mondo, secondo il report di Agcom

 

Agcom fa i conti dell’impatto del Coronavirus nel settore delle telecomunicazioni: l’effetto negativo prodotto dall’epidemia nel settore è stimabile tra i 4 e i 6 miliardi, per l’Italia. Ancora pochi i soldi che arrivano dal fatturato delle big tech (che però non versano imposte adeguate nemmeno all’America) e diverse le diseguaglianze digitali.

Ecco alcuni aspetti dell’approfondimento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, “Le comunicazioni nel 2020”.

LE TASSE DEI BIG TECH ALL’AMERICA

Partiamo da uno degli argomenti più discussi del momento: la pressione fiscale sulle big tech. Secondo quanto si legge nel report Agcom, “a livello internazionale è stato stimato che sei tra le principali piattaforme digitali mondiali, in dieci anni, hanno versato complessivamente solo il 54% delle imposte che avrebbero dovuto versare all’amministrazione americana”.

LO STUDIO FAIR TAX MARK

Le parole di Agcom si rifanno ad uno studio realizzato a dicembre 2019 da Fair Tax Mark, in cui si analizza la condotta fiscale nell’arco di un decennio (2010-2019) delle americane Facebook, Google, Amazon, Apple, Microsoft e Netflix. Risultato? Tutte e sei le aziende hanno messo in atto una politica che andava ad erodere la base imponibile.

“Le imposte pagate sono state sistematicamente inferiori rispetto a quelle che sarebbero emerse se fossero state calcolate in base alle aliquote fiscali teoriche pro tempore vigenti. L’aliquota media fiscale effettiva, infatti, è risultata solo del 16,2%, a fronte di quella teorica degli Usa, che in media è stata del 28%. Non solo, le imposte pagate si sono rivelate anche molto più basse di quelle che avrebbero dovuto versare se calcolate all’aliquota media annua del 23,7% delle altre imprese nei Paesi dell’Oecd”, scrive l’Agcom su dati dello studio Fair Tax Mark.

LE TASSE PAGATE IN ITALIA

Anche in Italia i colossi tech pagano meno del dovuto. Se è vero, come scrive Agcom, che nel settore è “da evidenziare la crescente rilevanza delle entrate da vendita di pubblicità quale fonte di finanziamento principale del settore dei media e in particolare dei ricavi da pubblicità online che rappresentano oramai la prima fonte pubblicitaria superando ampiamente i 3 miliardi di euro all’anno”, è anche vero che solo una piccola parte dei servizi forniti in Italia viene fatturato nel nostro Paese.

“Negli ultimi 3 anni circa il 60% dei servizi online è stato fatturato da società estere, sottraendo ricavi che non hanno concorso alla formazione di reddito imponibile in Italia per complessivi 4,4 miliardi di euro”, precisa l’Autorità.

L’IMPATTO DEL COVID

L’autorità, per il 2020, prevede un valore complessivo del settore delle comunicazioni che potrebbe scendere a fine 2020 al di sotto dei 50 miliardi di euro, con una perdita rispetto al 2019 dai 3 ai 5 miliardi, corrispondente a una variazione compresa tra il -6% e il -10%.

“Guardando a quello che avrebbe potuto essere l’andamento complessivo del sistema delle comunicazioni nel 2020 in assenza dell’evento congiunturale, l’effetto negativo prodotto dall’epidemia è stimabile tra i 4 e i 6 miliardi”, specifica Agcom.

LE DISEGUAGLIANZE DIGITALI

Il Covid non ha solo portato meno entrate. Il lockdown ha fatto emergere anche le disuguaglianze digitali del Paese. Un dato su tutti: il 12,7% degli studenti non ha usufruito della didattica a distanza durante l’emergenza legata al coronavirus.

LA COPERTURA

Da sottolineare anche la scarsa domanda dei servizi digitali. “A fronte di livelli di copertura territoriale che potenzialmente consentono all’88,9% delle famiglie italiane di accedere a servizi internet con velocità maggiori o uguali a 30 Mbps, solo il 37,2% di esse possiede effettivamente una simile connessione”, scrive Agcom.

Qui il report completo. 

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