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Tunisia

Ecco l’agenda di politica economica di un governo serio

Quale politica economica per il prossimo governo? L'analisi di Gianfranco Polillo

 

Qualcuno avrà pensato, mentre la sua voce echeggiava nel grande salone stucchi e specchi del Quirinale, è il solito Renzi. La sua ostinazione nell’imporre agli altri la sua agenda politica. Quell’insistere sui grandi temi della politica nella drammatica situazione italiana. Quel suo continuo argomentare contro chi ha voluto, ed ancor insiste, nel ricondurre la crisi di governo ad incomprensioni e risentimenti. Nemmeno fossimo di fronte ad uno dei tanti episodi del “Grande fratello”. E poi, mentre sullo sfondo deflagrava il caso indecente dei transfughi, direttamente organizzati da Palazzo Chigi, di nuovo il discorso sulla facilità, con cui, Italia Viva aveva rinunciato ai posti di governo.

Sorprendente la distanza tra questa impostazione e le stesse domande dei giornalisti, presenti alla conferenza stampa, subito dopo i colloqui con il Presidente della Repubblica. Tutte protese a riportare il dibattito nello spazio angusto della politica politicante, nella logica del Manuele Cencelli. Conte ter si, Conte ter no. Come se questo fosse il dilemma vero del Paese. E non gli elementi di un quadro che più fosco non si può.

Si rischia – questo dice Renzi – di dissipare il tesoro del Recovery Fund. Quei 209 miliardi, che non è manna piovuta dal cielo, ma un prestito che deve evitare di alimentare solo un “debito cattivo”. C’è una dura battaglia da combattere contro Covid–19, evitando trionfalismi fuori luogo. L’Italia è ancora il Paese che ha il maggior numero di morti in proporzione alla sua popolazione. Per non parlare, infine, della next generation, ma non nel senso delle facility della Ue, bensì di quella in carne ed ossa, che in Italia mostra i più evidenti segni di sofferenza. Per averne contezza, basta guardare alle statistiche della stessa Commissione europea, impietose nel mostrare il fossato, in cui sono cadute le nuove generazioni italiane, rispetto a quelle degli altri Paesi del Continente.

Problemi che sono sullo sfondo, ma che incidono direttamente sul decorso della crisi. Coerenza vuole, infatti, che prima di parlare di chi dovrà guidare la macchina si decida dove dirigersi – la parabola di Renzi – con quali compagni d’avventura e, solo alla fine, a chi cedere il volante. Ma ancor prima che tutto questo accada, una domanda pregiudiziale: gli altri sono d’accordo? Accettano la compagnia di Italia Viva, dopo i veleni dei giorni precedenti? Per verificare se questa strada sia percorribile c’è bisogno di un esploratore: che si dia pertanto l’incarico, il mandato esplorativo, ad una figura terza. A chiunque, ma non, e per ovvie ragioni, a Giuseppe Conte. E poi si vedrà.

Si vedrà se sarà possibile giungere ad un governo politico o ad uno istituzionale. Alternativa drammatica, per molti aspetti, che dà tuttavia la misura della crisi. E che solleva più di un interrogativo: siamo alla fine di un ciclo? Risposta difficile, se si rimane all’interno della volatilità di una politica esclusivamente politicante. Qualche barlume: se si tenta, invece, un bilancio di questi ultimi anni, mettendone in luce i punti di forza, sebbene finora più che sottovalutati, e quelli di debolezza.

Per una volta tanto diamo per scontato il lungo elenco delle cose che non vanno: debito, produttività totale dei fattori (che è tuttavia diversa da quella che caratterizza la sola manifattura) squilibri territoriali, disuguaglianze di carattere sociale, che la pandemia ha esasperato. Partiamo invece dai punti di forza. Uno ma eccezionale: il rapporto con l’estero. Dal 2012 in poi gli scambi producono un surplus sempre più consistente, che nemmeno il crollo del commercio internazionale è riuscito a stoppare. Fatto insolito nella storia nazionale. Nell’immaginario collettivo, l’Italia é stata sempre considerata un Paese senza materie prime e quindi con un deficit cronico della sua bilancia dei pagamenti.

Invece da quell’anno il surplus è stato sempre consistente, intorno al 2,5 per cento del Pil. In compagnia di Paesi maggiori, come la Germania, e minori, come l’Olanda, la Danimarca o il Lussemburgo. Ma con un volume che la colloca al terzo posto della specifica classifica europea ed una persistenza a prova di bomba. Secondo le ultime valutazioni della Banca d’Italia, confortate da un più generale consensum a livello internazionale, il saldo positivo della bilancia dei pagamenti, nel prossimo triennio (2021–23) sarà pari, in media, al 3 per cento, all’anno. Il che significa un corrispondente eccesso di risparmio, rispetto ai volumi del possibile investimento. Circa 50 miliardi di euro all’anno. Soldi messi a disposizione dell’estero.

C’è stato in Italia qualcuno, salvo Paolo Savona, che si sia mai occupato di questo problema, cogliendone le implicazioni per una diversa politica economica? Non risulta. Ed in Europa? Sembrerebbe di sì, almeno a giudicare da molti documenti. Quindi grande sorpresa ed un pizzico di sconcerto. Ma se non frega niente ai diretti responsabili del Paese interessato, dicono i responsabili della Commissione europea, perché dannarsi inutilmente?

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