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Ecco la strategia del governo Draghi sul debito pubblico

La variabile principale per abbattere il debito pubblico è la crescita del Pil. Meglio ancora se ad esso si accompagna un’inflazione limitata. Ed allora, se le altre variabili del quadro macroeconomico lo consentono, l’unica vera chance è quella di una politica espansiva, che punti direttamente a rivitalizzare l’economia.

Nei numeri dell’ultimo Def, il documento che anticipa ciò che dovrebbe succedere da qui a fine anno, c’è un piccolo mistero, che va attentamente esaminato. Si scoprirà allora la logica più profonda che sovrintende agli equilibri di finanza pubblica, fornendo una delle chiavi, forse la più importante, per venire a capo del principale rebus italiano: costituito, com’è noto, dall’eccesso di debito pubblico. Uno squilibrio che, in passato, ha giustificato politiche di austerity, che purtroppo hanno fatto più male che bene.

Le cifre sono impietose. L’anno passato, secondo una tabella analitica del documento (si veda a pag. 95) il rapporto debito pubblico/Pil era cresciuto di 21,2 punti. L’incremento più alto mai verificatesi in tempo di pace. A dimostrazione ulteriore che quella che stiamo vivendo, con quello sterminato numero di morti da pandemia, oltre 110 mila, altro non è che una vera e propria guerra. I cui effetti tossici si riflettono su tutte le condizioni della nostra vita. Compreso il movimento dei grandi aggregati finanziari.

Il Def spiega come questo sia avvenuto. Il deficit di bilancio è risultato essere pari al 9,5 per cento. Cifra che può essere così scomposta: 3,5 per gli interessi ed il resto, ed il 6 per cento (disavanzo primario) per le minori entrate dovute alla sottostante crisi economica e la maggiore spesa soprattutto per gli interventi di carattere sociale.

Il Def mette in tabella solo questa seconda cifra. Aggiunge, poi, un dato che indica con il termine: effetto snow-ball. Di che si tratta?

In italiano, la traduzione è: palla di neve. La valanga che si determina nel momento in cui un piccolo smottamento dalla cima di una montagna si trasforma in una slavina. Da un punto di vista finanziario, riflette la differenza che intercorre tra il tasso di crescita del Pil nominale ed il saggio d’interesse. Se il primo supera il secondo, il rapporto debito/Pil scende, altrimenti sale. C’è poi un terzo elemento: “Aggiustamento stock-flussi”. Si tratta di entrate più o meno straordinarie legate, ad esempio alle privatizzazioni, o altre scelte gestionali. La loro incidenza, almeno nelle previsioni fino al 2024, è notevolmente limitata: non superiore a 0,2 punti base.

Veniamo agli importi. Nel 2020 il rapporto debito/Pil è aumentato di 6 punti, per effetto del disavanzo primario, l’effetto snow-ball ha inciso per 14,8 punti, mentre l’aggiustamento è stato pari a 0,4. La somma di questi fattori dà 21,2, che sono pari all’aumento che si è registrato. Il rapporto debito/Pil è infatti passato dal 134,6 per cento al 155,8. Come hanno inciso i diversi fattori? Il disavanzo primario per il 28,3 per cento, l’effetto snow-ball per il 69,8 per cento e l’aggiustamento per l’1,8. Facili allora le conclusioni: la differenza tra il tasso di decrescita del Pil nominale e il saggio d’interesse ha avuto un effetto più che doppio (2,47) rispetto al disavanzo.

Lo schema applicato al 2021 dà risultati a loro volta coerenti. In questo caso il deficit di bilancio è ancora maggiore: pari, secondo le previsioni, all’11,8 per cento, contro il precedente 9,5; ma, in questo caso, il Pil nominale, invece di decrescere come avvenuto l’anno precedente è previsto aumentare del 5,2 per cento. Di conseguenza ad un disavanzo primario anche maggiore (8,5 contro il 6 per cento) corrisponde un effetto snow-ball che ne riduce l’impatto. Per cui il rapporto deficit/Pil aumenta solo di 4 punti, invece dei 21,2 dell’anno precedente.

Facile quindi individuare la morale sottesa ai dati che sono stati forniti. La variabile principale per abbattere il debito pubblico è la crescita del Pil. Meglio ancora se ad esso si accompagna un’inflazione limitata. Ed allora, se le altre variabili del quadro macroeconomico lo consentono, l’unica vera chance è quella di una politica espansiva, che punti direttamente a rivitalizzare l’economia. Il che significa: investimenti più riforme. A partire da quella fiscale e dalla giustizia civile e penale.

La riforma fiscale è necessaria non tanto per accentuare il carattere progressivo dell’imposta. Dato che lo scarto tra il contributo offerto dai ceti più abbienti e il contribuente medio, nel caso dell’Irpef, è più che rilevante. Ma per adeguare un sistema fiscale vecchio di decenni alle mutate condizioni che regolano lo sviluppo economico e sociale del Paese. La strada più sicura per abbattere quei livelli di evasione e di elusione fiscale che oggi ripugnano alla coscienza civile del Paese. Quindi nessuna concessione all’assistenzialismo, ma rigore nell’utilizzo delle maggiori risorse finanziare, che un deficit di bilancio più consistente può garantire. Solo così, infatti, al deficit più alto corrisponderà un tasso di crescita del Pil ancor maggiore, per cui il rapporto debito/Pil tenderà, comunque, a decrescere.

L’uovo di Colombo? In teoria sì. In pratica, molto meno. Gli ostacoli non sono tanto di natura economici, ma psicologici e politici. Fin quando nel fondo della società italiana prevarranno quei valori che, nel corso dei decenni passati, hanno portato a questa stagnazione decennale, sarà difficile uscire dal fosso in cui il Paese è stato cacciato.

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