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Ecco il vero piano (giusto) di Fitto sul Pnrr

Parole e linee d'azione del ministro per gli Affari europei e il Pnrr, Raffaele Fitto, contro i difensori acritici a Roma e Bruxelles della rigida impostazione iniziale del Pnrr. L'analisi di Giuseppe Liturri

Ieri eravamo stati facili profeti nel commentare l’attacco ricevuto dal ministro Raffaele Fitto sulle pagine del Corriere della Sera in relazione alla sua gestione del PNRR e dei rapporti con Bruxelles.

Lo scontro politico che Fitto aveva cercato finora di evitare, non alimentando polemiche pretestuose, è esploso in giornata, quando il ministro che ha la delega per l’attuazione del PNRR non ha potuto non replicare “alle rappresentazioni macchiettistiche ed agli attacchi al limite degli insulti” sulle colonne de La Stampa e poi si è visto costretto a smentire la sintesi e, soprattutto, la titolazione fatta dal giornale diretto da Massimo Giannini.

Il problema è che la verità fa male, soprattutto a chi si era beato della “pioggia di miliardi” in arrivo dall’Europa e non si era affatto curato degli aspetti attuativi di un piano semplicemente ineseguibile. Sarebbe bastato leggere le centinaia di pagine scritte dalla Commissione al momento del varo del NextGenUE per comprendere il disastro prossimo venturo. Cosa che noi abbiamo puntualmente fatto sin dalla primavera del 2020. Ma allora tutti erano preda dell’ubriacatura ideologica per “l’Europa che finalmente fa debito comune”, senza purtroppo curarsi del “come”.

Ora che nelle mani di Fitto – impegnato da settimane in una puntuale ricognizione di tutti i progetti, al fine di comprendere la concreta possibilità di completamento entro le scadenze semestrali prefissate ed entro la scadenza finale del giugno 2026 – si sta materializzando il disastro, tutti indicano il dito, mettendo Fitto in croce, e nessuno osserva la luna. Come al solito, c’è bisogno del bambino per accorgersi che il re è nudo (da tempo). La ricognizione ormai terminata evidenzia che “non si tratterà di cosmesi o di chirurgia di precisione”, “ma di uno smantellamento con la revisione strutturale anche di alcuni obiettivi previsti due anni fa e ormai superati dagli eventi”. Le grandi opere (si stima un taglio del 30%, soprattutto infrastrutture) usciranno dal piano per due motivi: o non sono realizzabili, “perché il sistema imprenditoriale italiano non è in grado di triplicare in un anno questo genere di interventi” o, pur realizzabili, sono strategicamente superate.

Fitto fa rilevare un altro aspetto più volte qui sottolineate. Ben 55 miliardi di progetti preesistevano al PNRR (i famosi cassetti svuotati pur di fare massa) ed erano già finanziati con fondi nazionali e, per tale motivo, potrebbero non essere coerenti con gli stringenti requisiti imposti da Bruxelles. Ora, per evitare bocciature e definanziamenti è meglio dirottare certi progetti sui Fondi di Coesione, con tempi più lunghi e regole meno rigide.

Fitto evidenzia pure il “dibattito surreale” su altri obiettivi (dissesto idrogeologico in testa) che spuntano come funghi in corso d’opera ma che, a maggior ragione, diventano irrealizzabili in soli tre anni.

Questa è la finestra, il momento di un’operazione verità” conclude Fitto. Che non vuole affatto “smantellare” nulla, ma solo responsabilmente reindirizzare l’utilizzo dei fondi europei verso destinazioni di spesa utili al Paese e gestibili rapidamente entro il 2026. Infatti, Fitto parla di “salvaguardia” del PNRR ma non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.

Se è chiaro ciò che non si può fare (perché inutile o irrealizzabile entro il 2026) è altrettanto chiara la direzione verso cui punta Fitto, già peraltro delineata nel suo intervento nelle aule di Camera e Senato del 26 aprile scorso.

Considerato che finora gli unici fondi del PNRR che sono stati rapidamente spesi sono quelli arrivati direttamente alle imprese ed alle famiglie per finanziare gli investimenti in macchinari ed impianti digitali con il programma transizione 4.0 e per il Superbonus, Fitto ipotizza di “spostare decine di miliardi verso gli incentivi alle imprese, con meccanismi automatici e rapidi, già sperimentati con successo perché minimizzano l’intermediazione delle pubbliche amministrazioni.”

Il ministro è convinto che gli “Incentivi che alla luce delle nuove regole sugli aiuti di Stato, ormai ammessi anche per il funzionamento delle imprese, servono a garantire la nostra competitività nei confronti di Paesi con forte capacità fiscale. La Germania ha messo sul piatto 200 miliardi. Noi non avremo spazio nemmeno con il piano RepowerEu in discussione, perché abbiamo preso tutta la quota a debito. Dunque dobbiamo rendere la nostra competitività industriale sostenibile. Altrimenti non reggiamo”.

Fitto ha preso l’unica strada percorribile per salvare il PNRR: far diventare soggetti attuatori le imprese – rapide nell’esecuzione ed efficaci nell’individuazione degli obiettivi – e sgravare gli enti locali da una marea di progetti che non porteranno mai ad aprire i relativi cantieri.

L’esito dell’operazione che coraggiosamente Fitto – che ci risulta godere di ampia stima e fiducia da parte del Presidente Giorgia Meloni – sta portando avanti trova ostacoli a Roma ed a Bruxelles. Ma mentre a Roma in molti stanno collaborando “perché hanno capito che così il Pnrr gli scoppierà tra le mani”, è a Bruxelles che si deciderà la partita. E su questo punto Fitto è in attesa di capire se la Commissione sarà collaborativa non sono nella forma ma anche nella sostanza. E su questo punto, la vicenda della terza rata per la quale Fitto sostiene che “abbiamo fatto tutto quello che dovevamo” non costituisce certo un buon viatico. Al punto che si lascia sfuggire un “forse c’è un eccesso di attenzione” che, tradotto dal linguaggio moroteo, significa che ci stanno prendendo a pesci in faccia.

Se questa è la direzione di marcia, tempestivo ed efficace è stato l’intervento di Fitto per correggere la titolazione del quotidiano torinese. Nessuno smantellamento, ma una complicatissima operazione di salvataggio, prima che le contraddizioni strutturali del PNRR facciano saltare tutto per aria.

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