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Il Corriere della Sera sbrocca su Pnrr, Bruxelles e Fitto

Perché non convince il quadro fornito dal Corriere della Sera sul Pnrr. Il commento di Giuseppe Liturri

 

Il noto aforisma di Karl Marx – secondo cui la Storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa – calza a pennello al PNRR.

A proposito del quale ci permettiamo solo di invertire l’ordine ed anteporre la farsa alla tragedia. Oggi è il momento della farsa, delle comiche. Ma il momento della tragedia appare già chiaro all’orizzonte.

Il richiamo alla farsa appare appropriato leggendo quanto scritto da Federico Fubini sul Corriere della Sera di oggi, alimentato sapientemente da fonti che non possono non essere di origine ministeriale.

Si può solo sorridere – come accadrebbe appunto in una pièce teatrale comica – pensando che ora la colpa dai tanti (troppi) rallentamenti che stanno condizionando la valutazione ed il pagamento della terza rata sia (udite, udite…) la mancanza di “fluidità” nelle comunicazioni tra Roma e Bruxelles. In particolare – a sentire il ben informato Fubini – la mancata conoscenza dell’inglese da parte del ministro Raffaele Fitto e del capo della nuova struttura di missione di Palazzo Chigi Carlo Selvaggi. Ai due viene attribuita l’assenza di “contatti costanti” con Bruxelles, limitandosi a “riunioni in videoconferenza ogni sette o dieci giorni”. Viene fatto trapelare – sempre via Fubini – che “almeno in un caso si sarebbero serviti di un funzionario di Bruxelles portato dal precedente governo a Palazzo Chigi, Claudio Casini, per farsi tradurre le proprie affermazioni e le risposte dei funzionari europei”.

Quindi si vorrebbe far credere che, con una elefantiaca struttura burocratica – servizio centrale per il PNRR, ora Ispettorato generale per il PNRR, guidato da Carmine di Nuzzo, cabina di regia per il PNRR, segreteria tecnica per il PNRR – ci sia bisogno di un inglese livello C1 di Fitto o Selvaggi per discutere di aspetti tecnici e regolamentari che normalmente sono di competenza di un livello amministrativo almeno un paio di gradini inferiore a quello politico di un ministro? Ma mi faccia il piacere… avrebbe detto il grande Totò. Oppure trovate una scusa migliore e meno ridicola, ci permettiamo di aggiungere noi.

Stendiamo solo un velo pietoso sui sepolcri imbiancati che – dopo aver inserito nel PNRR quattro spiccioli contro il dissesto idrogeologico – ora si ricordano di “usare più soldi del PNRR contro il dissesto”. Ma dimenticano che quel piano è rigido e può contenere solo le spese che rientrano negli obiettivi della Commissione.

Di fronte ad una scomposta uscita di questo genere – assimilabile alla classica testa di cavallo mozzata fatta trovare nel letto – vien da pensare che Fitto stia dando davvero fastidio nella sua attività di razionalizzazione di una accozzaglia di progetti tirata frettolosamente fuori dai cassetti in poche settimane tra febbraio ed aprile 2021, pur di piantare la bandierina del piano presentato tempestivamente entro il 30 aprile di quell’anno.

Fitto viene accusato “di tenere le carte coperte”. Che è esattamente quanto da lui stesso affermato in Parlamento lo scorso 26 aprile, quando specificò che andava fatta una puntuale ricognizione della fattibilità di tutti i progetti per verificarne l’effettiva eseguibilità e rendicontazione entro il 30/06/2026. Ed è un’operazione che va completata ora, perché sarebbe un vero fallimento per tutti dichiarare la non fattibilità di alcuni progetti a ridosso della scadenza del 2026. Trattandosi di circa 180.000 progetti, comprenderete bene la fatica di Sisifo che è in corso a Roma tra ministeri, Palazzo Chigi ed enti locali.

Sempre in quell’occasione, Fitto dette ormai per definiti i punti di dissidio con la Commissione che bloccavano il parere favorevole per il pagamento della terza rata. In sostanza, il governo si era piegato a tutti i diktat di Bruxelles: concessioni portuali, bando per il teleriscaldamento, piano urbani integrati (i famosi stadi di Firenze e Venezia). Invece ora, dopo quasi 5 mesi (di cui 3 di proroga) la Commissione solleva ancora altri dubbi, rubricati sotto la voce “varie questioni minori”. È a Roma che dovrebbero essere irritati per questi continui rilanci, non a Bruxelles.

Ma nubi scure si addensano anche sui 27 obiettivi da conseguire entro giugno per sbloccare i 16 miliardi della quarta rata. Tra questi spicca il caso Superbonus (in parte finanziato dal PNRR) per il quale pare non sia possibile dimostrare risultati sul fronte ambientale, in conseguenza della sostituzione di caldaie a gas con altre caldaie… a gas. Oltre a questo, c’è la richiesta di revisione di dieci obiettivi, di cui tre o quattro sostanziali.

Tornando al fronte della revisione del PNRR, “l’irritazione e l’insofferenza” di Bruxelles, di cui Fubini è latore, si concentrano anche su questo punto. Infatti tutti gli Stati membri sono stati invitati a presentare un capitolo aggiuntivo dei rispettivi piani di ripresa per sfruttare i fondi del RepowerUE (altri 2,7 miliardi per l’Italia) per diversificare le fonti energetiche affrancandosi dalle forniture russe ed incentivare gli investimenti nelle fonti rinnovabili. Fitto ed il governo intendono sfruttare per intero il termine del 31 agosto – inizialmente fissato per richiedere fondi aggiuntivi rispetto al piano iniziale – non foss’altro perché tali nuovi progetti devono necessariamente essere coordinati con quelli già in corso e quindi non ha senso avere un doppio binario. Il treno del PNRR è unico e la revisione dei progetti sarà un corpo unico con i nuovi progetti del RepowerUE. Su questo fronte, per stessa ammissione di Fitto, un ruolo importante sarà giocato dalle partecipate pubbliche (Eni, Enel, Snam, Terna) come soggetti attuatori. Anche in questo caso, sono progetti che richiedono tempo.

Insomma, la Commissione “vorrebbe essere informata prima della presentazione formale” e continuare a decidere essa stessa come spendere denaro che non cresce sotto l’albero del campo dei Miracoli ma è debito della Repubblica Italiana. E non fa mistero di far sapere che non le garba affatto la volontà di questo governo e di Fitto di pensarci bene prima di aumentare il debito del Paese. Peraltro per spese, come quelle per la transizione ecologica e digitale, che alimentano filiere di fornitura situate prevalentemente all’estero che fanno crescere il PIL degli altri, non quello nostro.

Giusto per non farsi mancare nulla, si ricorda il livello relativamente basso registrato negli ultimi mesi dalle disponibilità liquide del Tesoro, orfane del mancato incasso dei 19 miliardi della terza rata e probabilmente dei 16 della quarta.

Un modo nemmeno tanto velato di far arrivare a Roma “un’offerta che non potrà rifiutare”, resa ancora più convincente dalla ridicola scusa dell’inglese.

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