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Fintech

Ecco come la Germania discute (e si vergogna un po’) per il caso Wirecard

Politica, giornali ed analisti in Germania iniziano a discutere e a interrogarsi su che cosa non ha funzionato nei controlli istituzionali visto il caso della fintech tedesca Wirecard travolta da inchieste giudiziarie

 

Non sarà facile per il ministro delle Finanze, Olaf Scholz, ma anche per il governo e la quasi totalità della classe politica tedesca convincere operatori economici e opinione pubblica (tra cui una quota di azionisti salassati dallo scandalo Wirecard) di essere davvero sinceri nella battaglia annunciata per una riforma dell’autorità di controllo di Borsa. Tanto roboanti sono le promesse di oggi, tanto altezzose apparivano le strenue difese dei giorni scorsi, in pieno dello scoppio del caso Wirecard, quando sempre Scholz difendeva Bafin (la Consob tedesca) dicendo che le istituzioni di vigilanza avevano operato molto duramente e avevano fatto il loro lavoro. Quella Bafin su cui l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) avvierà un’indagine su richiesta della Commissione europea per valutare se ci siano state inadempienze nella supervisione della società di Wirecard.

Oltre alle incalzanti cronache giudiziarie, di questo si occupa la stampa tedesca in questi giorni in relazione allo scandalo Wirecard. Oggi l’impressione che il governo si è fatta del lavoro di Bafin è un po’ diversa, forse anche per il parziale e tardivo mea culpa fatto dal suo stesso presidente Felix Hufeld: “Lo scandalo Wirecard è un disastro e una vergogna”. Tanto che il ministro delle Finanze ha fatto sapere di star lavorando a un progetto che ne rafforzerà la struttura. Nessuna critica diretta, ma certo anche solo l’indicazione di doverci mettere mano segnala un’imbarazzante marcia indietro rispetto alle dichiarazioni rassicuranti dei giorni precedenti.

Scholz ha anche anticipato qualche punto della riforma, riportato dall’Handelsblatt. L’obiettivo centrale è mettere in grado Bafin di intervenire con verifiche straordinarie e rapide ad ampio raggio quando si individuino situazioni anomale e permettere il controllo sui bilanci delle aziende, a prescindere dal fatto che abbiano risparmio bancario o meno. Anche le società di servizi di pagamento devono essere soggette a vigilanza finanziaria, riporta ancora l’Handelsblatt, e il ministro intende eliminare quegli ostacoli legislativi che impediscono un’ampia sorveglianza.

Anche dall’alleato di governo cristiano-democratico, il partito della cancelliera, arrivano simili parole di accomodamento. Da un lato ci si schiera al fianco di Bafin, difendendone l’operato, dall’altro si appoggia l’iniziativa di Scholz. “Hufeld ha dato un’ampia informativa sulle vicende di Wirecard al Bundestag e ha completamente soddisfatto la domanda di trasparenza che era stata avanzata”, ha detto Antje Tillmann, portavoce per la politica finanziaria del gruppo parlamentare della Cdu. Bisogna dotare Bafin di un diritto di accesso diretto e immediato al controllo finanziario, ha aggiunto Tillmann, anche cambiando la legge: se come sostiene il suo presidente, l’istituzione di vigilanza ha bisogno di un rinforzo di personale, noi lo sosterremo.

Non è chiaro se il governo tedesco abbia davvero individuato i punti deboli del suo sistema di sistema di controllo e se le misure annunciate serviranno a tappare le falle. Bafin, criticata per non essere intervenuta quando nel 2019 un’inchiesta del Financial Times aveva rivelato sospetti di opacità da parte di alcuni investitori di Wirecard, ha sostenuto di non avere il potere di fare un certo tipo di indagini di controllo, ad esempio, sui revisori dei conti.

Risuonano le critiche avanzate in un articolo del Sole 24 Ore da Marco Onado, economista esperto di diritto bancario ed ex commissario Consob: “Le difese delle varie parti coinvolte sono quasi delle aggravanti”, ha scritto Onado. “Si sono sentite solo trite giaculatorie sull’impossibilità di difendersi dalle frodi ben architettate. Come se la grande macchina di difesa fatta dalle autorità di controllo di Borsa, dalle società di revisione, dalla corporate governance delle società potesse essere efficace solo per scoprire truffe ingenue come quelle dei film di Totò”.

Fatto sta che ora Scholz dice di voler approfittare del semestre di presidenza tedesca dell’Ue per portare avanti la questione e, oltre agli inasprimenti normativi in Germania, ipotizzare nuove regole a livello europeo da proporre fin dall’Eurogruppo di questa settimana con i suoi colleghi dell’Ue: obiettivo, sciogliere le complessità derivanti dagli intrecci fra organi di vigilanza europei e autorità nazionali.

Ma che la tedesca “grande macchina di difesa fatta dalle autorità di controllo di Borsa” abbia dimostrato le sue lacune lo ammette anche la Frankfurter Allgemeine Zeitung in un articolo a firma di due economisti austriaci, Pia Meusburger e Christoph Pelger. Sebbene il caso Wirecard, con i suoi quasi 2 miliardi di euro scomparsi e forse mai esistiti sui conti nelle Filippine, sia il più grande del suo genere, in Germania non sono mancati in passato altri scandali finanziari, scrive il quotidiano di Francoforte. Per questo, agli inizi del secolo, il governo decise di istituire un ulteriore meccanismo di controllo per le società orientate al mercato dei capitali. Nacque così nel 2005 la Deutsche Prüfstelle für Rechnungslegung (Dpr), con sede a Berlino, organo senza poteri sovrani e organizzato come associazione di diritto privato, che interviene in prima istanza nel controllo: se le imprese rifiutano i non collaborano con i controllori del Dpr o contestano gli eventuali errori individuati, interviene in seconda istanza Bafin. Questo meccanismo non ha funzionato nel caso Wirecard, aggiunge la Faz: solo dopo la presentazione a Monaco dell’istanza di fallimento della società di pagamenti digitali si è saputo che nel febbraio 2019 Dpr era stata incaricata da Bafin di controllare il bilancio semestrale 2018 di Wirecard, verifica a quanto pare mai conclusa, anche perché l’organo di controllo berlinese aveva impegnato nel lavoro un solo collaboratore. La circostanza che Bafin non fosse in grado di condurre essa stessa o di avocare successivamente a se stessa la verifica su Wirecard viene indicato dalla Frankfurter come un “errore di sistema”.

Il rapporto con Dpr è stato nel frattempo risolto, e Scholz sta lavorando a una nuova architettura del sistema di controllo dei bilanci, ma l’addio alla “polizia dei bilanci” è un atto politico, dal momento che ancora nel 2017 una verifica dell’Esma aveva dato buoni voti a Dpr in rapporto con analoghe istituzioni europee. Il problema, scrivono i due autori, era anche nell’esiguità del personale impegnato in Dpr, 15 collaboratori per controllare 700 società, una struttura rimasta sostanzialmente uguale dal 2005. “A prescindere dal modello di controllo dei bilanci che verrà scelto in Germania, bisognerà tenere presente la necessità di risorse adeguate e di trasparenza”, concludono i due economisti, con un robusto impiego di personale qualificato in grado anche di essere rinforzato da esperti esterni in casi complessi come quello di Wirecard.

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