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Del Vecchio Mediobanca

Ecco chi boicotta (non solo Del Vecchio) Mps-Unicredit

Sindacati, Mps e Pd toscano dicono al governo di non far maritare Mps con Unicredit e gli azionisti italiani di Unicredit (Del Vecchio e fondazioni) intimano ai vertici del gruppo di non fare nozze con il Monte dei Paschi di Siena.

 

Tensioni sindacali, politiche e finanziarie sul progetto di fusione tra Unicredit e Mps caldeggiato dal ministero dell’Economia. Ecco che cosa sta succedendo.

Sindacati, Mps e Pd toscano dicono al governo di non far maritare Mps con Unicredit e gli azionisti italiani di Unicredit (Del Vecchio e fondazioni) intimano ai vertici del gruppo di non fare nozze con il Monte dei Paschi di Siena.

Sono più i contrari che i favorevoli al matrimonio di Mps con Uncredit. In sostanza, un vero e proprio salvataggio del Monte dei Paschi di Siena da parte di Unicredit come auspicato di fatto – al di là delle posizioni ufficiali – da parte del governo e del consulenti (Mediobanca in primis) di Mps.

E’ questo il quadro che emerge dopo le notizie odierne. Ecco tutti i dettagli.

I NO DI DEL VECCHIO E FONDAZIONI A UNICREDIT SU MPS

Leonardo Del Vecchio e le Fondazioni Cariverona e Crt sono contrarie a una fusione tra Unicredit, banca di cui sono azioniste, e Mps. A quanto si apprende le riserve sull’operazione, anticipate da Il Sole 24 Ore, sarebbero state espresse al presidente in pectore di Unicredit, secondo quanto ha svelato Alessandro Graziani del quotidiano economico-finanziario, Pier Carlo Padoan, nel corso di un incontro tenutosi lo scorso dicembre, al quale ha partecipato anche la Fondazione di Modena. La contrarietà dei grandi soci a Mps è destinata a condizionare la scelta del nuovo ceo di Unicredit, con un profilo pro-Siena che difficilmente potrebbe raccogliere il gradimento di Del Vecchio e degli enti.

Ha svelato il Sole 24 Ore: “Padoan, accompagnato dal presidente uscente Cesare Bisoni, avrebbe incontrato per due volte i rappresentanti delle due Fondazioni del Nord e della Delfin di Leonardo Del Vecchio. Prima vedendo i direttori generali degli enti (Giacomo Marino per CariVerona e Massimo Lapucci per Crt) e poi i due presidenti Alessandro Mazzucco e Giovanni Quaglia. In entrambi i casi, al tavolo sarebbe stato presente anche l’amministratore delegato di Delfin Romolo Bardin. Da quel poco che trapela dal nascente nucleo stabile di azionisti, sarebbe emersa a livello strategico la netta contrarietà all’operazione Mps che i “vecchi” soci vedono – a torto o a ragione – come una riedizione della fusione “politica” con Capitalia”.

IL NO DI SILEONI A MPS IN UNICREDIT

Netta contrarietà alle nozze fra Mps e Unicredit l’ha ribadita ieri il numero uno della Fabi (il maggior sindacato dei bancari), Lando Maria Sileoni: Unicredit vuole più risorse dal governo. No a piani lacrime e sangue, banca può reggersi da sola. “È iniziata la solita manfrina all’italiana. Cose dette a mezza bocca e situazioni verso le quali non si va mai veramente fino in fondo. In queste ultime ore ho notato e ho percepito un certo rallentamento di entusiasmo da parte di Unicredit, perché probabilmente vuole più risorse da parte del governo. Il Mef ha le idee estremamente chiare, e vuole risolvere al più presto il problema Mps, cedendo il 64% della stessa banca – ha detto Sileoni – Si è parlato di mantenere Mps e il suo marchio autonomi fino a tre anni, ma io credo che non si supererà un anno. Ho notato che la politica regionale e locale in questi ultimi giorni ha parlato sempre di meno, quindi sono certo che siano in corso contatti per far digerire un’operazione dove alla base di tutto c’è una impostazione di partenza che vede Monte dei Paschi non reggersi in piedi da sola. Una impostazione questa che noi non abbiamo mai condiviso. Noi non accetteremo mai un piano industriale lacrime e sangue, al di la’ del rispettabilissimo parere del Mef. Non accetteremo che si recuperi sulle lavoratrici e sui lavoratori quello che eventualmente lo Stato darà a Unicredit per prendere Mps. Non accetteremo mai un piano industriale che imponga sacrifici oltre quelli che già son stati chiesti”.

L’ATTIVISMO DEL PRESIDENTE GIANI SU MPS

Pd toscano dice anche no al progetto caldeggiato dal Tesoro. L’incontro tenuto le scorse settimane (come raccontato da Start Magazine) tra i segretari regionali di Fabi, First, Fisac, Uilca e Unisin e il governatore è avvenuto a stretto giro e al termine Giani è stato molto chiaro: “Lavoreremo insieme per indurre il Governo a mantenere le sue quote in Mps e per fermare il processo, di cui si paventa un’accelerazione, per la fusione con Unicredit”. Secondo il presidente “la situazione economica in Toscana è di estrema gravità e come sul piano dell’emergenza sanitaria si affronta il Covid con tutti gli interventi necessari allo stesso modo dobbiamo essere consapevoli che l’emergenza economica non può tollerare progetti quali la fusione del Mps con Unicredit, che comporterebbe 6mila esuberi e l’assoluta perdita di identità di una banca che da secoli trova in Toscana una sede privilegiata”.

Giani non ha dubbi che Montepaschi “rappresenta oggi una realtà che indubbiamente risente di quello che è stata la grave crisi affrontata negli anni ma che da tutta una serie di indicatori e segnali dà la percezione di potersi consolidare e riproporsi rafforzata sui mercati. Ha un management di assoluta qualità e superati i contenziosi e gli oneri che sono il portato di una gestione passata, in realtà il corpo della banca si propone a mio giudizio competitiva e con solide prospettive”.

Sull’argomento è tornato anche pochi giorni dopo, in pressing, sempre ribadendo la centralità dell’istituto nel territorio: “Io vivo con drammaticità in questi giorni quello che sta accadendo al Monte dei Paschi dove si parla, per la storica banca dal 1472, di fusione, e quindi annullamento dell’identità, con UniCredit” ha ribadito Giani durante una conferenza stampa a Firenze sul progetto di multiutility regionale. Poi una riflessione più generale sul sistema bancario in Toscana: “Cosa è successo in questi 30 anni ad una regione ricca di banche? Una per una le nostre Casse di risparmio le hanno portate via e le nostre fondazioni oggi non hanno più una capacità di indirizzo e gestione attraverso la partecipazione sul sistema bancario”. La colpa, a sua dire, è dei singoli Comuni che “sono stati ognuno gelosamente a conservare il proprio”.

LA CONTRARIETA’ DEL M5S SU UNICREDIT-MPS

Sul fronte politico i più accaniti oppositori alla privatizzazione sono gli esponenti del Movimento Cinque Stelle che hanno tentato di sbarrare la strada a Unicredit con un emendamento alla Legge di Bilancio. “Il M5S, nelle opportune sedi parlamentari – scriveva su Facebook il 29 novembre scorso il pentastellato Alessio Villarosa, sottosegretario all’Economia e alle Finanze – ha già avuto modo di chiarire la sua contrarietà a questa tipologia di intervento. L’utilizzo delle Dta, per migliorare il patrimonio di Mps, è da gestire con cura, trattasi sempre di denaro pubblico e dei cittadini e ritengo quindi inappropriato un utilizzo smisurato di svariati miliardi euro. Fortunatamente il deputato M5S Davide Zanichelli ha presentato un emendamento per limitare a 500 milioni di euro l’utilizzo delle Dta”. Il timore, dalle parti dei Cinque Stelle, è che si replichi quanto accaduto nel caso del salvataggio di Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, passate a Intesa Sanpaolo con una robusta dote da parte dello Stato. E in queste ore da M5s al Senato è giunta una pepata interrogazione parlamentare anche contro Padoan ai vertici di Unicredit.

LA PREOCCUPAZIONE DEI SINDACATI PER L’OCCUPAZIONE

Tra i primi a manifestare contrarietà alla fusione con Unicredit ci sono i sindacati di categoria che hanno iniziato a dire la loro fin dai primi rumor circolati, singolarmente o in gruppo. Nella nota congiunta del 4 novembre scorso, firmata dai segretari generali di Fabi, First, Fisac, Uilca e Unisin si evidenziava come “le insistite indiscrezioni di stampa, ancorché non smentite, circa una complessa operazione che prevedrebbe, da un lato, lo scorporo di Unicredit Europa da Unicredit Italia e la conseguente acquisizione da parte di quest’ultima di Monte dei Paschi di Siena” sollevassero “dubbi e preoccupazioni nelle lavoratrici, nei lavoratori e nelle Organizzazioni Sindacali di settore”. I motivi addotti erano molteplici: l’ipotesi di scorporare Unicredit Europa con la conseguente quotazione in Borsa a Francoforte e una fusione con un gruppo bancario europeo avrebbe portato “ad un oggettivo indebolimento del sistema bancario italiano” e poi l’acquisizione di Rocca Salimbeni avrebbe comportato “un pesante prezzo in termini occupazionali”, soprattutto sulla attuale Direzione del Monte a Siena.

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