(Estratto di un articolo di Daniele Capezzone pubblicato sul quotidiano La Verità)
Il 26 marzo scorso Conte, al termine di un Consiglio europeo infruttuoso, raccontò di aver sbattuto i pugni sul tavolo. Fece circolare una velina il cui senso era: l’Italia dà dieci giorni all’Ue.
Per questo, da allora fino all’altra sera, il premier non ha smesso di mostrare i muscoli e alzare la posta in palio, ripetendo ossessivamente “no al Mes, sì agli Eurobond”, di fatto fissando l’asticella per giudicare il risultato del negoziato.
Così di giorni ne sono passati non dieci ma quattordici, ma alla fine si è materializzata un’autentica capitolazione italiana, dai contorni riassumibili in quattro punti. Primo: gli Eurobond non ci sono. Secondo: c’è il Mes, che resta tale e quale. E l’ineffabile ministro olandese Wopke Hoekstra, che ha letteralmente bullizzato il suo omologo Gualtieri, ha potuto maramaldeggiare: “Il Mes è disponibile per supporto economico, ma con condizioni. Questo è corretto e ragionevole”. Terzo: l’unico caso in cui il Mes non ha condizioni è per le spese sanitarie. Barelle e cerotti, bontà loro. Quarto: c’è un riferimento, indistinto nei tempi (e nelle risorse), al Recovery Fund sollecitato dalla Francia, ma che rischia di assomigliare (lo ha fatto notare criticamente Stefania Craxi) ai fantomatici 300 miliardi del Piano Juncker, che nessuno ha mai visto in questi anni.
Peraltro, a leggere bene anche la presunta parte sanitaria sul Mes “senza condizioni” (il famigerato punto 16 del documento), si trova la bomba: è scritto a chiare lettere che “le norme del Trattato Mes devono essere seguite” e che, finita la crisi del Coronavirus, “lo stato membro rimane impegnato a rafforzare i suoi fondamentali economici e finanziari, in coerenza con il quadro di coordinamento e sorveglianza economica e di finanza pubblica dell’Ue”. Quindi, terminato il contagio, qualcuno stringerà il guinzaglio.
Incredibilmente, l’altra notte, gonfio dei pugni in faccia appena presi, Gualtieri ha osato parlare di “proposta ambiziosa”; due giorni fa, accelerando sulla strada del ridicolo, ha parlato di un “ottimo primo tempo”, aggiungendo che “ora bisogna vincere la partita”, alludendo alla futura decisiva riunione dei capi di stato e di governo.
Poi Conte ha twittato: “Io ho una sola parola, la mia posizione e quella del governo sul Mes non è mai cambiata e mai cambierà”.
Un attorcigliatissimo e imbarazzatissimo post sul Blog delle Stelle ha provato a sostenere l’insostenibile: “Il Mes non è stato attivato. Poiché il Mes è una linea di credito a cui ogni paese può liberamente decidere se accedere, ribadiamo che il M5S non sarà disponibile in nessun caso a votare per l’attivazione del Mes”. Ma allora la domanda nasce spontanea: di grazia, su cosa ha negoziato il governo in queste due settimane? Non basta dire che non metteremo la testa nel cappio (che peraltro è rimasto visibile e penzolante): serviva trovare consenso e alleanze per costruire un’alternativa al cappio.
Dopo una lunga attesa Conte si è infine presentato in video alle 19.30 per cantare la solita canzone: “Gualtieri ha fatto un gran lavoro, ma le proposte sono un primo passo che l’Italia giudica ancora insufficiente. Il Fondo deve essere finanziato dagli Eurobond”. E qui Conte ha finto di non sapere che pure la Germania, non solo l’Olanda, è contraria. Quanto al “Mes sanitario”, Conte ha surrealmente citato “l’opportunità di informare il Parlamento” (cosa che è invece un suo obbligo puntuale).
Una delle firme più note del giornalismo europeo, Wolfgang Munchau, ha sintetizzato così il masochismo giallorosso: “L’accordo dell’Eurogruppo non è buono per l’Italia. Com’è accaduto spesso in passato, vediamo un ministro delle Finanze italiano aderire a un accordo che non è nell’interesse del suo paese”. Serve altro per capire?