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Eataly si americanizza e dirà addio all’Italia?

Eataly prova il rilancio dopo il salvataggio del fondo Investindustrial e affida proclami e annunci di nuovo al Corriere della Sera. Fatti, numeri e curiosità

Per qualche strano motivo, nel calendario del Corriere della Sera ogni 25 settembre bisogna celebrare Eataly. Accadde lo scorso anno, con l’articolo “Eataly, modello Autogrill: la catena punta sulle autostrade e gli aeroporti“. Accade, 365 giorni dopo, nel sequel studiato per il 2023: “Eataly rivede l’utile”. Ma del modello Autogrill lanciato un anno fa si sono nel frattempo perse le tracce.

COSA SCRIVE IL CORRIERE SU EATALY

“A un anno dall’acquisizione del 52% di Eataly da parte di Investindustrial – scrive il quotidiano di Rcs-Urbano Cairo – Andrea Cipolloni, dallo scorso novembre nuovo Ceo del gruppo, racconta per la prima volta come sta cambiando l’azienda fondata da Oscar Farinetti e quali sono le strategie che ne guideranno la nuova fase di sviluppo, non solo grazie ai 200 milioni apportati, attraverso un aumento di capitale riservato, dal nuovo azionista di controllo, ma anche alle risorse umane e alle capacità logistiche della società di investimenti fondata da Andrea Bonomi nel 1990, oggi una holding di partecipazioni industriali con oltre 13 miliardi di fondi raccolti”.

EATALY FA L’AMERICANO

«Stati Uniti e Canada sono il nostro faro: qui abbiamo dato un’importante accelerazione allo sviluppo di Eataly e contiamo di aprire una ventina di nuovi punti vendita nei prossimi 4/5 anni, raddoppiando il numero dei negozi dagli attuali undici, inclusi il secondo store di Toronto che inaugureremo a novembre e il terzo a Manhattan», afferma Cipolloni alla redazione di via Solferino.

LE SOFFERENZE AMERICANE DI CIPOLLONI

Il Corriere della Sera sul suo conto si premura di raccontarci che il manager “passa in media 10 giorni al mese negli Usa, tanto che a New York è stato costretto a fare smontare il controsoffitto della sua camera di hotel, per far spegnere l’aria condizionata («non si riusciva a regolare») e ha imparato a portarsi dietro sempre una sciarpa per sopravvivere”.

È un «sacrificio» ben ripagato, prosegue il Corsera: «Negli Usa tutti i negozi funzionano, perché siamo un gate che porta le eccellenze made in Italy nel resto del mondo», riconosce. Tra le nuove aperture è previsto lo sbarco a Filadefia («abbiamo già firmato il contratto») e a Miami, con due negozi. L’obiettivo è di «raddoppiare il fatturato americano», che già oggi vale circa 470 milioni di euro sui circa 675 milioni di ricavi totali stimati per il gruppo a fine 2023, in aumento del 12% rispetto ai 602 milioni del 2022 (502 milioni nel 2019), anticipa il top manager. Anche la redditività migliora e, dopo il rosso di 28,7 milioni registrata l’anno scorso, a fronte però di un ebitda di 26 milioni, Cipolloni conta di chiudere il 2023 «non in perdita».”

IL MANTRA CHE “VA TUTTO BENE”

Apprezzabili le perifrasi e le giravolte linguistiche per non parlare apertamente di perdite. Sulla scia di Oscar Farinetti che, ignorando totalmente i numeri (li ricorda per noi Repubblica parlando di un buco da “più di due milioni al mese, con il bilancio del 2021 che si era chiuso con una perdita leggermente inferiore, di 22,1 milioni. Finora sono state accumulate perdite – non ripianate – per 70 milioni, con un patrimonio netto che ammonta a 58,7 milioni. Perdite che vanno avanti nonostante i ricavi, invece, siano saliti da 462 a 601 milioni, con l’Ebitda che nel 2022 è stato di 25,5 milioni”) continua a rilasciare interviste intrise di ottimismo zuccherino: “Tutto come previsto e… come previsto il 2023 sta andando molto bene. […] La nuova squadra cappeggiata da Andrea Cipolloni sta lavorando molto bene, e in armonia con i miei figli. Questa è la verità e questi sono i numeri. Il resto sono interpretazioni”. E, come abbiamo visto recentemente, pure la narrazione su Fico è rosea.

Sulla stessa falsariga oggi Cipolloni sul Corriere: «Vediamo come va il Natale, che per noi è molto importante. Ma l’azienda sta andando molto bene», dichiara prevedendo un ebitda di oltre 40 milioni dai 19 milioni nel 2019. L’Italia, dove il gruppo controlla 12 negozi diretti, vale circa 160 milioni. «L’apertura in franchising a Fiumicino è diventata un punto di riferimento per l’aeroporto. Ed entro due mesi Eataly entrerà a Roma Termini, con uno spazio di 700 metri quadrati».

E dato che la gestione dei Farinetti per ora è stata premiata dal pubblico, dello sbarco a Oriente si occupa il figlio di Oscar Farinetti, Nicola, che da Ceo è diventato presidente del gruppo dopo il passaggio di proprietà. «Mi sta aiutando e stiamo lavorando molto bene insieme, valutando se e quando sbarcare in Cina, essendo Eataly già in Giappone e Corea del Sud». Quanto al padre, «Farinetti mi chiama spesso per farmi i complimenti e per darmi suggerimenti», racconta Cipolloni. Che dia ancora consigli è curioso, considerato che la visione dell’imprenditore ha portato il gruppo alla necessità di essere salvato (con l’ingresso del nuovo investitore, la famiglia Farinetti vede scendere le proprie partecipazioni in Eataly dal 58,1% al 22% del capitale). «A mia volta, quando ho qualche novità, mi piace comunicargliela in anticipo. Oscar è molto contento di questo sviluppo, mi ha confessato di essere rimasto molto sorpreso dalla nostra voglia di valorizzare Eataly». Insomma, va tutto benissimo e il nuovo azionariato, benché ribaltato rispetto al principio, è più unito che mai.

Il Corriere nulla obietta e nulla contraddice. Eppure solo a giugno in un trafiletto scriveva: “Eataly perde oltre 2 milioni al mese: rosso non ripianato di 70 milioni”. Giusto considerare l’arrivo del nuovo investitore un reboot, una ripartenza, tuttavia quei numeri, solo in parte attribuibili alla pandemia, dovrebbero indurre a qualche dubbio sul piano industriale e sulla bontà dei buoni propositi stilati per l’anno che verrà. Altrimenti i proclami rischiano di apparire stantii.

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