L’Italia, come il resto del mondo, sta conoscendo in questi primi mesi del 2020 una forte crisi economica. Una crisi provocata da un fattore esogeno al sistema economico come possiamo definire la pandemia di Covid-19.
I principali effetti, di breve periodo, impatteranno soprattutto sull’offerta e sulle esportazioni che poi, a seguire, si rifletteranno anche sull’insieme della domanda aggregata con una forte riduzione della domanda interna e con un aumento progressivo della disoccupazione e il fallimento di molte imprese, soprattutto di micro-piccole dimensioni più esposte alla crisi e più fragili da un punto di vista finanziario.
Ciò accadrà verosimilmente ad invarianza degli interventi di politica economica che, al contrario, dovrà fortemente intervenire a tutti i livelli sia nazionali che unionali. Le azioni presenti e future messe in campo dal nostro Governo e dalla BCE/Commissione Ue devono/dovranno avere l’obiettivo di evitare che l’inevitabile recessione di breve periodo non si trasformi in una (evitabile) depressione di medio-lungo periodo.
In questo contesto molto negativo, per famiglie e imprese, ci sono alcuni fattori positivi dai quali necessariamente dovremo ripartire quando la pandemia avrà cessato i suoi catastrofici effetti.
In questa sede ci soffermiamo su due aspetti, il primo di natura macro e di scenario; il secondo, di natura micro, che riguarda un settore, come quello dell’agroalimentare, tra i pochi settori merceologici che molto probabilmente aumenterà il proprio fatturato (le stime di Confcommercio già indicano un +4% nel 1° trimestre 2020) e che darà il proprio fondamentale contributo nella ripresa post-crisi.
Sul primo aspetto mi soffermerò poco avendolo già analizzato in un mio precedente articolo: la crisi probabilmente conoscerà i primi segnali di una inversione di tendenza già dalla prossima estate condizione che l’emergenza Covid-19 cessi per la fine di questa primavera. Inversione che si dovrebbe consolidare nel secondo semestre dell’anno, in quanto le crisi economiche provocate da fattori esterni (esogeni) al sistema economico hanno una durata più breve, sono concentrate nel tempo e hanno un recupero più rapido rispetto ai valori pre-crisi dei principali indicatori economici se le confrontiamo alle crisi economiche prodotte da fattori interni (endogeni) al sistema economico come quella dei ”subprime” del 2008-2009 o dei “debiti sovrani” del 2011-2012. Questa riflessione è nata dall’analisi dei cicli economici conosciuti dalle economie occidentali dal 2000 ad oggi.
In questo scenario di riferimento, una delle filiere sulle quali puntare per contenere gli effetti nefasti dell’attuale crisi e accelerare la ripresa post-pandemia Covid-19, è la filiera agroalimentare composta da un mix di agricoltura, industria alimentare, logistica/trasporti e commercio all’ingrosso e al dettaglio dedicati. Una filiera considerata da sempre strategica e di primo piano del nostro Made in Italy in termini di Pil, imprese, occupazione e esportazioni come i dati sotto illustrati ci dimostreranno.
Non è un caso che in tutti i Dpcm fino ad oggi emanati dal Governo, la filiera è stata sempre considerata in funzione anti-pandemia (vedi ad esempio l’allegato 1 del Dpcm del 22 marzo 2020) con motivazioni, oltre che economiche, soprattutto di tipo sociale e di sostegno alla popolazione.
Una strategicità e priorità che la filiera agroalimentare si è conquistata sul “campo”. Essa, nelle sole componenti dell’agricoltura (2,2% del Pil) e dell’industria alimentare (8,3% del Pil) ha un peso pari al 10,5% sul totale del Pil nazionale per un valore pari a 171 miliardi di euro (Fonte Ismea, 2018), e rappresenta il 10% del totale settoriale dell’Ue a 28 Paesi. Percentuali e valori, se aggiungessimo loro quelli della logistica/trasporti e il commercio all’ingrosso/dettaglio dedicati, aumenterebbero sensibilmente.
In particolare, le imprese italiane del settore alimentare extra agricole sono pari a circa 57mila, seconde per numerosità solo al comparto dei prodotti in metallo e a quelle francesi nell’Ue. Esse, nel 2018, hanno prodotto un fatturato pari a circa 133 miliardi di euro (Fonte: Federalimentare). Gli addetti sono circa 385mila di cui il 60% occupati in imprese localizzate nelle regioni del Nord Italia, il 27% in quelle del Sud e il 13% occupati nel regioni del Centro. Imprese che esportano prodotti per un valore pari a 34,4 miliardi di euro (circa il 25% del fatturato di settore) pari all’8% delle esportazioni totali italiane. Esportazioni che hanno come principale mercato di sbocco l’Ue (circa il 70% del totale), con Germania (22% del totale), Francia (10% del totale) e Regno Unito (13% del totale) che rappresentano i principali Paesi di riferimento.
In questo contesto anche le imprese cooperative possono svolgere un ruolo estremamente interessante e contribuire ad una rapida uscita dell’Italia dalla crisi post Covid-19.
In generale le imprese cooperative attive sono circa 79mila imprese (Fonte: Infocamere, 2019) pari all’1,5% delle imprese totali italiane. Delle circa 79mila imprese cooperative attive ben 10.799 di esse appartengono alla filiera agroalimentare di cui 9.119 appartenenti al settore agricolo e 1.680 al settore alimentare, rappresentando circa il 14% delle imprese cooperative totali.
Le “cooperative alimentari” rappresentano circa il 3% delle imprese alimentari italiane, con un peso quasi doppio rispetto a quello (1,5%) rivestito dalle imprese cooperative totali sul totale imprese nazionali, distribuite su tutto il territorio nazionale con una importante presenza nelle regioni del Sud.
I dati mostrati in precedenza forniscono una chiara rappresentazione dell’importanza che la filiera dell’agroalimentare, compresa la componente cooperativistica, riveste oggi nell’economia italiana.
Un comparto che nei prossimi mesi, insieme alla filiera dei prodotti farmaceutico-sanitari (considerate le peculiarità dell’attuale crisi economica) e dell’autotrasporto/logistica, certamente potrà contribuire a dare una importante spinta alla ripresa in termini di Pil e occupazione.
Per sostenere questi ed altri settori occorrerà principalmente favorire: le iniezioni di liquidità che vadano il più rapidamente direttamente alle imprese “senza intermediari”; la riduzione e/o la sospensione degli oneri fiscali per tutto il 2020; il sostegno dei livelli occupazionali attraverso la cassa integrazione e politiche attive del lavoro.
In conclusione, la rapidità con la quale usciremo dalla crisi in Italia e in Europa, oltre che dipendere dalla durata della pandemia, sarà direttamente proporzionale al valore monetario e all’efficacia degli interventi di politica economica dei Governi e di quelli concertati tra gli Stati membri dell’Ue. In caso contrario, la probabilità che il sistema economico crolli insieme alle Istituzioni europee sarà molto elevata con tutte le conseguenza drammatiche in termini sociali che esso comporterà.
Giuseppe Capuano
(Le opinione espresse dall’autore non coinvolgono assolutamente il MiSE e sono strettamente personali)