Anche la polemica politica più dura deve avere dei limiti. Altrimenti si rischia di diventare come QAnon che negli Stati Uniti accusa l’establishment democratico di essere una congrega di pedofili. Non è un bel vedere che i sindacati (la trojka è sempre più simile ad un tandem su cui pedalano Landini e Bombardieri) e il nuovo Pd si debbano inventare le cose pur di criticare il governo, come sta accadendo a proposito del decreto lavoro con il quale Giorgia Meloni ha scippato, sul versante mediatico, il Primo Maggio alle centrali confederali.
Lungi da noi l’intenzione di osannare questo pacchetto di norme (peraltro in fase di ‘’bollinatura’’) come ha fatto in un video la presidente Giorgia Meloni. Siamo tuttavia convinti che, al di là dei presunti primati rivendicati dal governo, un provvedimento come quello varato il 1° Maggio proviene dalla farina dello stesso sacco di cui attinto i governi negli ultimi anni per affrontare le diverse emergenze che sono capitate.
LE MODIFICHE AL CONTRATTO A TERMINE NEL DECRETO LAVORO
Gianfranco Polillo, in un editoriale su Start Magazine, ha già commentato, da par suo, le critiche ‘’incomprensibili’’ di Cgil e Pd al taglio del cuneo contributivo. Ci limitiamo, quindi, a parlare di un’altra questione – le modifiche alle regole sul contratto a termine – che sembra essere divenuta ormai il casus belli di un eventuale sciopero generale.
È in base a quanto verrà disposto in questa materia che la spensierata Elly Schlein va in giro a raccontare che il decreto alimenterà il lavoro precario mal retribuito, rendendo più facile per le imprese il ricorso alle assunzioni a termine; ciò mentre i più furbi e meno rozzi tra questi ‘’compagni di merende’’ riconoscono che è in atto, nei flussi, un processo di incremento del lavoro stabile e una contrazione di quello a tempo determinato. Di conseguenza il decreto andrebbe contromano rispetto all’evoluzione del mercato del lavoro, riaprendo le porte ad un ‘’precariato’’ in declino.
Non è questa la posizione di Landini, il quale, incurante di tutti i dati statistici, non ha esitato, nel comizio del Primo Maggio a Potenza, a riscrivere l’articolo 1 della Costituzione nei seguenti termini: l’Italia è una Repubblica fondata sullo sfruttamento del lavoro.
MAGGIORE FLESSIBILITÀ: IN COSA CONSISTE?
La realtà è più complessa e merita di essere raccontata. La vulgata la conosciamo. A quanto si dice le norme del decreto Meloni/Calderone tendono a facilitare – rispetto a quanto previsto nel decreto dignità varato, nel 2018, dal governo Conte 1 a firma Luigi Di Maio (non ancora Gigi d’Arabia) – il proseguimento da 12 a 24 mesi (quale limite comunque massimo) dei contratti a termine ove la proroga o il rinnovo corrispondano ad esigenze contemplate nella legge.
Le condizioni previste (causalità) erano le seguenti: a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria».
In che cosa consiste la “maggiore flessibilità” vantata da un incauto governo e stigmatizzata da sindacati che non sanno dove sbattere la testa per motivare uno sciopero generale contro la precarietà? Ecco dunque le nuove causalità: I contratti potranno avere una durata superiore ai 12 mesi, ma non superiore a 24 mesi: nei casi previsti dai contratti collettivi; per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti, in caso di mancato esercizio da parte della contrattazione collettiva, e in ogni caso entro il termine del 30 aprile 2024; per sostituire altri lavoratori.
Allora dove sta l’accresciuta precarietà quando le causali devono essere previste dai contratti collettivi?
IL “CAUSALONE”
Ma c’è un altro aspetto da notare: nel decreto Meloni, in mancanza di una disciplina contrattuale, viene reintrodotto il c.d. causalone; ovvero quelle ‘’esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva’’ che avevano creato tanti problemi al ricorso delle aziende ai contratti a termine, proprio perché l’estrema genericità della motivazione dava luogo a tante controversie a conclusione del rapporto per farsi riconoscere dal giudice la trasformazione del contratto a tempo indeterminato.
Proprio per abolire il ‘’causalone’’ nel 2014 era intervenuto il decreto Poletti allo scopo di liberalizzare il ricorso al lavoro a termine – a certe condizioni – fino a 36 mesi. Il decreto Meloni ripristina allora quella norma (il causalone, appunto) che un governo di centro sinistra aveva adottato. Si dirà che era il governo Renzi, ora abiurato dal Pd di Elly Giovanna d’Arco che come la pulzella d’Orleans ‘’sente le voci’. Venenum in cauda: il decreto dignità fu opera del Conte 1.
Toccò al Conte 2 – nel c.d. decreto rilancio – sospenderne l’applicazione, d’accordo con i sindacati, quando divenne palese – anche a causa della pandemia – che quelle norme nuocevano all’occupazione, poiché obbligavano le aziende a procedere all’assunzione di nuovi contrattisti a termine, trascorsi i 12 mesi in regime di acausalità. Infatti erano in prevalenza giovani assunti con contratti a termine (circa un milione) che, alla scadenza, si trovarono a spasso durante la pandemia.
Ecco la norma: Disposizione in materia di proroga o rinnovo di contratti a termine 1. In deroga all’articolo 21 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza all’emergenza epidemiologica da Covid-19, è possibile rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere anche in assenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.
Ne prendano nota i talk show del vecchio regime che continuano a reggere la coda della Cgil.