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Chi guadagna e chi perde con il debito comune europeo

Fatti, numeri e considerazioni sul collocamento di obbligazioni destinate a finanziare il Next Generation UE. L'analisi di Giuseppe Liturri

 

Ieri la Commissione ha pubblicato l’esito di un collocamento di obbligazioni destinato a finanziare il Next Generation UE e l’aiuto all’Ucraina ed abbiamo avuto l’ennesima conferma del perché in molti frenano quando si tratta di far partire nuove iniziative fondate sul debito comune europeo. Che si chiami Sure, Fondo Sovrano Europeo, NextGenUE o Pippo, il problema è sempre lo stesso: già a prima lettura non conviene a molti paesi europei e, con un’analisi più attenta nemmeno all’Italia.

La Commissione ha piazzato titoli per 3 miliardi con scadenza a 7 anni e per 4 miliardi con scadenza 20 anni, nella forma del collocamento diretto ad un consorzio di banche sottoscrittrici. La Commissione alterna questa forma a quella classica dell’asta.

La domanda è stata come al solito molto sostenuta, da 12 a 14 volte l’offerta. E questo non deve sorprendere, perché si tratta di un ottimo affare per gli investitori.

Infatti il titolo a 7 anni ha offerto un rendimento del 2,92%, ben 55 punti base in più dell’omologo Bund tedesco e, soprattutto, 24 punti base in più dell’omologo titolo francese.

Il titolo a 20 anni ha offerto un rendimento del 3,26%, anche in questo caso ben 85 punti base in più del titolo tedesco e 16 punti in più del titolo francese.

Con questi 7 miliardi, sale a 20 la somma complessiva raccolta fino a questo momento, su 80 miliardi che sono l’obiettivo di emissioni dichiarato nel primo semestre. 70 dei quali saranno diretti al NextGenUE e 10 agli aiuti all’Ucraina.

Ma con quei tassi i conti non tornano. Tedeschi e francesi non solo i soli in Europa a potersi indebitare a tassi più bassi. Belgio, Danimarca, Finlandia, Olanda, Irlanda, sulla scadenza decennale spuntano rendimenti più bassi dei titoli emessi dalla Commissione.

Allora è subito spiegata la tendenziale ritrosia di questi Paesi verso nuovo debito comune. Perché dovrebbero indebitarsi con la Ue pagando un tasso più alto, se hanno a disposizione alternative meno costose? Non a caso, il fondo NextGenEU presenta ancora circa 200 miliardi di prestiti non richiesti da nessuno, esattamente per questo motivo.

Poiché queste emissioni della Ue godono del rating tripla A esclusivamente grazie alla garanzia (separata e non solidale) degli Stati membri nella misura di un 0,6% dei rispettivi PIL e la Germania, da sola, potrebbe rimborsare tutte le rate a partire dal 2026 anche se fallissero tutti gli altri 26 Stati membri, molti Stati nella Ue si chiedono perché partecipare ad un fondo che li vede solo fornire garanzie ed astenersi dal ricevere prestiti relativamente costosi.

Per l’Italia il discorso cambia. Infatti, il nostro debito sulla scadenza decennale costa 120 punti in più rispetto a quello UE. Un beneficio solo apparente che rischia di essere completamente azzerato dal ruolo di creditore privilegiato di fatto rivestito dalla UE. Normale che costi meno indebitarsi con un creditore privilegiato, così come accade in banca quando si accende un mutuo ipotecario anziché chirografario. Inoltre non vanno dimenticate le condizioni che assistono quei prestiti, di cui stiamo apprezzando l’onerosità proprio in questi giorni, costretti a faticose trattative per cambiare anche solo qualche virgola del PNRR. Condizioni la cui onerosità si manifesterà anche in futuro perché, acquistando da fornitori esteri (buona parte della filiera per la transizione ecologica non è in Italia), l’effetto sul PIL è modesto e comunque peserà l’effetto restrittivo di una politica di bilancio dettata dalle regole (vecchie e dannose) di Bruxelles.

Insomma, i fondi UE sono un cavallo di Troia. Nel frattempo gli investitori ringraziano per il regalo e festeggiano.

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