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Come e quando usciremo dalla crisi Covid-19

L’articolo è l’ultimo di una serie dedicata agli effetti economici (analisi ex ante) del Covid-19 sull’economia italiana.

Il fil rouge di questi miei articoli è che questa crisi è provocata da un “fattore esterno o esogeno” al sistema economico (la pandemia da Covid-19) e che, secondo la mia analisi realizzata a gennaio 2020 attraverso lo studio delle serie storiche trimestrali ventennali (Fonte: Istat) del Pil, si stima che l’uscita dalla crisi sarà rapida, a forma di V nell’ipotesi migliore o a U nell’ipotesi peggiore.

Una uscita dalla crisi che probabilmente già inizierà a partire dall’estate 2020, che sarà più rapida e concentrata nel tempo rispetto a quelle provocate da “fattori interni o endogeni” al sistema economico (vedi ad esempio la crisi provocata dai sub-prime e dai debiti sovrani) meno rapide nel recupero rispetto ai valori pre-crisi e più lunghe nel tempo (a forma di L o W).

La mia tesi si basa, oltre agli aspetti legati all’andamento storico dei cicli economici, su tre componenti che sostanzialmente determinano le performance economiche di un Paese: la prima relativa all’economia reale; la seconda all’impatto degli interventi di politica economica; la terza su fattori di tipo psicologico.

Sugli aspetti di economia reale che caratterizzano il nostro sistema produttivo si sottolinea come la capacità produttiva del manifatturiero italiano (secondo in Europa) e la competitività dei nostri prodotti (in particolare il Made in Italy e la filiera agroalimentare che non si è mai fermata in questo periodo di pandemia e che contribuisce per circa l’11% alla formazione del Pil) non sono stati colpiti a livello strutturale (non è una crisi dal lato dell’offerta). Inoltre, il costo delle materie prime, in particolare quello del petrolio (l’Italia è una economia di trasformazione), sono tra i più bassi da molti decenni (non è una crisi dettata da elevati costi o shock esterni come quella degli anni settanta e da alti tassi di inflazione) e il commercio estero inizia già fornire qualche elemento di dinamicità: ad esempio il primo mercato di sbocco per l’Italia, la Germania, è tra i paesi meno colpiti rispetto ad altri dal Covid-19 ed è già ripartito economicamente; la Cina è già in piena attività.

Un’altra componente “reale” da tenere in considerazione, in particolare in Italia, è la capacità di reazione alla crisi della “filiera turistica” che nel nostro Paese, a seconda dei calcoli, vale circa il 12% del Pil. La rapidità di risposta di questo settore condizionerà in maniera importante il contenimento della crescita negativa nel 2020 e la ripresa del 2021.

Questo il ragionamento sull’economia reale. Altro fattore da tenere in considerazione è l’impatto degli interventi di politica economica (le policy) già realizzati o che saranno realizzati nelle prossime settimane dal Governo italiano e dagli altri Governi dei Paesi occidentali e non, per far fronte alla crisi Covid-19.

Infatti, gli interventi di politica economica (assistenziali e/o a supporto delle attività produttive), sia nazionali che unionali, in primis l’attività della Banca Centrale Europea (Bce), dovrebbero creare un “effetto leva” che unito ai moltiplicatori del commercio estero, produrrà un “effetto traino” sull’economia italiana, e non solo, che la porterà rapidamente fuori dalle sabbie mobili della crisi.

Infine, esiste una altra componente, non meno importante delle altre, che si fonda sui principi dettati dall’”economia comportamentale” quale quella psicologica, che insieme alla disponibilità di liquidità, è la vera benzina che fa girare l’economia sia dal lato delle imprese che dal lato dei consumatori. La componente psicologica influenza gli “animal spirits”di keynesiana memoria con la riattivazione degli investimenti, condiziona i consumi e la rimessa in circolo del risparmio da parte delle famiglie. Creare le condizioni perché si inneschi un circolo virtuoso anche di tipo psicologico sarà determinante nei prossimi mesi per accelerare la ripresa.

Probabilmente l’insieme di tutti questi fattori (reali, di policy e psicologici) non sono stati debitamente considerati (sia per motivi temporali che tecnici) nella costruzione dei modelli econometrici che sono alla base delle stime sull’andamento del Pil italiano (e di altri Paesi) nel 2020, sia da parte delle Istituzioni pubbliche che dei Centri di ricerca nazionali e internazionali.

Infatti, le stime realizzate fino ad oggi sono comprese in un range “da profondo rosso” che va dal -8,1% del Governo italiano passando dal -8,4% della Svimez al -9,1% del FMI al -9.5% della Commissione europea. Stime che non tengono conto completamente degli effetti degli interventi di politica economica e della ripresa del moltiplicatore del commercio estero. Solo per avere un punto di riferimento, si ricorda che nel 2009 in piena crisi sub-prime il Pil italiano chiuse a -5,5%.

La Commissione europea giustifica le sue stime catastrofiche affermando che la crisi ha provocato uno “shock simmetrico” in tutti i Paesi membri e che “la ripresa di ogni Stato dipenderà non solo dall’evoluzione della pandemia sul suo territorio, ma anche dalla struttura della sua economia e la sua capacità di rispondere con politiche stabilizzatrici” e “data l’interdipendenza delle economie europee, le dinamiche della ripresa in ogni Stato membro influenzeranno la forza della ripresa negli altri Stati membri”.

Queste peculiarità, che a nostro avviso risultano essere un punto di forza dell’economia europea (in particolare la forte integrazione tra Paesi membri) e ne costituiscono un importante paracadute (si ricorda che circa il 60% delle nostre esportazioni è diretta nell’Ue e che siamo in presenza di un mercato di circa 500 milioni di abitanti ad elevato reddito pro-capite) sono poste dalla Commissione europea come se fossero un punto di debolezza. Al contrario, esse potrebbero risultare una componente strategica per una uscita rapida dalla crisi.

Secondo invece il FMI, sarà l’Italia il Paese a registrare la contrazione economica più importante nel 2020. Infatti, secondo il World Economic Forum si rivela l’impatto devastante della pandemia sull’economia mondiale, il commercio e sui Paesi occidentali in particolare per l’Italia, dove la caduta del Pil nel 2020 dovrebbe essere pari al 9,1%, con la sola Grecia che rischia di fare ancora peggio, con un crollo del Pil del 10%.

Più in linea con le mie considerazioni di fondo, sono le previsioni relative al 2021, dove la Commissione stima per l’Italia un + 6,5% e il FMI un +4,8%. Un effetto “rimbalzo” a V (come da noi stimato già a gennaio 2020) che ricorda una crescita del Pil italiano da anni del “miracolo economico” del quinquennio 1958-1963. Ritmi di crescita mai conosciuti dall’Italia negli ultimi venti anni.

Scenari, comunque, tutti da verificare: il mio iù ottimistico con una stima di segno negativo di decrescita del Pil 2020 migliore del -8%; quelli più pessimistici pari a valori a partire dal -9,1%. Una volta disponibili i dati a consuntivo, essi saranno oggetto della nostra attenzione. Informazioni preziose per migliorare, anche da un punto di vista teorico, la nostra tesi sugli effetti differenziati dei “fattori esogeni/endogeni” sui cicli economici, verificando ex-post la durata e l’intensità della pandemia sull’economia italiana.

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