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Credit Suisse

Le autorità svizzere spiegano ma non convincono sul salvataggio di Credit Suisse

Le ragioni del fallimento "ordinato" di Credit Suisse spiegate dalle autorità svizzere: ovvero difendere l'indifendibile. L'approfondimento di Teo Dalaveracuras

Da gentiluomini, anche gli svizzeri amano cedere il passo alle signore. Così, a farsi carico del non lieve compito di spiegare, al colto e all’inclita, come e perché il Credit Suisse, seconda banca svizzera, non poteva che essere assorbito dalla prima, la Ubs, e non poteva che esserlo nei precisi termini comunicati la sera di domenica 19 marzo 2023, sono state la signora Karin Keller-Sutter, capo del Dipartimento federale (così nel peculiare sistema governativo elvetico si chiamano i ministeri) delle Finanze e la signora Marlene Amstad, presidente della Finma, l’autorità di vigilanza sui mercati e gli intermediari finanziari, in interviste alla Neue Zürcher Zeitung (Nzz).

LA SOLUZIONE “MIGLIORE” PER CREDIT SUISSE, SECONDO LA SVIZZERA

Entrambe hanno ripetuto in tutte le salse che, nella frenetica settimana terminata il giorno di San Giuseppe, le autorità hanno valutato ogni alternativa concepibile (compreso il fallimento del CS) per concludere che la soluzione “migliore” (forse in tedesco manca una locuzione tipo “la meno peggio”, oppure Amstad e Keller-Sutter temevano che l’impiego di questa più realistica formulazione le avrebbe inchiodate come una ammissione di colpa…).

La signora Keller-Sutter ha dichiarato, testualmente, che un eventuale fallimento “disordinato” del Credit Suisse avrebbe causato danni e perdite per un ammontare pari a 1-2 volte il Pil elvetico, secondo le stime di “specialisti” non meglio identificati. Sempre la ministra, alla domanda sulle pressioni americane per la “soluzione migliore” annunciata domenica ha risposto: “Nessuna pressione, semmai i colleghi americani manifestavano una enorme preoccupazione”.

Quanto alla presidente della Finma, rispondendo alle precise domande dell’intervistatore Guido Schätti ha implicitamente ammesso che, contrariamente a quanto dichiarato nella conferenza stampa di domenica, non è stata la “tempesta social” a provocare il tracollo del Credit Suisse, ma lo sono stati la serie di scandali che ha investito la banca negli ultimi anni e gli “errori” del management. E quando la Amstad ricorda che tutte le autorità coinvolte hanno concluso unanimemente che “l’acquisizione da parte di Ubs era la soluzione migliore” e l’intervistatore commenta che questa è la formula ufficiale per “aiuto statale”, la presidente si aggrappa ancora una volta al mantra: “era la soluzione migliore”.

COSA RESTA DA CAPIRE

Resterebbero un paio di curiosità: capire se la soluzione migliore debba venir interpretata come un fallimento ordinato del Credit Suisse, e poi sapere in che forma i “colleghi americani” avrebbero manifestato la loro “enorme preoccupazione”, pur preso atto che non hanno esercitato nessuna pressione.

Giorni fa il banchiere privato Thierry Lombard aveva esortato gli autori del salvataggio a spiegare pubblicamente perché mai il popolo elvetico (che nel gergo politico-costituzionale della Confederazione è denominato “sovrano”) debba esporsi per salvare una banca a colpi di decine di miliardi, che viceversa non si trovano mai per la sanità, l’ambiente, l’educazione e in generale il futuro del Paese: è da temere che le spiegazioni fornite dalle due signore non l’abbiano completamente soddisfatto.

DIFENDERE UNA CAUSA INDIFENDIBILE

C’è qualcosa di commovente nella disciplina con la quale un’esponente politica di primo piano, ministra delle Finanze, e la presidente della Finma, per difendere una causa indifendibile si sono rassegnate a passare sotto le forche caudine dell’opinione pubblica – anche se in Svizzera per fortuna non si pratica (ancora?) l’attacco ad personam che da noi è moneta corrente. Altri, forse, se la sarebbero cavata in modo meno imbarazzante, ma a questo punto è un dettaglio trascurabile. Il dato nuovo di questi giorni è che l’establishment finanziario ha giocato le sue carte, ha imposto la sua soluzione ma non ha molto altro da dire nel merito, mentre la partita non è finita.

È molto probabile che dopo 28 anni dall’ultima Cpi (Commissione parlamentare d’inchiesta), dedicata allo “sfacelo direzionale e organizzativo” della Cassa Pensioni della Confederazione, nell’Assemblea Federale ne sarà istituita una sulla caduta e sul salvataggio del Credit Suisse. Tutti i gruppi parlamentari si son detti favorevoli alla Cpi e l’Assemblea Federale si riunirà subito dopo Pasqua. Solo che nel parlamento di Berna non si discuterà solo di commissione d’inchiesta, si dovranno anche approvare gli stanziamenti conseguenti al salvataggio del Credit Suisse. In prima battuta la questione è solo formale perché l’intero piano è stato approvato, domenica, anche da una delegazione parlamentare “in rappresentanza” del parlamento, con la conseguenza che un eventuale voto contrario dell’Assemblea Federale avrebbe un valore puramente simbolico, la “copertura finanziaria pubblica” dei rischi di Ubs connessi all’acquisizione essendosi perfezionata da domenica.

Ma non è così semplice. C’è un però che la Nzz spiega in questi termini: “Benché gli stanziamenti in quanto tali siano intangibili, il parlamento può fissare determinate regole del gioco. In gergo si parla di condizioni quadro per gli utilizzi dei crediti”. Anche se precisa che “fin dove possa spingersi questa discrezionalità non è del tutto chiaro”, la Nzz si chiede: “Potrebbe il parlamento inserire nella delibera di approvazione dello stanziamento una clausola che preveda che le validità delle garanzie sarà subordinata alla conduzione, da parte di Ubs, del ramo svizzero del CS come una banca indipendente?”. E conclude: “È una richiesta ampiamente condivisa”.

È ovvio che se passasse la clausola ipotizzata l’economia dell’intera operazione CS per l’Ubs potrebbe cambiare in maniera sensibile. Ma sembra che la vituperata politica si sia decisa a occuparsi della questione, che è di notevole rilevanza dal punto di vista del mercato del lavoro elvetico, del mantenimento di un minimo di concorrenza nel settore bancario interno e anche dal punto di vista dei rischi per gli stessi equilibri istituzionali scaturenti dalla creazione di un Moloch quale sarebbe il combinato disposto di Ubs + CS.

Non è detto che la politica riesca a tenere il punto, vista la presente instabilità dell’Occidente, instabilità che gioca sempre a favore dei poteri costituiti, dei corpi burocratici (anche le grandi aziende multinazionali lo sono) che esercitano ovunque un invasivo controllo anche su un’opinione pubblica ormai ebbra di “tecnologia” e convinta che la politica sia, nella migliore delle ipotesi, un inutile ferrovecchio. Per la Svizzera, però, potrebbe essere una sfida di portata esistenziale. Non solo perché il potenziale complessivo investimento finanziario pubblico nel “fallimento ordinato” del Credit Suisse corrisponde al 25% del Pil della Svizzera.

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