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Imprese Inail

Covid-19 e datore di lavoro, tutti i dubbi

Quali responsabilità per il datore di lavoro in caso di contagio professionale. Nonostante circolari e interventi normativi il quadro è poco chiaro. Il commento di Vitalba Azzollini pubblicato su phastidio.net

Sembra utile tornare su temi riguardanti il “fare impresa”, con aggiornamenti su una norma della quale si è già scritto, che equipara il contagio da Covid-19 a infortunio sul lavoro, e cenni a una nuova disposizione, in tema di sorveglianza sanitaria eccezionale.

Si è già detto che il decreto “Cura Italia” garantisce al lavoratore infettato da coronavirus le prestazioni erogate dall’Inail in caso di infortunio. Si è pure trattato della circolare Inail n. 13 dell’aprile scorso, che – andando oltre la norma – ha distinto tra «operatori sanitari» e addetti ad «altre attività̀ lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza», per le quali vale «la presunzione semplice di origine professionale» in quanto «esposti a un elevato rischio di contagio»; altre categorie di lavoratori circa i quali, invece, si procede a un ordinario accertamento.

A seguito della norma citata, è sorto il dubbio che il riconoscimento dell’origine professionale del contagio, unitamente all’avvio delle indagini da parte dell’autorità giudiziaria per infortuni con prognosi superiore a 40 giorni, si traducesse nell’automatica responsabilità, civile e penale, del datore di lavoro. Nel post precedente si è spiegato che, pur non essendo un automatismo, questa non è nemmeno un’ipotesi remota, tali e tanti e mutevoli sono gli adempimenti a carico dell’imprenditore, specie a seguito della regolazione emergenziale per il Covid-19.

Cos’è accaduto dopo? Con una circolare del 20 maggio scorso l’Inail ha smentito l’indicato automatismo, ribadendo che resta a carico del pubblico ministero l’onere di provare la colpa del datore, «intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno»; quindi, la colpa è «ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di (…) protocolli e nelle linee guida governativi e regionali».

Al fine di chiarire la questione, è intervenuto pure il legislatore, mediante un emendamento al decreto Liquidità, in maniera pressoché conforme all’Inail:

«Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da Sars-CoV-2», i datori di lavoro assolvono all’obbligo di  tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori (art. 2087 c.c.) «mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali (…) negli altri protocolli e linee guida (…), nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste (…)».

Tutto chiaro, ora? A chi scrive, questo emendamento sembra la classica presa in giro del decisore nostrano, che non solo non valuta gli impatti delle norme che produce, ma le produce per dare qualcosa in pasto al pubblico che le reclama. In altri termini, quell’emendamento non è neanche un “pannicello caldo”: non serve a niente, salvo che a far sorgere nuovi dubbi.

Innanzitutto, esso ribadisce un principio cardine dell’ordinamento: bisogna rispettare le disposizioni vigenti per non essere considerati responsabili di un danno. Serviva una nuova norma? No, ma andiamo oltre. Quali sono le disposizioni da rispettare? L’emendamento cita la regolamentazione emanata in relazione al coronavirus, ma non fa cenno al cosiddetto Testo Unico salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81/2008) che, tra i molti obblighi a carico del datore di lavoro, prevede pure quello di sorvegliare affinché i lavoratori rispettino puntualmente le prescrizioni in materia.

È comunque fuor di dubbio che il primo dovrà vigilare circa l’osservanza di ogni regola emergenziale, presente e futura, da parte dei secondi e che non basta – come l’emendamento sembrerebbe far intendere – solo un “flag” a ciascuna misura sancita da protocolli, linee guida e accordi perché egli sia esentato da colpa.

E in tema di vigilanza del datore di lavoro si apre un mondo, o una voragine, a seconda dei punti di vista: perché la giurisprudenza tende a ritenerlo responsabile pure della “sciatteria” (si perdoni il termine atecnico) del dipendente – quindi, anche quando l’infortunio sia dipeso da un comportamento «avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell’attività lavorativa svolta» – e ad escluderne la colpa solo quando «il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione».

A parte tutto questo, resta fermo quanto rilevato già nello scritto precedente, circa l’affastellato groviglio di regole emergenziali, a livello centrale e regionale, dal carattere spesso troppo vago o anche solo esortativo, fonti di responsabilità per l’imprenditore. Forse ora è più chiaro il motivo per cui il salvifico emendamento non salva da niente.

Può essere utile accennare anche a un’altra disposizione, introdotta dal decreto Rilancio del 19 maggio scorso (art. 83): fino al termine dello stato di emergenza, i datori di lavoro “[…] assicurano la sorveglianza sanitaria eccezionale dei lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, anche da patologia Covid-19, o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità”.

Tale tipo di sorveglianza si aggiunge a quella già prevista dal citato Testo Unico (art. 41), effettuata dal medico competente in una serie di ipotesi. La nuova norma non è del tutto chiara: in particolare, oltre a criteri “di fragilità” accertabili oggettivamente, c’è quello dell’età che resta indefinito. In attesa di eventuali precisazioni operative, ci si potrebbe rifare a un “documento tecnico” Inail, datato aprile 2020, ove si individua «una maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione nonché in presenza di alcune tipologie di malattie» e si auspica una “sorveglianza sanitaria eccezionale” «sui lavoratori con età >55 anni o (…) al di sotto di tale età ma che ritengano di rientrare, per condizioni patologiche, in questa condizione anche attraverso una visita a richiesta».

Questa indicazione può rappresentare una soluzione interpretativa immediatamente praticabile da chi – il datore di lavoro/imprenditore – non può attendere i chiarimenti delle autorità preposte, perché deve rispettare sin da subito ogni prescrizione, pure quelle poco precise, per non incorrere nelle responsabilità conseguenti: sempre lì si torna. E il reperimento delle fonti assomiglia sempre più a quello delle tessere di un puzzle composto da migliaia di pezzi.

Riusciranno gli imprenditori a resistere a un legislatore che rende il “fare impresa” un’impresa sempre più ardua?

(Articolo pubblicato su phastidio.net, blog curato da Mario Seminerio)

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