Stefano Scalera, dirigente del demanio e ora ceo di Invimit, ha predisposto un grande piano di investimenti e di vendite del patrimonio immobiliare pubblico. A leggere l’ampia sintesi che ne ha offerto di recente Gianni Trovati sul Il Sole 24 Ore si tratta di un’operazione di rilevanza pari – anzi con più moduli e impegni – al piano-case degli anni Cinquanta di Amintore Fanfani.
Con lui il governo di Giorgia Meloni deve, però, decidere una questione giuridica preliminare ed elementare: gli immobili ex-previdenziali si vendono sulla base di una legge (n. 410\2001) e di un decreto ministeriale (emanato nel 2003 dal ministro dell’economia Giulio Tremonti) che li rubrica come di pregio se sono ubicati al centro delle città o secondo la classificazione del loro valore che le agenzie del territorio (cioè il catasto) rubrica di civile abitazione?
Se prevalesse questa seconda interpretazione, le migliaia di inquilini che in questi anni hanno riscattato i loro alloggi come beni di pregio sono pronti a dare vita ad un fiume inarrestabile di azioni legali di rivalsa. Hanno, infatti, pagato prezzi di acquisto che non corrispondono al valore rinvenibile nelle classificazioni degli archivi catastali. Infatti negli atti di vendita spesso, per non dire mai, non risulta che l’oggetto della negoziazione prima e della consegna in proprietà poi fosse un bene residenziale classificato A1, ossia di lusso. Anzi, l’Agenzia del territorio lo indica come A2, A3 ecc.
Questa incredibile omissione è solo e sempre pudore e discrezione?
Si va, dunque, verso l’ultimo atto della lunga storia del mattone di Stato che è iniziato nel 2008 quando l’immensa proprietà edilizia degli enti ex-previdenziali confluisce nelle mani dell’Inps.
Era andata piuttosto male la cartolarizzazione (Scip2) di queste proprietà inaugurata da Tremonti. Quindi per legge, gli immobili sono finiti nei fondi di investimento di Invimit, il braccio operativo sul terreno immobiliare dell’Inps.
L’ostacolo principale alla vendita si è rivelato il presunto pregio delle abitazioni.A sancirlo fu un decreto-legge del 2003 in cu l’unico para metro di valutazione del bene era la sua ubicazione in centro storico. In tutta Italia ne derivò un’infinità di lunghi, macchinosi e artificiosi contenziosi.
Sull’inserto del quotidiano La Stampa (Tutto Soldi, in data 12 maggio “Quando l’immobile è di pregio”) Glauco Bisso ha fornito una mappa del le condizioni per cui si possa parlare di abitazioni di lusso. Dove rinvenirla nell’ampia gamma dei beni immobiliari messa in vendita da Inps e Invimit? Il contenzioso trascinatosi per decenni è ancora in essere dopo oltre vent’anni.
I conduttori di questi alloggi avevano maturato i titoli per acquistarli alle condizioni stabilite dall’allora ministro del lavoro Cesare Salvi.
Ma quando il governo Berlusconi, attraverso il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, improvvisamente decise la trasformazione di tali alloggi in beni di pregio (o di lusso che si voglia chiamarlo), il grande progetto di alienazione\privatizzazione si è arenato.
I prezzi di vendita richiesti sono lievitati e sono cambiate le condizioni. Tutto è stato affidato alle sentenze dei tribunali nonché allo sfinimento fisico degli acquirenti. Erano, e sono, per lo più dipen denti dello Stato in avanzatissima età.
Una guerra totale, dunque, in cui sono stati coinvolti tutti i governi. Da quelli diretti da Silvio Berlusconi all’attuale di Giorgia Meloni, con Giancarlo Giorgetti alla testa del Ministero dell’Economia.
Ora un gruppo di inquilini bolognesi si è rivolto alla Corte di Cassazione per avere un giudizio definitivo.
Com’è nata questa nuova turbolenza sull’assegnazione finale del mattone di Stato?
L’epicentro è Bologna. Centinaia di inquilini presso la Corte d’Appello un paio di anni fa hanno inteso contestare le modalità procedurali e contrattuali. Ma il pomo della discordia era, ed è, il prezzo di vendita delle abitazioni che essi conducono da circa trenta anni.
Anche per questi nel 2003 il Decreto Ministeriale di Giulio Tremonti, di concerto con l’Agenzia del Territorio e con l’Osservatorio degli enti ex-previdenziali, aveva stabilito l‘inedito principio che gli immobili in vendita inclusi nelle aree del centro delle città, erano da considerarsi di pregio. Pertanto il prezzo da pagare per l’acquisizione delle case occupate e da Tremonti alienate, avrebbe subito un sensi bile aumento rispetto a quello precedentemente definito dal ministro Cesare Salvi per le condizioni improvvisamente mutate.
Il contenzioso venne – si direbbe magicamente – risolto dopo circa vent’anni da due sorprendenti sentenze (l’ultima è del 2024) della Corte d’Appello del capoluogo emiliano.
Ad avviso dei giudici il problema del prezzo di vendita non esisteva proprio perché, a loro avviso, gli immobili non erano mai stati offerti in vendita, se non solo dopo il 2003 in seguito al decreto del pregio inesistente.
Gli affittuari, scrissero i magistrati, non avevano capito che l’intento del proprietario (cioè dello Stato) non era di cederli a chi li occupava da decenni, come tutti gli altri nel frattempo venduti, ma soltanto di accertare se essi avevano qualche interesse ad acquistarli!
Per arrivare a questa conclusione, definibile da molti come stupefacente, le Corti d’Appello di primo e secondo grado si avvalsero semplicemente di un solo documento firmato da un inquilino come omologo di oltre un centinaio di altri.
La causa da alcuni mesi è stata trasferita in Cassazione sostenuta oramai da una frangia del vasto gruppo.
Dopo oltre venti anni di attesa sono ormai sfiniti. Si sono resi conto che la loro è una lotta contro i mulini a vento. Confessano di non disporre dei fascicoli giudiziari necessari per conoscere l’andamento del contenzioso e poter ponderare le proprie decisioni.
Nel frattempo comunque, dopo vent’anni, il divario tra il mondo irreale della dismissione degli immobili ex-previdenziali, sostenuto da Inps e Invimit, e la realtà si è allargata in misura inverosimile.
L’Agenzia del Territorio, vale a dire il catasto di Bologna, non ha mai riclassificato tali immobili come edifici di pregio (A1). Risulta anzi che tale classificazione è raramente riscontrabile nel centro storico bolognese e forse anche di molte altre città italiane. Al contrario è risultata una qualifica minore, cioè di pura e semplice civile abitazione (A2) e in taluni casi addirittura di tipo economico (A3). Come peraltro la maggior parte delle unità in questione sino al 2004, riclassificate solo per l’occasione anche senza alcuna miglioria o trasformazione.
Infatti il complesso urbano, proprietà dello Stato dal 1961, sorto su un impianto storico per lo più non di pregio, ha subito negli ultimi secoli un’evoluzione di tipo speculativo popolare. A testimoniarlo è lo stato attuale di tali immobili.
Dietro una leggera cortina di stampo borghese nelle strade principali, intorno a piazza Maggiore, mostra un enorme caseggiato di oltre venti metri di altezza. In parte fatiscente e di scarsissima qualità edilizio-architettonica.
Si può parlare anche di stato avanzato di degrado di tali beni. Infatti dopo diversi decenni dall’epoca della costruzione sono mancati ogni cura e degli interventi di manutenzione, adeguamenti e tutte le verifiche del caso.
La legge 410 del 2001, proprio in fase di dismissione di questi immobili ha attribuito chiaramente non agli inquilini, ma alla proprietà (lo Stato) o alle società, l’onere della salvaguardia e conservazione fino alla loro cessione.
Com’è noto, il livello di degrado e fatiscenza fa decadere la qualifica di pregio di un alloggio. Infatti l’impoverimento dei requisiti edilizi, strutturali e infrastrutturali, incide sostanzialmente anche nella valutazione economica dello stesso bene.
C’è poi un’ulteriore questione che non va sottovalutata. La legislazione vigente sancisce che ai beni immobiliari di pregio si debbano applicare prelievi fiscali adeguati, cioè molto più elevati che non agli immobili classificati come civile abitazione.
L’Inps e l’Invimit possono citare qualche esempio che dimostri quando, come e dove le aliquote tributarie, sancite dalla legislazione in vigore, siano mai state applicate alla grande quantità di abitazioni di pregio ancora in loro possesso e/o da loro vendute?
La loro argomentata risposta avrebbe un grande rilievo non solo sociologico. Se affermativa sarebbe infatti un’ulteriore prova documentale che la categoria A1 negli archivi delle Agenzie del Territorio di Bologna (e probabilmente di tutta l’Italia) non esiste in tali casi.
In conclusione ci si domanda: è infondato il sospetto che il pregio del mattone di Stato viene evocato da Inps e Invimit solo in funzione del maggiore costo da proporre (o infliggere, secondo i più maliziosi) agli inquilini?