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Pensioni

Perché la Corte dei conti critica l’aumento sugli affitti brevi

I rilievi della Corte dei conti sull'aumento della cedolare secca sugli affitti brevi

Chiamata ad esprimersi sull’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi, la Corte dei Conti ha osservato che l’aumento “potrebbe portare a un incremento dell’evasione sul rendimento dell’eventuale secondo immobile affittato, visto che il passaggio da uno a due immobili comporterebbe un’aliquota marginale elevata”.

Si tratta, quindi,  di una norma che aumenta le pastoie burocratiche, introducendo un’ulteriore fattispecie fiscale, oltre a costituire un incentivo all’evasione.

Ricordiamo infatti che la nuova disposizione, per un effetto di trascinamento, fa si che a partire dal secondo immobile affittato si applichi l’aliquota del 26% anziché del 21% su tutti gli immobili, quindi anche sul primo.

IL RISCHIO EVASIONE

È facile intuire che così molti proprietari tenteranno di non dichiarare l’affitto sul secondo immobile, ottenendo così un notevole vantaggio in quanto, oltre a non pagare la cedolare del 26% sull’affitto non dichiarato, applicherà l’aliquota del 21% sul primo immobile.

NUOVI CONTENZIOSI IN ARRIVO?

L’introduzione di due aliquote diverse a seconda del numero degli immobili affittati, comporterà poi notevoli dubbi interpretativi che genereranno nuovo contenzioso e quindi costi a carico dei cittadini e della macchina statale.

Basta pensare per esempio a chi ha la comproprietà al 50% di due immobile affittati: dovrà pagare il 26% su tutto, oppure il 21%, intendendosi due comproprietà al 50% assimilabili ad un un’unica proprietà al 100% ?

Stessa situazione per chi ha quattro comproprietà al 25%: cosa succede ?

Le combinazioni possono essere infinite e l’introduzione di due aliquote differenziate su una stessa fattispecie impositiva potrebbe provocare distorsioni nel mercato, inducendo i proprietari, per contenere il carico fiscale, a ricorrere eventualmente a donazioni di immobili o quote di immobili o ad altri strumenti giuridici.

COSA HA FATTO IL GOVERNO

Per contrastare l’evasione del settore, nel DDL in discussione il Governo ha previsto l’introduzione di un “Codice Identificativo Nazionale” da attribuirsi ad ogni immobile che viene concesso in locazione; detto codice dovrà essere indicato in tutti gli annunci riguardanti la messa in locazione degli immobili, aggiungendo così un ulteriore adempimento con pesanti sanzioni in caso di inosservanza della disposizione.

L’incremento dell’aliquota al 26% e l’introduzione del CIN non preoccupano certamente chi opera nel sommerso, ma colpiranno come sempre il contribuente onesto aggravando quel carico fiscale che, specialmente sulla classe media, è a livelli di guardia.

IL FISCO COLPISCE CHI GIÀ CONOSCE

Il fisco oppressivo colpisce come sempre chi già conosce, invece di introdurre strumenti e metodologie per allargare la base dei contribuenti che concorrono al bene pubblico.

L’aliquota al 26%, inoltre, è coincidente con quella sulle rendite finanziare e, più in particolare, sui proventi conseguiti per esempio negli investimenti in obbligazioni societarie, azioni, fondi comune ed ETF, fatta eccezione per gli investimenti in titoli di stato per i quali si sconta l’aliquota agevolata del 12,5%.

Fatto è che chi parcheggia o investe i propri risparmi in prodotti finanziari non sostiene alcun costo e si attesta in una posizione passiva che non genera valore aggiunto per la collettività, mentre chi al contrario investe i propri risparmi acquistando un immobile da concedere in locazione, magari per tutelarsi anche dall’inflazione, sostiene inizialmente i costi per l’intestazione ( iva o imposta di registro e oneri notarili ), paga poi annualmente l’IMU e si carica di tutte le necessarie spese di conservazione e manutenzione dell’immobile favorendo un circuito economico positivo.

Non si può quindi mettere sulla stesso piano la rendita finanziaria pura, improduttiva, con la rendita percepita dagli affitti brevi che cela comunque un volano positivo per le attività economiche.

COSA FARE

Invece di attuare un incremento dell’aliquota al 26% (norma che andrebbe stralciata visto l’esiguo maggiore incasso atteso a fronte delle attese distorsioni ed incremento della burocrazia), sarebbe più semplice e comprensibile un incremento generalizzato dell’aliquota al 22%, o al massimo al 23%, coincidente con il primo scaglio dell’IRPEF.

Il Governo ha promesso di intervenire in qualche modo su questo nuovo balzello. Vedremo gli sviluppi.

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