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produzione industriale

Effetti certi e potenziali della frenata cinese per l’export italiano

L’intervento di Giuseppe Capuano sugli scenari economici per l'Italia post Coronavirus

L’antefatto della riflessione è fondato su alcuni dati di fondo.

L’economia italiana è notoriamente la seconda manifattura europea e tra le prime dieci al mondo, con un peso in termini di Pil nazionale pari a circa il 17-18% del totale, con circa 800mila imprese, spesso organizzate in circa 160 distretti e con una elevata propensione all’export pari a più del 30% del Pil.

Dall’altro lato, abbiamo la più grande “fabbrica a cielo aperto” del mondo quale la Cina che, purtroppo, per i notori fatti di tipo sanitario che la stanno affliggendo, perderà circa l’1% del proprio Pil (le stime sono in piena evoluzione al rialzo) in termini di crescita nel 2020 che comporterà una riduzione delle proprie esportazioni e della sua capacità di rifornire di beni strumentali ( investimento e intermedi), oltre a quelli di consumo, i mercati dei Paesi occidentali. I primi segnali di questa situazione li intravediamo con le prime carenze di pezzi di ricambio, di prodotti intermedi necessari all’assemblaggio del settore auto e più in generale di specifici comparti del manifatturiero.

Il mercato cinese, inoltre, ha un valore per l’Italia di circa l’1-1,2% del totale delle sue esportazioni contro circa il 60% dell’Europa, con Germania, Francia e USA che rappresentano, nell’ordine, i primi tre Paesi come mercati di sbocco dei prodotti manifatturieri italiani.

Altro dato importante che occorre sottolineare ai fini della nostra riflessione è come la capacità produttiva delle nostre imprese manifatturiere è da anni utilizzata mediamente solo al 70-75% (nei casi migliori). Ciò significa che i fattori della produzione (capitale e lavoro) sono spesso sottoutilizzati rispetto alle proprie potenzialità.

Altro aspetto utile alla nostra analisi, è che negli anni passati l’industria europea (e non solo) per garantire i propri livelli produttivi o ha trasferito capacità produttiva in Cina (delocalizzazioni) o ne ha demandato la produzione in toto o in parte.

Messi sullo sfondo suddetti dati di tipo strutturale, dall’attualità economica si evince, da un lato, come la riduzione di offerta di prodotti finali e intermedi cinesi, a causa delle notorie difficoltà dovute purtroppo alla diffusione del coronavirus, è di difficile quantificazione sia in termini di valore che di durata nel tempo; dall’altro, si rileva che la domanda di “manifattura” dei Paesi occidentali deve essere necessariamente soddisfatta ai fini dell’efficiente funzionamento dell’economia.

Le mutate condizioni economico-internazionali che cominciano a presentare evidenti squilibri domanda/offerta che probabilmente perdureranno nel breve-medio periodo, al netto della Cina come mercato di sbocco (in rallentamento), potrebbero costituire una potenziale opportunità per il manifatturiero italiano.

Infatti, date certe condizioni (capacità di intercettare le nuove opportunità di mercato in termini di marketing e di promozione, organizzare al meglio le filiere produttive, aumentare la capacità produttiva attualmente sottoutilizzata, etc.), gli effetti economici negativi prodotti dalle nefaste conseguenze dell’emergenza sanitaria cinese e nelle more di una auspicabile e veloce soluzione di essa, potrebbero rappresentare nel breve periodo una occasione di crescita per le nostre imprese colmando in parte l’inevitabile flessione di offerta di prodotti cinesi e nel medio-lungo periodo costituire l’occasione di un ripensamento delle strategie aziendali caratterizzate da delocalizzazioni selvagge e da ingiustificate espoliazioni di know how produttivo da parte delle imprese italiane.

Rivisitazione delle strategie industriali (livello microeconomico) che dovrebbe essere accompagnata e sostenuta da una nuova e più incisiva politica industriale nazionale e europea (livello macroeconomico) spesso miope e/o assente a fronte della “quarta rivoluzione industriale” conosciuta nell’ultimo decennio.

Quindi, se quanto da noi ipotizzato si avverasse, la prevedibile riduzione nei prossimi mesi delle nostre esportazioni sul mercato cinese e relativo indotto, date certe condizioni, potrebbe essere da un lato compensata (in toto o in parte) dall’aumento delle vendite sui mercati europei e americano di alcuni prodotti finiti/semilavorati appartenenti a specifici comparti del manifatturiero (per esempio il metalmeccanico e il meccatronico) più sensibili e pronti a cogliere le opportunità offerte dalla riduzione della produzione cinese e, dall’altro, essere l’occasione di ripensare il posizionamento competitivo delle imprese italiane e gli indirizzi di politica industriale.

Giuseppe Capuano, economista, attualmente dirigente del Ministero dello Sviluppo Economico.
(Le opinioni espresse nell’articolo non coinvolgono assolutamente il MISE e sono strettamente personali)

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