Con l’introduzione del Contratto di sviluppo, il legislatore ha voluto sostenere gli investimenti di grandi dimensioni nel settore industriale, agro-industriale, turistico e di tutela ambientale con il principale obiettivo di supportare le filiere e sviluppare la rete produttiva locale e nazionale con effetti positivi di spillover sia settoriali che territoriali.
Il Contratto di sviluppo, introdotto nel 2008, è stato costruito sull’esperienza degli incentivi negoziali dei Contratti di programma e dei Contratti di localizzazione sperimentati in Italia a partire dagli anni ’80, ed è una misura agevolativa di tipo “negoziale”, che ha l’obiettivo di favorire la riqualificazione settoriale, lo sviluppo di filiere e poli di specializzazione, il riposizionamento competitivo dei tradizionali settori produttivi e l’attrazione degli investimenti esteri, attraverso la creazione di reti di imprese anche di più piccole dimensioni anche mediante l’utilizzo del contratto di rete e la promozione di investimenti in ricerca industriale e sviluppo sperimentale.
Come negli USA e in molti altri paesi europei come ad esempio Germania e Spagna, anche l’Italia si è dotata qualche anno fa di uno strumento di politica industriale volto ad attrarre e favorire i grandi progetti strategici di investimento.
Il Contratto di sviluppo può essere definito una politica place-based, ossia una politica di sviluppo locale volta alla crescita dei territori, in particolare al miglioramento del mercato del lavoro. Essi si inseriscono nella categoria di politiche della “programmazione negoziata”, un modello di intervento economico caratterizzato, appunto, dall’approccio negoziale tra la pubblica amministrazione e i soggetti privati con la finalità di concordare il finanziamento di progetti di investimento in maniera concertata con le imprese.
In particolare, le politiche place-based hanno come principale obiettivo il conseguimento dell’efficienza produttiva sul territorio attirando la localizzazione e l’agglomerazione di imprese, specie di grandi dimensioni, che facilita i trasferimenti di conoscenza e migliora il matching tra lavoratori e posizioni lavorative. Al tema dell’efficienza si affianca quello della riduzione delle disparità territoriali: le politiche place-based sono volte a creare posti di lavoro in aree in cui essi sono relativamente scarsi a causa di un ritardo di sviluppo o condizioni di contesto sfavorevoli.
Va inoltre considerato che il Contratto di sviluppo è stato scelto come principale strumento attuativo degli investimenti previsti nelle 16 Componenti in cui si articolano le 7 Missioni del “rimodulato” PNRR.
Al riguardo, con il D.M. MISE del 13 gennaio 2022 sono stati indicati criteri e modalità di presentazione dei progetti e caratteristiche dei programmi di investimento ammissibili attraverso i Contratti di sviluppo per l’attuazione dell’Investimento 5.2 «Competitività e resilienza delle filiere produttive» del PNRR, mettendo a disposizione una dotazione di 750 mln di euro per le filiere auto motive; design, moda e arredo; microelettronica e semiconduttori; metallo ed elettromeccanica; agroindustria; chimico/farmaceutico.
Il successivo D.M del 27 gennaio 2022 disciplina l`attuazione dell’Investimento 5.1 «Rinnovabili e batterie» del PNRR, destinando risorse complessive per 1 mld di euro per lo sviluppo dei settori produttivi connessi alle tecnologie per la generazione di energia da fonti rinnovabili, con particolare riferimento a moduli fotovoltaici (PV – PhotoVoltaics) innovativi e aerogeneratori di nuova generazione e taglia medio-grande (industria eolica), e per l’accumulo elettrochimico (batterie).
Inoltre, con riferimento ai criteri di attivazione degli Accordi di sviluppo per programmi di rilevanti dimensioni, è stato precisato che il soggetto gestore Invitalia deve valutare “ la sussistenza di almeno tre dei requisiti ovvero il rilevante impatto ambientale del programma di sviluppo, inteso come programma di sviluppo per la tutela ambientale ovvero la realizzazione del programma di sviluppo in forma congiunta mediante il ricorso allo strumento del contratto di rete.
Anche su questo aspetto c’è un cambiamento di paradigma che predilige investimenti di imprese in rete e non investimenti di aziende che potremmo definire “imprese isola”. Infatti, le imprese che operano all’interno di reti e/o filiere, come dimostra una ampia letteratura sul tema, sono più innovative, più aperte ai mercati stranieri e più ottimiste sul futuro di quelle che lavorano in maniera isolata (“imprese isola”). Siamo in presenza di un cambiamento di paradigma dell’organizzazione aziendale che vede nell’aggregazione di impresa e nei territori due aspetti strategici per far fronte alle sfide poste dalla deglobalizzazione e dai nuovi scenari geopolitici di questi primi tre decenni del XXI secolo.
La misura che integra il Contratto di sviluppo e che favorisce l’attuazione del nuovo paradigma è il “contratto di rete” che è disciplinato dal Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni in Legge 9 aprile 2009, n. 33. Il contratto di rete (al 3 gennaio 2024 sono stati stipulati 8.909 contratti che coinvolgono 47.243 imprese) è stato espressamente inserito come elemento di strategicità nella valutazione degli Accordi di Sviluppo, in quanto modello di organizzazione e gestione considerato in grado di conferire valore aggiunto ai grandi progetti di investimento presentati dalle imprese in forma congiunta e favorire l’inserimento di imprese di più piccole dimensioni (si consideri che il 99,6% delle imprese italiane ha meno di 50 addetti).
Dopo aver descritto lo scenario di riferimento, entrando nel merito dei numeri, al dicembre 2023 (Fonte:Invitalia) le domande presentate finalizzate alla costituzione di Contratti di sviluppo risultano essere in totale 1.513 e hanno interessato 63,9 mld. di investimenti previsti e 27 mld. di agevolazioni richieste. I progetti ammessi riguardano 359 Grandi investimenti finanziati con 14,9 mld. di euro di investimenti attivati e 5,3 mld. di euro di agevolazioni concesse di cui circa il 75% al Sud.
In base ai risultati delle indagini sul campo svolte da Invitalia negli anni, gli effetti dello strumento su imprese e territori interessati sono in generale positivi ma non omogenei e differenziati.
In primis risulta una chiara addizionalità dell’investimento agevolato (effetto non sempre presente nelle leggi di incentivazione alle imprese), influenzando l’attuazione e la dimensione del progetto: l’87% degli imprenditori, secondo l’ultima indagine realizzata da Invitalia del 2020 (ultimo dato disponibile) ha dichiarato che in assenza di Contratti di sviluppo l’intervento non avrebbe avuto luogo, oppure che l’intervento avrebbe avuto una dimensione inferiore, mentre solo una quota marginale ha dichiarato che l’investimento sarebbe avvenuto con le stesse modalità anche in assenza di incentivo.
Gli esiti delle indagini mostrano che in assenza di finanziamento previsti dallo strumento le imprese avrebbero investito di meno, o con tempi più lunghi, o in altri territori, o usando risorse più costose, circostanze che avrebbero modificato le condizioni e le possibilità di successo. L’effetto, secondo oltre il 90% degli imprenditori intervistati, è stato quello di innalzare il livello tecnologico dell’impresa e di migliorarne le prospettive future.
Gli effetti sulle imprese vanno in genere nella direzione attesa, anche se risultano spesso statisticamente non significativi. Sono positivi (e generalmente significativi) quelli riguardanti gli investimenti, la cui addizionalità viene confermata nell’analisi, sia per il capitale materiale che immateriale. Sono positivi, sebbene in genere non significativi, gli effetti sulla crescita degli addetti, mentre sono positivi e talvolta significativi quelli riguardanti gli addetti in R&S.
Appaiono in generale limitati, se non nulli o negativi, gli effetti su produttività, costi di produzione e redditività e accesso al credito. Tali risultati vengono confermati dalle molte analisi di robustezza effettuate da Invitalia, anche per quanto riguarda la ridotta significatività statistica di alcune variabili esaminate.
In generale lo strumento sostiene quindi la crescita dimensionale delle imprese, mentre gli effetti sulla redditività e produttività sono più deboli o poco presenti.
Inoltre, sempre secondo Invitalia, si registra un impatto positivo dello strumento sulle performances delle imprese agevolate. Ciò non garantisce di per sé effetti positivi sull’economia locale. Quest’ultimo è d’altronde uno degli obiettivi principali dei Contratti di sviluppo, e quindi un aspetto fondamentale della valutazione dello strumento.
I risultati dell’analisi dell’impatto territoriale dei Contratti di sviluppo possono essere diversi da quelli sulle imprese agevolate, in quanto ci potrebbero essere sia effetti di crowding out che influenzano negativamente l’attività delle imprese non agevolate, con un saldo complessivo solo lievemente positivo o addirittura nullo, sia invece spillover positivi sullo stesso territorio e su quelli vicini. Per quanto riguarda l’impatto sul territorio, la stima dell’effetto addizionale sulla crescita degli occupati nei Sistemi locali del lavoro è positiva e statisticamente significativa in circa mediamente dello 0,5-0,7% annuo (periodo osservato 2011-2017).
Poco meno di metà di tale effetto può essere imputabile agli spillover degli investimenti tra aree limitrofe. È un impatto significativo, che sostiene la crescita economica in queste aree. Questo si riflette in un aumento del tasso di occupazione di circa un punto percentuale, che rappresenta certamente un importante miglioramento delle condizioni del mercato locale del lavoro: si tratta di un risultato positivo che si discosta in parte anche da quelli della letteratura valutativa italiana prodotta su strumenti analoghi.
Tale differenza può essere imputabile al carattere negoziale dello strumento, che ha portato a una scelta accurata delle iniziative, ma anche alla rilevante presenza nei progetti di imprese di dimensione piccola e media, che intrattengono solitamente legami stretti con l’economia locale.
Un effetto, quest’ultimo, non analizzato specificamente da Invitalia, che in letteratura si definisce “effetto vicinato”, ossia se l’essere circondato da regioni povere o meno sviluppate (come ad esempio alcune realtà del nostro Mezzogiorno) può incidere negativamente sui risultati delle politiche di sviluppo locale in quanto le interazioni negative possono diminuire l’efficacia degli interventi e favorire l’aumento delle disuguaglianze.
Al contrario, noi ipotizziamo, a partire dai dati di Invitalia, che l’”effetto vicinato” possa probabilmente anche essere di segno positivo generato dall’impatto dei Contratti di sviluppo sul territorio “trattato” (ossia che beneficia del Contratto di sviluppo) e sui territori adiacenti “non trattati” (che non beneficiano del Contratto di sviluppo) per usare la terminologia dell’analisi controfattuale utilizzata per le valutazioni di impatto delle politiche pubbliche. Una ipotesi che potrebbe essere approfondita e verificata dalle prossime valutazioni di impatto che interesseranno il Contratto di sviluppo nei prossimi anni.
Inoltre, non è da sottovalutare anche la presenza di spillover tecnologici, spesso evidenziati in letteratura, che sospingono processi di sostituzione e innovazione tecnologica nell’area, facilitati dalla presenza di capitale umano e conoscenze specifiche a livello locale attivata dagli investimenti agevolati. I moltiplicatori locali di occupazione dei Contratti di sviluppo, sia internamente che esternamente al territorio di localizzazione, sono positivi e rafforzano le capacità dell’intervento di sostenere lo sviluppo dell’area.
In conclusione, sembrerebbe che gli investimenti finanziati dai Contratti di sviluppo, in particolare nel Mezzogiorno, attraverso anche l’utilizzo del contratto di rete, hanno favorito la crescita dimensionale delle imprese e il miglioramento delle loro performances con incrementi di occupazione addizionale in misura significativa sui territori e quindi nel complesso hanno sostenuto lo sviluppo delle aree più deboli.
Questo sostegno appare particolarmente importante in una fase in cui il rallentamento congiunturale dell’economia ha ridotto le decisioni di investimento delle imprese, in particolare al Sud. Al contrario gli effetti sulla redditività e produttività sono generalmente “più dubbi”. L’auspicio è che gli investimenti futuri, in particolare quelli previsti dal PNRR per il triennio 2024-2026, possano aumentare l’impatto economico su imprese e territori interessati dai Contratti di sviluppo.