Al fine di fornire ad una prima valutazione di impatto e sottolineare l’importanza che gli investimenti previsti dalla “Transizione 4.0” avranno sulle imprese manifatturiere e sul Pil italiano, in questo articolo si espongono i principali risultati di uno studio coordinato dal sottoscritto e pubblicati su di una rivista americana (“An Assessment of the Potential Impact of Industry 4.0 in Italian manufacturing: Foundation for Microsector Analysis” in Industriy 4.0, Principles, Effect and Challenges, Yilmazz Uygun Editor, NY).
Lo studio si inserisce in un filone di ricerca che a partire dagli anni novanta ha mosso i primi passi in Europa alimentato da un crescente interesse sugli effetti che le politiche pubbliche (in particolare le leggi di incentivazione finanziaria alle imprese) hanno sulla economia e sui settori produttivi destinatari dell’incentivo.
All’aumento di “domanda” di informazioni e al crescente interesse/ruolo che le politiche di incentivazione hanno acquisito nel tempo nella politica industriale come strumento di promozione di impresa, però, non sempre ha corrisposto in Italia una informazione adeguata sull’impatto che esse hanno sull’economia in generale a livello macroeconomico ovvero sui singoli settori produttivi a livello microeconomico. Una carenza di informazioni che sovente ha condizionato in negativo le decisioni dei policy makers, disattendendo una importante massima di Luigi Einaudi: “Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare”.
I risultati che si presentano in forma sintetica in questo articolo, cercano di colmare in parte simili lacune e dare un proprio contributo sul tema.
Il principale obiettivo di questo studio, infatti, attraverso una “valutazione di impatto ex post” degli investimenti realizzati nel periodo 2017-2019 è stato lo stimare l’impatto economico sui settori del manifatturiero italiano del Piano “Industria 4.0” (successivamente denominato “Impresa 4.0” e oggi “Transizione 4.0″) introdotto dal Governo italiano nel 2016 e ripreso dal Pnrr (Misura M1C2) che ha un valore di 13,38 miliardi di euro. Una azione di policy che potrebbe risultare estremamente importante per la competitività dell’economia italiana (seconda economia manifatturiera dell’Unione europea a elevata propensione all’export), dove sono localizzate circa 800mila imprese manifatturiere soprattutto di medio-piccole dimensioni.
In particolare, occorre considerare che in Italia le imprese manifatturiere con meno di 49 addetti (classe 0-9 addetti e classe 10-49 addetti) racchiudono il 99,4% del totale e che circa il 50% delle nostre esportazioni proviene da aziende con meno di 49 addetti e dove quelle di più grandi dimensioni (ossia con più di 250 addetti) rappresentano solo lo 0,1% del totale (circa 3.300).
Quindi, una differenza specifica della struttura produttiva italiana molto diversa da quella dei principali competitors come la Germania, Usa, Cina, etc. che va irrobustita in termini quantitativi (crescita dimensionale delle imprese) e, allo stesso tempo, valorizzata e resa più competitiva attraverso il buon esito delle politiche a sostegno dell’innovazione non solo tecnologica delle imprese grazie all’impatto sul settore manifatturiero del Piano “Transizione 4.0”.
Le differenze tra la struttura produttiva italiana (poche medie-grandi imprese, molte piccole e moltissime micro imprese) e quella degli altri Paesi occidentali, in particolare Usa, Giappone e Germania, si evincono anche dai dati relativi all’utilizzo degli incentivi previsti dal Piano.
Date queste caratteristiche, i dati relativi all’utilizzo delle agevolazioni fiscali previste dal Piano “Impresa 4.0” nel suo primo triennio di vita (2017-2019), ci hanno confermato la presenza dell’effetto leva sugli investimenti del Piano, evidenziando al contempo alcune criticità legate alla piccola dimensione delle imprese italiane. Infatti, se prendiamo come riferimento il valore complessivo degli investimenti fatti dalle imprese in beni materiali e immateriali connessi a tecnologie 4.0, pari a circa 14 miliardi di euro, il dato è positivo. Al contrario, se lo confrontiamo con il numero di imprese beneficiare, circa 53 mila localizzate soprattutto al Nord Italia, e soprattutto con il numero di quelle che hanno goduto del superammortamento (oltre un milione di contribuenti) è evidente che la platea di potenziali beneficiari delle misure è ancora ampia e difficile da raggiungere in particolare al Sud (Fonte: MIMIT).
Se si scende nel dettaglio ci si accorge che i 2/3 degli incentivi sono andati a medio grandi imprese; gli investimenti hanno riguardato principalmente la componente macchinari (circa 10 miliardi di euro d’investimenti in beni materiali contro i circa 3 miliardi di euro in beni immateriali). Inoltre, solo 95 imprese in Italia hanno effettuato investimenti in beni di valore superiore ai 10 milioni di dollari; 233 sono state invece interessate da progetti di ricerca e sviluppo di valore superiore ai circa 3 milioni di euro.
Da questi dati, si evidenzia come il Piano ancora non sia stato pienamente utilizzato dalle imprese e le sue potenzialità sono ancora tutte da esprimersi in termini economici. In questo contesto ancora non a pieno regime ed in evoluzione, si inserisce il nostro lavoro di valutazione.
In conclusione, a partire dalle soluzioni metodologiche proposte sotto alcuni aspetti anche sperimentali, è stato possibile stimare l’impatto economico potenziale che il Piano “Transizione 4.0”, potrebbe avere nei settori produttivi appartenenti al settore manifatturiero partendo dai risultati giù conseguiti nel triennio 2017/19.
Detto ciò, il dato principale che emerge dallo studio (si riferisce all’ “effetto incrementale” dell’output potenziale del settore manifatturiero che si ipotizza al netto delle importazioni rilevato nel triennio 2017/19), è un valore aggiuntivo pari allo +0.13% annuo per 10 anni ossia un incremento nominale aggiuntivo cumulato del +1.3% nel decennio 2017 – 2027.
Tale “effetto incrementale” risulterà avere un effetto moltiplicatore potenzialmente di 2.5 volte gli incentivi messi a disposizione dallo Stato. Ciò significa che, per ogni euro investito e grazie alle agevolazioni fiscali previste da “Transizione 4.0”, nell’intero settore manifatturiero verrà generato un output potenziale pari a 2 volte e mezzo l’investimento iniziale.
Un dato nominale ma che fa ben sperare per il rilancio dell’economia italiana, non solo in termini quantitativi ma soprattutto anche in termini qualitativi (più innovazione, più efficienza, minori costi, maggiore qualità dei prodotti, più esportazioni, più occupazione etc.) e di competitività sui mercati internazionali delle nostre imprese, che genererà un ulteriore effetto aggiuntivo sulla nostra economia.
Da un punto di vista dei singoli settori manifatturieri, secondo i risultati dello studio l’impatto più rilevante della policy lo si potrebbe avere per i cosiddetti settori “high tech”, ma anche il Made in Italy darà il suo contributo.
Infatti, i settori che beneficeranno maggiormente degli sgravi fiscali previsti con un maggiore effetto moltiplicatore (settori a “maggiore impatto”) saranno quelli legati alla produzione di macchinari e la fabbricazione di prodotti in metallo. Ciò probabilmente avverrà in quanto questi ultimi sono i settori che maggiormente hanno la capacità non solo di introdurre nelle varie fasi della produzione macchinari all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, ma anche e soprattutto nel saper combinare insieme diverse tecnologie e metterle in rete. Inoltre, sono quei settori dove la dimensione media delle imprese è più elevata e dove è presente una organizzazione interna conseguentemente più strutturata.
I settori fanalino di coda della nostra analisi (settori a “minore impatto”) sono quelli della fabbricazione della carta, della stampa e del legno.
Infine, dalla nostra analisi emerge che, grazie alle caratteristiche dell’economia italiana (ogni 100 euro di PIL, 33-34 euro derivano dall’export) a forte vocazione estera della maggior parte delle nostre imprese manifatturiere, l’apertura ai mercati esteri, mediamente, risulta essere un fattore “importante” per la determinazione dell’ampiezza dell’impatto di “T4.0” sui settori produttivi: su 14 settori esaminati ben 10 hanno una propensione all’export superiore al 30%.
Tutto ciò in generale. Disaggregando maggiormente l’analisi dei dati, emergono alcune differenze. Alcuni settori che hanno registrato un più elevato impatto hanno anche una più elevata propensione all’export, confermando la nostra tesi. Un esempio su tutti è rappresentato dal settore della produzione dei macchinari che ha una propensione all’esportazione pari al 63% oltre ad essere il primo settore per peso delle esportazioni del manifatturiero (18% del totale). A seguire, l’industria tessile la cui propensione delle esportazioni è pari al 60%. Un esempio opposto è dato dal settore del legno e della stampa agli ultimi posti la cui propensione all’export è pari, rispettivamente, al 12% e allo 0,4%.
In conclusione, potremmo sintetizzare i principali risultati del lavoro in cinque “fatti stilizzati” per usare una terminologia introdotta da Nicholas Kaldor:
- non è rilevabile una relazione diretta tra elevati valori del moltiplicatore dell’output ed un alto impatto economico a causa dei differenti gradi di utilizzo degli incentivi previsti da parte dei singoli settori manifatturieri. Un esempio fra tutti riguarda il settore chimico. Difatti osservando i dati notiamo come tale settore abbia il moltiplicatore più elevato tra tutti quelli che abbiamo studiato (2,8 rispetto a 2,5 come valore medio) mentre si evince come l’impatto economico sia in questo settore tra i più bassi (settori a “minor impatto”). Ciò è dovuto al “minore utilizzo” degli incentivi fiscali. Ovviamente questo effetto potrà essere migliorato nel tempo con interventi settoriali correttivi;
- dall’analisi dei dati notiamo come emerge un gruppo di settori a medio e a maggiore impatto che traineranno la performance dell’intero settore manifatturiero. Ciò grazie a una propensione all’innovazione medio alta e a più elevati coefficienti tecnologici, con un effetto moltiplicatore che permetterà l’aumento della produzione aggiuntiva superiore a quella media di molti dei 14 settori da noi studiati. In particolare, secondo le nostre stime, i primi quattro settori con effetto moltiplicatore maggiore saranno: fabbricazione delle macchine; produzione del metallo; tessile e alimentare. Essi rappresentano il 42% del totale degli addetti e delle esportazioni del settore manifatturiero;
- dalla nostra analisi si è rilevata, inoltre, una robusta relazione tra un elevato impatto e la capacità di esportare dei singoli settori studiati. Una caratteristica comune a quasi tutti settori del manifatturiero (quindi di tipo trasversale e non caratterizzante esclusivamente quelli ad elevato impatto) anche se con intensità differente. Ciò significa che, attraverso una “relazione di tipo circolare”, per avere una forte capacità di penetrazione sui mercati esteri dei prodotti, le nostre imprese dovranno essere più competitive sia in termini di prezzi che di qualità dei prodotti. Una combinazione tecnica che presuppone anche una importante capacità ad innovare e ad introdurre nuove tecnologie nell’organizzazione della produzione, grazie alle quali si è più competitivi sui mercati internazionali. Infatti, dalle nostre elaborazioni emerge che su 14 settori analizzati ben 10 hanno una propensione all’esportazione superiore al 30% con punte del 60 – 65% in due dei primi quattro settori per impatto economico;
- tutti i settori manifatturieri si sono avvantaggiati/si avvantaggeranno nel decennio 2017/27, pur con differente intensità, di un effetto “Transizione 4.0” che favorirà l’incremento di investimenti, produzione ed occupazione;
- i risultati in termini monetari da noi raggiunti si riferiscono ai soli effetti diretti potenziali al netto delle importazioni originati dalla leva fiscale di origine pubblica e non tengono volutamente conto degli effetti indiretti o indotti che le agevolazioni fiscali utilizzate dal settore manifatturiero avranno sugli investimenti privati (stimati in altri circa 10 miliardi di euro) e sulla domanda di altri settori economici. Difatti, molto probabilmente, “Transizione 4.0” avrà degli effetti positivi sull’indotto in particolare sul settore terziario dove ovviamente le imprese più grandi (manifatturiere) assumeranno un ruolo di traino rispetto alle imprese più piccole (in particolare del terziario avanzato, come informatica. progettazione. etc.). Un impatto di tipo trasversale che in generale, ha il potenziale di rilanciare ampi comparti dell’economia italiana.
In definitiva riteniamo possibile che queste “due forze” (effetti diretti sul manifatturiero e indiretti sull’indotto terziario e più in generale sull’economia) potrebbero amplificare l’“effetto T4.0” (2,5 volte i circa 13,38 miliardi di euro di agevolazioni fiscali previsti dal Pnrr) sull’intero sistema produttivo nazionale grazie anche ai fondi messi a disposizione dal Piano da utilizzare entro il 2026 i cui effetti si vedranno negli anni successivi, giusto in occasione del decennale dell’introduzione della misura, ma ciò lo si potrà verificare solo nel prossimo futuro.