Il recente attacco di Israele contro l’Iran rappresenta una significativa escalation del conflitto nella regione, ma le preoccupazioni sono ancora più alte a fronte di un possibile intervento USA.
Il prezzo del petrolio è il principale canale di contagio per i mercati globali. Dopo l’attacco, il prezzo del petrolio è aumentato materialmente con un incremento anche della sua volatilità. Sebbene gli attacchi israeliani abbiano risparmiato finora le strutture di produzione iraniane, un’ulteriore escalation potrebbe portare a un aumento significativo dei prezzi. Il peggior scenario possibile sarebbe o la distruzione degli impianti nella regione, o la chiusura dello Stretto di Hormuz da parte dell’Iran attraverso il quale passa circa il 25% del petrolio mondiale trasportato via mare. In teoria, l’Iran non dovrebbe avere interesse a creare ulteriori difficoltà alla sua già provata economia, né a infastidire la vicina Arabia Saudita, con la quale c’è stato un certo riavvicinamento. Qualora il mercato dovesse constatare una riduzione del flusso di petrolio dalla regione, il suo prezzo potrebbe salire fino a 100-130 dollari al barile.
L’aumento dei prezzi del petrolio avrebbe un impatto inflazionistico sulle economie avanzate. Per ora, il mercato resta ampiamente rifornito e ancora al di sotto dei livelli visti un anno fa in area 80 dollari, limitando le preoccupazioni sul fronte dei prezzi e mantenendo ancorate le aspettative di inflazione. Tuttavia, la Federal Reserve e, in misura minore, la Banca Centrale Europea potrebbero decidere di ritardare ulteriori tagli dei tassi fino all’autunno in attesa di dati più chiari su ciclo economico e prezzi al consumo.
L’aumento del rischio geopolitico e dei prezzi del petrolio agisce come uno shock stagflazionistico. La Federal Reserve stima che un aumento di 10 dollari del prezzo del petrolio possa aumentare l’inflazione dello 0,4% e ridurre la crescita dello 0,4%. Dopo un primo trimestre relativamente forte, ci sono già segnali di rallentamento per l’estate, con l’inflazione legata ai dazi che potrebbe ridurre il potere d’acquisto dei consumatori statunitensi.
I mercati hanno reagito in modalità “risk-off” agli attacchi, con un aumento dei prezzi del petrolio e una diminuzione dei mercati azionari. Il dollaro statunitense, tradizionalmente favorito nei momenti di tensione, ha guadagnato relativamente poco e in maniera piuttosto incerta, confermando i dubbi degli investitori a fronte di alcune scelte di politica economica dell’amministrazione USA.
In sintesi, un’ulteriore escalation con allargamento del conflitto tra Israele e Iran potrebbe avere significative ripercussioni sui mercati globali tramite un aumento dei prezzi del petrolio, un impatto inflazionistico, probabilmente temporaneo, e un rallentamento della crescita economica. Per ora, la comunità finanziaria appare relativamente fiduciosa che anche questo conflitto resti contenuto tra i due paesi con limitati effetti all’esterno: se questo non dovesse accadere, ci sarebbero le condizioni per volatilità più alta e mercati azionari in ribasso, anche in modo importante.