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Challenger Banks

Come vanno Illimity, Aidexa, Tinaba e non solo

Tutto sulle challenger Bank secondo un rapporto di Mediobanca 

È dedicato alle challenger banks il report firmato dall’area studi di Mediobanca e pubblicato in questi giorni. Il documento – oltre a spiegare cosa sono e come si situano all’interno del mondo fintech – analizza anche il contesto in cui si muovono a livello europeo e italiano e si scopre il feeling crescente con i grandi gruppi del credito.

COSA SONO LE CHALLENGER BANKS

Come si legge nello studio, le challenger banks – o neobanks o banche digitali o banche virtuali – sono istituti finanziari comparsi da poco tempo sul mercato, attivi solo via smartphone e App. In genere nascono come start-up che forniscono servizi finanziari di nicchia come la gestione delle spese aziendali, l’offerta alla clientela retail di soluzioni di pagamento, l’emissione di carte di debito/credito prepagate con il trasferimento istantaneo di denaro e l’utilizzo dei fondi su base multi-currency.

Ovviamente nelle challenger banks si pone l’accento sulla componente tecnologica visto che mancano filiali e il personale è scarso, il che porta anche a costi di funzionamento inferiori rispetto alle banche tradizionali. Per questo motivo possono applicare costi minori, con pacchetti base a volte gratuiti che – grazie anche all’offerta tecnologica – hanno un certo appeal sui clienti più giovani. Il primo esempio di banca full digital in Europa si può rintracciare a fine Novecento in ING Direct del gruppo olandese ING.

Nel report di Piazzetta Cuccia si mette in evidenza un’altra caratteristica ossia il fatto che – specialmente nella loro fase di avvio – di norma non dispongono di una licenza bancaria e dunque – a causa della limitata offerta di servizi – di solito avviano partnership con banche incumbent o con altre FinTech o InsurTech. In seguito è possibile che alcune challenger banks richiedano una licenza bancaria diretta oppure acquisiscano preesistenti istituti già dotati di licenza.

Va evidenziato che diversi istituti di credito tradizionali di recente hanno diversificato la propria offerta tradizionale e lanciato (o acquisito) piattaforme digitali in modo da raggiungere o fidelizzare i clienti più tecnologici e con elevata elasticità rispetto al livello delle commissioni bancarie.

COSA SUCCEDE IN UE E IN ITALIA

Ma quali sono le più note challenger banks del Vecchio Continente?

In Europa, l’area studi di Mediobanca cita la britannica HSBC con la propria divisione “First Direct”, le spagnole Caixa Bank, con la controllata Imagin Bank, Santander con OpenBank e Bankinter con Evo Banco (acquisito nel 2018 dal fondo Apollo). In Francia operano Société Générale con Shine.Fr e Boursorama Banque, oltre al brand digitale “Banxup”, BNP Paribas con Nickel (un servizio di carte prepagate con Iban) oltre al brand “Hello Bank”, Groupe BPCE con Fidor Bank, Crédit Agricole Group con BforBank e il brand digitale “EKO”, Crédit Mutuel Group con Fortuneo e Monabanq; in Germania, Deutsche Bank con il brand “Fyrst” mentre in Svizzera a giugno 2020 UBS ha lanciato il brand “Key4”.

Rientrando nei confini nazionali in Italia sono attive soprattutto UniCredit con il brand “buddybank”, Intesa Sanpaolo con il brand “IW Bank” gestito da Fideuram, Banca MPS con Widiba e BPER con il progetto di light banking “Dots” gestito dalla controllata Bibanca su piattaforma di Fabrick, oltre a Banco BPM con il brand Webank.

LE CHALLENGER INDIPENDENTI IN ITALIA

Sempre nel nostro Paese occorre pure ricordare gli intermediari che hanno scelto un posizionamento di nicchia, seguendo un profilo mono-business, almeno nelle fasi iniziali della loro operatività: tra questi ci sono istituti con focus sulle piccole e medie imprese (B2B) come Guber (gestione crediti deteriorati), Banca CF+, Illimity, Banca Progetto, Banca AideXa.

Tra le challenger indipendenti attive perlopiù nel segmento retail, il report di Mediobanca cita Tinaba di Banca Profilo, Hype (ora joint venture tra Banca Sella e Illimity) e Vivibanca (nata nel 2017 dalla fusione tra Credito Salernitano e TerFinance), specializzata nel credito alle famiglie attraverso la cessione del quinto.

Inoltre ci sono Banca Progetto, Cherry Bank e Igea Digital Bank che coprono entrambi i tipi di clientela mentre Banca AideXa e Tot (ora partecipata da Banca Sella) rappresentano le uniche iniziative di startupper al momento individuabili nel panorama italiano.

I CONTI DELLE CHALLENGER ITALIANE

Andando a spulciare i conti delle challenger banks italiane si nota che hanno superato molto bene il primo anno pandemico visto che sono cresciute a doppia cifra sia nel margine di intermediazione (+42,2% sul 2019) sia nel risultato operativo (>100%) e hanno contenuto le perdite su crediti (scese da -31,3 milioni nel 2019 a -10,3 milioni nel 2020), fatto che ha contribuito a migliorare il risultato netto. Nel 2021 le maggiori rettifiche di valore dei crediti hanno frenato parzialmente la buona dinamica a livello di margine di intermediazione (+22,8% sul 2020) e risultato operativo (+75,2%), e così il risultato netto è migliorato del 63,1%. Il ROE è cresciuto di quasi 4 punti percentuali arrivando lo scorso anno al 9,4%.

Anche a livello patrimoniale la situazione è abbastanza buona: aumentati i crediti v/clienti (+38,8% sul 2019) e i totali attivi (+35%). SI tratta di numeri, segnalano da Mediobanca, che beneficiano del proseguimento, anche nel 2021, degli interventi pubblici a sostegno delle attività creditizie verso le famiglie e le attività produttive, come le garanzie pubbliche prestate da Mediocredito e Sace (sino al 90% del valore dei nuovi crediti) e le moratorie sui crediti in essere.

Nel report c’è spazio anche per un confronto tra la struttura di conto economico delle challenger banks e quella aggregata di 360 istituti di credito italiani. I principali istituti nazionali segnano un più elevato risultato operativo con le maggiori differenze che risiedono nell’incidenza del costo del lavoro e delle spese generali sul totale dei ricavi. La prima è minore per le challenger, rispettivamente di quasi 15 punti percentuali e 6 punti percentuali per quelle specializzate nella clientela retail e nella clientela business.

Le challenger, da parte loro, hanno un’alta incidenza delle spese generali – con il livello più elevato tra le società attive nel retail – tanto da portare a un risultato operativo negativo. Analizzando la composizione delle spese generali si nota una forte incidenza dei costi di consulenza, dei servizi in outsourcing e della pubblicità. Ovviamente la “struttura snella” degli organici impone alle challenger banks di rivolgersi all’esterno per ottenere servizi che le atre banche svolgono internamente.

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