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Come va Unicredit di Orcel secondo il Wall Street Journal

Analisi e approfondimenti del Wall Steet Journal su Unicredit gestita da Orcel.

“Come uno ‘star banker’ ha sovralimentato un titolo finanziario in difficoltà”. Così il Wall Street Journal ha titolato un lungo articolo sull’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, sottolineando come, “in un momento difficile per il mondo finanziario, c’è un titolo bancario che è più che raddoppiato nell’ultimo anno, spinto da un obiettivo audace: trasformare un istituto di credito italiano, un tempo in difficoltà, in una macchina da profitti”.

CHE COSA HA SCRITTO IL WALL STREET JOURNALE SU UNICREDIT DI ORCEL

Il Wsj ricorda come Unicredit, nel 2022 abbia registrato “il più alto utile annuale in oltre un decennio. Alla chiusura di lunedì, le sue azioni sono salite del 42% nell’anno, nonostante le turbolenze di marzo, rispetto a un aumento del 9% dell’indice Stoxx Europe 600 Banks”. “Il rilancio è stato guidato da Orcel”, che “ha ereditato un istituto ancora in fase di ristrutturazione e con sede in un Paese noto per la crescita economica anemica”, afferma il quotidiano finanziario, aggiungendo che l’amministratore delegato “ha ridotto i tempi di approvazione dei mutui e ha eliminato i comitati interni che rallentavano il processo decisionale. Ha ridotto il costoso lavoro di consulenza esterna e ha eliminato gli strati di gestione, dando potere ai dipendenti ai livelli più bassi”, spiega il Wall street journal.

L’APPROFONDIMENTO DI AFFARI & FINANZA

Un’analisi che non si discosta troppo da un approfondimento firmato giorni fa dal giornalista esperto di finanza a Repubblica, Giovanni Pons, già direttore di Business Insider Italia: “Cosa fa Orcel quando arriva? – si è chiesto Pons sul supplemento Affari & Finanza – Il valore del titolo è basso, 0,4 sul patrimonio netto, dunque non è pensabile fare acquisizioni utilizzando la propria carta. Quindi si concentra sulla gestione, riorganizza la squadra, assegna responsabilità dirette e nell’arco di due anni i risultati si vedono. Rispetto al triennio 2017-2019 i ricavi salgono del 17%, i costi scendono dell’8%, gli asset rischiosi del 10% e l’utile netto sale dell’85%. La gestione torna a generare capitale, anche al netto della ristrutturazione delle attività in Russia, e dunque Unicredit si trova con un eccesso di capitale, almeno cinque miliardi (ma anche di più) da redistribuire ai soci sotto forma di dividendi o riacquisti del titolo in Borsa: 3,8 miliardi nel ‘22 sul bilancio ‘21 e 5,25 miliardi nel ‘23 sul bilancio ‘22″.

I GIUDIZI DI SMEAD

Il nuovo ad si è mosso immediatamente al per rendere la banca più agile e focalizzata sulla crescita, ha sottolineato ieri il Wall Street Journal: “Orcel ha ridotto i tempi di approvazione dei mutui e ha eliminato i comitati interni che rallentavano il processo decisionale. Ha ridotto il costoso lavoro di consulenza esterna e ha eliminato gli strati di gestione, dando potere ai dipendenti ai livelli più bassi”. “Quello che mi piace di Orcel è la sua volontà di dare una scossa alle cose”, ha dichiarato Cole Smead, CEO di Smead Capital Management. Un fondo di Smead Capital ha investito in UniCredit. Smead ha detto di apprezzare i buyback che la banca ha iniziato a fare l’anno scorso, non molto utilizzati dagli istituti di credito europei. Il titolo è più che raddoppiato nei 12 mesi a lunedì, molto più di qualsiasi altro componente dell’indice S&P 1200 Global Financials, secondo i dati di S&P Global Market Intelligence.

L’ANALISI DI MEDIOBANCA

“Il ritorno del capitale agli azionisti è il pilastro principale della strategia di Orcel”, ha dichiarato Andrea Filtri, co-head of European equity research di Mediobanca. UniCredit prevede di pagare agli investitori 5,25 miliardi di euro, pari a 5,77 miliardi di dollari, attraverso dividendi e riacquisti legati ai risultati del 2022. Filtri ha dichiarato che ciò equivale a circa il 15% della capitalizzazione di mercato della banca, il rapporto più alto del settore.

LE SFIDE DI ORCEL

La strategia di Orcel presenta delle sfide, rileva comunque il quotidiano finanziario americano: “È probabile che il portafoglio prestiti della banca si deteriori a causa della difficoltà dei mutuatari a rimborsare i prestiti con l’aumento dei tassi, anche se il danno sarà probabilmente moderato, ha dichiarato Maria Jose Mori, analista di Moody’s Investors Service. Si prevede inoltre che l’economia italiana rallenti quest’anno. Al di fuori del suo Paese, UniCredit è sotto pressione per ridurre la sua esposizione alla Russia, dove controlla una banca locale. UniCredit è anche un importante operatore in Germania e nell’Europa centrale e orientale”.

I NUMERI SOTTO I RIFLETTORI

Inoltre, in base a una misura chiave apprezzata dagli investitori bancari, UniCredit è migliorata, ma rimane un lavoro in corso. Il titolo della banca viene ora scambiato a circa 0,7 volte il valore contabile, il che significa che il mercato lo valuta ancora sostanzialmente inferiore al valore delle sue attività dopo aver sottratto le passività. Rapporti così bassi possono segnalare preoccupazioni circa la redditività o la solidità patrimoniale di una banca. Tuttavia, in base a questo parametro, UniCredit ha rapidamente raggiunto Intesa ed è ora più valutata di grandi nomi come Santander o Francès BNP Paribas SA. “Non mi sorprenderebbe se entro l’anno prossimo UniCredit venisse scambiata al valore contabile”, ha dichiarato Smead.

IL NO DI ORCEL A MPS

Orcel – secondo il Wall Street Journal – è stato attento in un settore che conosce bene: le operazioni societarie: “Ha esaminato ma alla fine si è trattenuto dall’acquistare l’istituto di credito nazionalizzato Banca Monte dei Paschi di Siena SpA nel 2021, che Roma era ansiosa di vendere. Ha anche mostrato poca voglia di prendere in considerazione altre fusioni, concentrandosi per ora sull’aumento del valore di UniCredit”.

I LAVORI IN CORSO PER IL TITOLO UNICREDIT

In base a una misura chiave apprezzata dagli investitori bancari, UniCredit è migliorata, ma rimane un lavoro in corso. Il titolo della banca viene ora scambiato a circa 0,7 volte il valore contabile, il che significa che il mercato lo valuta ancora sostanzialmente inferiore al valore delle sue attività dopo aver sottratto le passività. Rapporti così bassi possono segnalare preoccupazioni circa la redditività o la solidità patrimoniale di una banca. Tuttavia, in base a questo parametro, UniCredit ha rapidamente raggiunto Intesa ed è ora più valutata di grandi nomi come Santander o Francès BNP Paribas SA. “Non mi sorprenderebbe se entro l’anno prossimo UniCredit venisse scambiata al valore contabile”, ha dichiarato Smead.

MA CHE DIAVOLO HA COMBINATO MUSTIER?

Alla luce dell’andamento di Unicredit con la gestione di Orcel, è comprensibile l’incipit da cui è partito l’approfondimento di Pons del 17 aprile: “Difficile comprendere sino in fondo la parabola di Unicredit degli ultimi sette anni. A metà 2016 si insedia un amministratore delegato francese, Jean Pierre Mustier, che vara un aumento di capitale monstre da 13 miliardi di euro e nel giro di due anni vende tutti i gioielli del gruppo faticosamente accumulati dai suoi predecessori, per un incasso complessivo di oltre 20 miliardi”. Poi, quando il gruppo è ridotto ai minimi termini, arriva un nuovo Ceo italiano, di formazione anglosassone, Andrea Orcel, “che rimette in sesto il gruppo dal punto di vista gestionale e redistribuisce agli azionisti sotto forma di dividendi e buyback gran parte della cassa accumulata”, scrive Pons.

LE DOMANDE DI PONS SUL CONFRONTO MUSTIER-ORCEL

In sostanza, da una logica di liquidazione, “in pochi anni si è passati a un ritorno alla redditività che genera capitale riaprendo le prospettive di crescita futura. Certo, quei gioielli non ci sono più, quindi gli utili di oggi hanno meno qualità, e quindi il titolo in Borsa cresce ma non allo stesso passo della crescita degli utili, quindi il rapporto price-earning, molto guardato dagli analisti, scende. Insomma, oggi viene da chiedersi, ex post, se la fase di liquidazione sia stata effettivamente necessaria, soprattutto in quella dimensione. Era necessario vendere Pioneer, Bank Pekao, Fineco, Mediobanca, svendere 17 miliardi di crediti in sofferenza, far uscire 10 mila dipendenti relegando Unicredit a Italia, Germania e Austria? Oppure c’è stata una totale mancanza di visione da parte di Mustier o, peggio ancora, tutto ciò faceva parte di un disegno per servire Unicredit sulla tavola di un grande gruppo bancario internazionale?”

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