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Pnrr

Come va il Pnrr: fatti, numeri, frottole e scenari

Il punto sul Pnrr. L'approfondimento di Giuseppe Liturri

Due giorni densi di novità ed aggiornamenti per comprendere lo stato di avanzamento del Pnrr. Da un lato, giovedì il ministro Raffaele Fitto ha presentato la relazione semestrale sull’attuazione del Pnrr, facendo il punto della situazione sulla spesa e sul conseguimento degli obiettivi; dall’altro, la Commissione si è arrampicata sugli specchi per raccontare ai cittadini europei le “meravigliose sorti e progressive” che ci attendono grazie al Next Generation Ue.

Fitto è impegnato nello sforzo titanico di condurre in porto un’imbarcazione che fa acqua da tutte le parti sin dal primo giorno ed ha buoni motivi per essere orgoglioso dei risultati raggiunti fin qui, sui quali, onestamente, in pochi avrebbero scommesso. Ha ottenuto una rilevante revisione del Pnrr, ha incassato quattro rate (incluse quelle incassate dal governo Draghi) ed è in procinto di incassare la quinta. Lottando in un mare di burocrazia, tratto essenziale del NextGenEU.

Il ministro pugliese ha difeso con i denti i 45 miliardi di spesa sui 194 dell’intero Pnrr, dall’accusa di essere una somma esigua rispetto all’obiettivo finale. La critica si è concentrata sulla presunta esiguità della spesa rispetto all’obiettivo finale, mancando però il punto.

Infatti, l’errore è pensare che ci sia una progressione lineare nella spesa e che quindi non si arriverà mai a 194 miliardi nel 2026. Ma con migliaia di bandi e gare assegnate è normale che la fase iniziale veda girare molta carta e poco denaro e, successivamente, con il progredire dei cantieri, girerà più denaro e meno carta. La progressione sarà molto più rapida, senza che questo tuttavia garantisca alcuna certezza sul raggiungimento dell’obiettivo finale.

Ma qui il punto è rispondere alla domanda: stiamo spendendo in modo efficiente ed efficace? O la fretta, oltre ad obiettivi calati da Bruxelles, sta partorendo gattini ciechi? E su questo Fitto poco o nulla può. Condurrà in porto, forse, una barca piena di progetti che tra qualche anno chiameremo “sprechi” e che arricchirà catene di fornitura che molto spesso terminano in Cina e dintorni.

Inoltre il Mef dovrà gestire un problema di sfasatura nei flussi finanziari di entrata e uscita legati al Pnrr, che illustreremo più avanti.

Invece, mercoledì è andata in scena a Bruxelles la rassicurante messa in scena di “Una storia di successo”. È questa la trionfante descrizione del Next Generation UE da parte dei commissari UE Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis, che hanno presentato il rapporto sul suo stato di avanzamento a metà del percorso.

Il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF, che costituisce la parte più consistente del NextGenUE) compie proprio in questi giorni 3 anni dal suo (tormentato) varo e si avvia verso i prossimi 3 anni, decisivi per decretarne il successo o l’insuccesso.

Parole che fanno letteralmente a pugni con l’impietosa descrizione dell’effettiva implementazione del RRF che il Financial Times aveva fornito il giorno prima, in un lungo e dettagliato resoconto. Per non parlare dei dubbi che abbiamo sollevato sin dal luglio 2020, quando si favoleggiava che Giuseppe Conte fosse tornato da Bruxelles con sottobraccio un assegno da 209 miliardi.

Oggi la Commissione sostiene – senza temere di oltrepassare il ridicolo – che il pagamento di 225 miliardi nel triennio 2021-2023, su un impegno iniziale di 723 miliardi tra sovvenzioni e prestiti, abbia avviato la rapida “trasformazione della società”. Appena il 31,1% e, dato ancora più clamoroso, solo l’1,41% del Pil della Ue 2022 a prezzi correnti. Appena lo 0,47% medio annuo del Pil. Quale impatto macroeconomico potrebbero mai avere questi numeri da prefisso telefonico, ci siamo chiesti per anni e si chiedono oggi sul Ft? Nell’ordine di alcuni modesti decimali. È quanto ammesso ieri dalla Commissione, che ha preso atto di aver diffuso stime fuori scala e, per non farsi mancare nulla, ha avuto l’ardire di sostenere che quegli spiccioli abbiano ridotto lo spread.

Un dato su tutti: Gentiloni ha ammesso che l’impatto sul Pil Ue del 2022 è stato pari a 0,4 punti in più, rispetto allo scenario senza RRF. Contro una stima iniziale di 1,9 punti aggiuntivi. Quasi cinque volte rispetto alla realtà. Ma andrà meglio. Infatti, stima che la crescita aggiuntiva nel 2026 nell’intera Ue sarà comunque pari a 1,4 punti. Numeri scritti sul ghiaccio.

Da ultimo, nel novembre scorso, è stato proprio l’Ufficio Parlamentare di Bilancio a ridimensionare le cifre. Che restano, al confronto con le proiezioni di Goldman Sachs riportate dal Ft, comunque esagerate.

L’Upb ha certificato che il +3,6% cumulato – previsto dal governo Draghi e corretto al 3,1% dal governo Meloni – a fine 2026 è una chimera. Nel migliore dei casi potremmo leggere un incremento cumulato variabile tra 2,3 e 2,6 punti, di cui ben 1,8/2,0 spalmati tra 2024 e 2026. Quindi tutto ancora in divenire.

Questo nella migliore delle ipotesi, perché si potrebbe scendere anche al 1,3%. Cumulare quella crescita aggiuntiva a fine periodo, significa registrare incrementi annui da “zero virgola”. In particolare, nel 2024 l’Upb attribuisce al Pnrr un impatto di 0,8/0,9 punti di PIL. Poiché si tratta dell’intera crescita prevista per il nostro Paese, qualcuno può sostenere, restando serio, che tutta la crescita 2024 dell’Italia sarà generata dagli investimenti del Pnrr?

Conscio di questa situazione, Gentiloni ha messo le mani avanti affermando che “non credo troppo a questa modellistica. Dobbiamo essere consapevoli che queste riforme e investimenti servono per il futuro del nostro Paese come per il futuro dell’intera Europa”. Abbiamo rinunciato alle previsioni di impatto e crediamo nel “sol dell’avvenire”, come, a suo tempo, l’Urss di Stalin o la Cina di Mao.

Previsioni che lasciano il tempo che trovano, anche alla luce di quanto incassato finora dall’Italia ed effettivamente speso. È sempre l’Upb a farci sapere che al 28/11/2023 la spesa registrata è pari a 28,1 miliardi (saliti a 45 con il consuntivo fornito mercoledì da Fitto), contro 101,9 miliardi incassati a fine anno ed altri 10,6 richiesti per la quinta rata. Si giunge così ad una lapalissiana conclusione.

Finora, i miliardi prestati (non dimentichiamolo mai, anche i sussidi sono da rimborsare via contributi alla Ue) da Bruxelles sono serviti prevalentemente a diminuire il fabbisogno finanziario del settore pubblico ed evitare il ricorso al mercato emettendo titoli. Quando, nei prossimi 3 anni, i cantieri andranno a regime e, sperabilmente, si chiuderanno, al Mef sanno che dovranno emettere titoli (a tassi sperabilmente più bassi di oggi) perché le entrate da Bruxelles non copriranno certamente le uscite per concludere gli investimenti.

Intendiamoci, qui non si discute dell’innegabile e benvenuto incremento di investimenti pubblici, crollati nello scorso decennio sotto la scure dell’austerità imposta dalla Ue. Il punto è la verifica delle destinazioni di spesa e delle annesse condizioni. Sono queste ultime che determinano l’impatto incrementale sul Pil. Non basta spendere. Se beni come quelli per la transizione energetica e digitale sono prevalentemente di origine estera, è bene ricordare che le importazioni incidono sul Pil con segno negativo. Ecco il motivo della crescita modesta.

Ma Gentiloni e il suo nume tutelare Dombrovskis non hanno temuto di sfiorare il ridicolo quando hanno dato la colpa del modesto impatto sulla crescita alla Russia. Da non crederci. Non è stata colpa di una spesa già inizialmente modesta, frazionata e rallentata da una sovrastruttura burocratica allestita in tutta fretta, verso destinazioni di spesa a moltiplicatore basso. Sul Ft hanno messo il dito nella piaga evidenziando che quote consistenti di investimenti inseriti nel RRF sarebbero stati comunque eseguiti dagli Stati membri e il RRF è servito soltanto a cambiare le modalità di finanziamento. Si trattava di opere già finanziate con fondi nazionali (per l’Italia 55 miliardi su 194), che quindi non possono generare crescita aggiuntiva.

C’è però un risultato che la Commissione può certamente vantare e sul quale possiamo concordare. Come voce dal sen fuggita, i due Commissari Ue tra i risultati conseguiti, si sono vantati di aver finalmente “potuto incidere” per ottenere l’esecuzione delle raccomandazioni Paese e le priorità Ue di investimento che, altrimenti, nessuno avrebbe mai rispettato.

Ci sono voluti dieci anni, ma alla fine ce l’hanno fatta. Le raccomandazioni Paese sono uscite da polverosi cassetti e, pena la mancata erogazione dei fondi, devono essere rigorosamente rispettare.

Un’arma di ricatto, in sintesi.

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