Le risorse per gli ammortizzatori sociali traballeranno presto per gli esuberi in fieri nell’ex Ilva vista la china dei rapporti tra governo e Arcelor Mittal. Ecco tutti i dettagli.
La vicenda ex Ilva potrebbe mettere a rischio l’equilibrio degli ammortizzatori sociali nel nostro Paese, con una spesa maggiore di oltre 200 milioni di euro, un incremento del 20-25% rispetto all’attuale spesa totale. E’ l’allarme che lancia una ricerca dei consulenti del lavoro presentata oggi a Roma in occasione del ‘Festival del lavoro – Anteprima 2020’. Secondo la ricerca condotta dall’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro, “la situazione occupazionale dell’acciaieria di Taranto ha visto una riduzione dell’organico operativo dai 13.800 dipendenti dell’Ilva agli attuali 10.700”.
“Infatti, secondo le clausole dell’accordo fra il ministero dello Sviluppo Economico e ArcelorMittal Italia siglato a settembre 2018, 3.100 dipendenti sarebbero rimasti alle dipendenze dell’Ilva in amministrazione straordinaria, in quanto non direttamente impiegabili nel piano industriale della newco Am Investco. Ad oggi l’intesa ha generato una ingente spesa da parte dello Stato per ammortizzatori sociali al fine di permettere l’operazione di acquisto da parte di ArcelorMittal”, avverte.
“In particolare, per il 2020 è prevista una spesa certa di 74,9 milioni di euro per la cassa integrazione, alla quale, in caso di un ulteriore ricorso agli ammortizzatori sociali per l’80% degli attuali dipendenti attivi a seguito del ‘dietrofront’ di ArcelorMittal, si aggiungerà una spesa di ulteriori 132,7 milioni. Nello scenario di stallo attuale della produzione, quindi, il 2020 comporterà un esborso da parte dello Stato per la protezione del reddito dei dipendenti ex-Ilva pari a 207,6 milioni di euro”, spiegano i consulenti.
“Alla data odierna, in realtà, l’organico dell’ILVA in A.S. conta 2.100 dipendenti in quanto circa 1.000 lavoratori hanno aderito al piano di esodo incentivato che prevede una buonuscita di 100 mila euro lordi (77 mila netti) associati a 1 anno di cig e 2 di Naspi. Dei 2.100 addetti restanti, ben 1.800 sono in cassa integrazione e, secondo gli accordi, potranno restarci per 5 anni (fino al 2023) per poi esser licenziati e fruire dunque di 2 anni di Naspi. Per costoro, Am Investco si era impegnata ad offrire un contratto di lavoro entro il 2025. I restanti 300 addetti sono impegnati nell’attuazione del piano ambientale di bonifica”, spiegano i consulenti del lavoro.
Secondo i consulenti del lavoro, “le stime di costo per le casse dello Stato, restante la situazione attuale, non sono suscettibili di cambiamenti”. “Infatti – proseguono – le probabilità per i 1.800 dipendenti in cigs lunga di avere un contratto da ArcelorMittal risultano al momento nulle. Pertanto, nel 2020 lo Stato finanzierà con 50 milioni di euro la cassa integrazione dei 1.800 dipendenti e dei 1.000 che hanno aderito all’esodo incentivato”. “Nei due anni successivi, la spesa scenderà a 49 milioni di euro – sottolineano – in quanto i sottoscrittori dell’esodo incentivato entreranno in Naspi. Am Investco Vediamo ora cosa accade ai dipendenti di ArcelorMittal (Am Investco). Per via della crisi del settore industriale, la proprietà ha richiesto e ottenuto una cassa integrazione a 0 ore per 1.400 dei 10.700 dipendenti totali. Pertanto, lo Stato ha provveduto a stanziare la somma di 25 milioni di euro per coprire lo scostamento della produzione rispetto al piano industriale previsto”.