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Politiche Fiscali

Come cambieranno le politiche fiscali nel mondo?

Con l’inflazione a doppia cifra e rendimenti in salita gli operatori temono la divergenza tra la politica monetaria e la politica fiscale. Il commento di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM (Italia) SGR

 

Per il governo di Liz Truss la luna di miele che tutti i governi appena insediati hanno con la pubblica opinione è finita molto presto e in maniera burrascosa. Motivo del malcontento è stata la “mini-manovra” fiscale, in fase di aggiustamento in queste ore, che avrebbe ridotto le aliquote contributive alle fasce della popolazione più ricche alimentando ulteriormente la corsa dei prezzi.

Con l’inflazione a doppia cifra e rendimenti in salita gli operatori temono la divergenza tra la politica monetaria e la politica fiscale, che le misure di sostegno si trasformino in volano all’aumento dei prezzi e rendano più difficile il mestiere dei banchieri centrali.

In termini generali sono almeno due le fonti di preoccupazione dei mercati:

1. il riavvolgimento del nastro delle politiche monetarie non è mai indolore, i rialzi non sono terminati, le banche centrali proseguono con determinazione la lotta all’inflazione, le ultime proiezioni della Fed mostrano livelli di 4,5%-4,75% alla fine del 2023;

2. i governi intervengono con misure espansive per attenuare i costi del caro energia, insopportabili per famiglie e imprese, ma lo fanno in un contesto di debito già alto, di inflazione e di stretta monetaria. Il crollo della sterlina all’annuncio di una manovra così impegnativa è stato plastico esempio delle preoccupazioni sulla sostenibilità delle finanze pubbliche.

Il crollo della sterlina e l’impennata dei rendimenti domestici hanno mandato in crisi di liquidità  anche gli schemi previdenziali che,  per far fronte alle richieste dei margini “mark-to-market”, hanno venduto le obbligazioni più liquide,  amplificando così il disordine del mercato.

La reazione dei mercati e la crisi di liquidità dei fondi pensione hanno costretto la Bank of England, ad intervenire acquistando titoli della Corona per 65 miliardi di sterline. A dispetto dell’inflazione al 10% la Bank of England si trova a dover stampare moneta per difendere i risparmi degli inglesi e le loro pensioni, nel prossimo futuro sono probabili ulteriori inasprimenti delle condizioni finanziarie.

Nella stessa settimana in cui la sterlina consumava la sua discesa agli inferi dei minimi storici, il governo tedesco annunciava un piano “monstre” di 200 miliardi per sostenere le imprese e attenuare il rallentamento dell’attività economica.

Avendo capacità fiscale, il governo tedesco ha preferito non attendere e non rischiare. Anche a costo delle diffuse critiche di mancato coordinamento con gli altri paesi europei. La manovra tedesca è stata criticata anche in Italia ma non dimentichiamo che la tenuta dell’economia tedesca riguarda in modo diretto la salute del nostro sistema produttivo.

Anche a Roma si insedierà a breve un nuovo governo ma la somiglianza con Londra finisce qui, lo spread oltre quota 250 non è stato causato dall’esito delle elezioni che, ampiamente pronosticato, non è stata una sorpresa per nessuno.

Il terremoto ha avuto il suo epicentro a Londra, ha esteso le sue onde sismiche all’intero settore obbligazionario e ai titoli italiani che, nelle fasi di vendita, pagano il pegno della loro elevata liquidità. L’appuntamento dei mercati con l’Italia è semmai spostato più avanti, al momento in cui verrà annunciata la formazione di governo e le personalità che occuperanno i ministeri più delicati.

Infine, una annotazione cronachistica. Il 30 settembre 1981 il rendimento del decennale americano raggiungeva il massimo storico di 15,84%, i tassi della Federal Reserve erano attorno al 17%, l’inflazione al 12 e la struttura per scadenze piatta, il Treasury a sei mesi rendeva circa 0,5% meno delle scadenze più lunghe.

Quarantuno anni dopo i rendimenti americani tornano a impensierire benché i valori siano fortunatamente molto diversi. Nel giro di un anno il Treasury a due anni è passato da 20 punti base a oltre il 4% (80 punti base presi nel solo mese di settembre): si tratta di un tradizionale “safe haven”, uno degli asset più liquidi del mercato, la sua volatilità è di per sé un segnale di allarme.

Fino a quando non si sarà stabilizzato il rendimento del titolo considerato “porto sicuro” per eccellenza, i mercati continueranno ad essere innervati da volatilità e profonda incertezza. Nelle scorse settimane è cambiato il sentiment nei confronti delle banche centrali e sono aumentate le tensioni geopolitiche.

L’ardita manovra inglese ha richiamato l’attenzione sulla sostenibilità delle politiche fiscali e il possibile scostamento dalle politiche monetarie, l’atteggiamento è ancora quello della prudenza e della vigilanza.

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