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Tunisia

Come Bruxelles vede l’Italia di Draghi

L'analisi di Gianfranco Polillo sulle stime macroeconomiche della Commissione Ue

 

Oggi qualsiasi tipo di previsione sul futuro dell’economia di ciascun Paese deve essere presa con le molle. Il peso dell’imponderabile é preponderante ed in grado di rendere vano ogni possibile auspicio. Le difficoltà di anticipare il possibile comportamento di coloro che fanno l’economia, vale a dire le famiglie, gli imprenditori, la pubblica amministrazione, sono, già per conto loro, un rebus. Se a queste incognite si sommano le incertezze sull’andamento della pandemia, il gioco rischia di complicarsi all’infinito.

Solo qualche settimana fa Boris Johnson, in Gran Bretagna, era convito di aver sconfitto il virus. E di essere stato il più lesto nel procedere alla vaccinazione seppure incompleta – una sola dose – della sua gente. Ieri, invece, il numero dei nuovi contagiati – variabile Delta – é stato pari a 22.902 (media di 7 giorni). Un numero leggermente superiore al picco che si era registrato il 16 novembre 2020. E c’é chi teme il peggio, fino a giungere quanto prima ai 100 mila contagi giornalieri.

Nelle condizioni date, quindi, colui che si accinge a giocare con i numeri è per lo meno un temerario. É bene ricordarlo nel momento in cui la Commissione europea ha voluto comunque pubblicare le sue previsioni. E lo ha fatto introducendo novità importanti nel suo modo di procedere. Non più una sorta di fotocopia degli anni precedenti, con i posti, per così dire, assegnati. Con i Paesi più virtuosi, sempre gli stessi, a capotavola e quelli più fragili – soprattutto Grecia ed Italia, destinati a sedersi su uno scomodo strapuntino.

Questa volta a prendersi la scena sono stati gli ultimi di ieri. Con l’Italia, vecchia maglia nera degli anni passati, nel gruppo di testa, per la crescita di quest’anno. Ed una resilienza, per il prossimo, seppur più contenuta nei numeri, anche maggiore rispetto agli altri Paesi europei. Dati, questi ultimi, che, a loro volta, non tengono conto della Next generation Eu. Che alimenta le aspettative migliori per tutti. Ma specie per l’Italia, considerato la maggior disponibilità di risorse che le é stata assegnata.

Il gruppo di testa comprende la Spagna, la Francia, l’Italia, l’Irlanda, Malta e la Slovenia. Le rispettive economie dovrebbero crescere quest’anno, con un tasso superiore al 5 per cento. Valori da “boom economico” per riprendere il commento di Paolo Gentiloni. Tralasciando i Paesi più piccoli, il nucleo di questo schieramento è rappresentato dai due Paesi mediterranei (Spagna ed Italia) e dalla Francia. Mentre la Germania fatica a mantenere il passo. All’incirca un punto in meno, all’anno, rispetto alla testa del convoglio.

Dato solo economico o destinato ad avere anche una valenza politica, specie dopo l’incontro all’Eliseo di Sergio Mattarella con Emmanuel Macron? Di questo si sussurra nelle diverse capitali europee, in vista delle importanti scadenze dei prossimi mesi, quando si tratterà di mettere mano alle riforme del Patto di stabilità e crescita. Ma per tornare ai dati, se le incertezze sono quelle di cui si diceva all’inizio, perché Bruxelles non ha seguito la vecchia strada, cercando di non scontentare nessuno?

La spiegazione più logica chiama in causa il sentiment che si percepisce nelle austere sale di Palazzo Berlaymont, dove ha sede la Commissione europea. Una volta si diceva che le azioni si pesano e non si contano. Vecchia battuta, inizialmente attribuita ad Enrico Cuccia, poi addirittura a Donato Menichella. A significare che nel Gotha, sia esso finanziario, economico o politico, conta lo status, più della “semplice” disponibilità di capitale. Al punto da considerare gli outsider, seppur dotati di ingenti risorse finanziarie, dei semplici arricchiti senza storia e con poco futuro.

Che l’Italia di Mario Draghi sia diversa da quella di Giuseppe Conte è solo Marco Travaglio a non volerlo vedere. E questo ha indubbiamente pesato. Ma non si è trattato di una piaggeria. La previsione della Commissione sconta il peso di una direzione politica in grado di fare uscire l’Italia più celermente dalle secche della crisi. Sempre che non si intrometta l’imponderabile, di cui si diceva all’inizio. Un ottimismo, del resto giustificato dagli andamenti del primo trimestre che ha fatto registrare, in Italia, una crescita del Pil dello 0,1 per cento, contro una caduta dell’Eurozona dello 0,3. Dato, a sua volta, che é stato rivalutato per tener conto dei mutamenti politici intervenuti.

Tutto bene, allora? Fino ad un certo punto. La zavorra che l’Italia si porta dietro è particolarmente pesante. Nel 2020 il crollo dell’economia (meno 8,9 per cento) fu il record negativo di tutta l’Eurozona. Forse l’allora presidente del Consiglio non ne porta la responsabilità, ma quel profondo rosso pesa ancora sulle prospettive più immediate. Nonostante il cauto ottimismo della Commissione, con quei numeri, l’Italia continuerà ad essere l’unico Paese a non uscire dal cono d’ombra della pandemia. Nel 2022, il suo prodotto lordo risulterà essere ancora inferiore, seppur di poco, ai livelli del 2019.

Prospettiva non incoraggiante che il ministro dell’Economia, Daniele Franco, si è affrettato a contrastare. L’Italia potrebbe recuperare i livelli di attività economica pre-crisi “entro il terzo trimestre 2022”, ha detto, parlando all’Assemblea dell’Abi. Più che una promessa, una dichiarazione d’impegni. Speriamo che il tempo possa dargli ragione.

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