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Golfo

Vi racconto peso e ascesa di Arabia Saudita, Qatar ed Emirati. Parla Cinzia Bianco

Conversazione di Start Magazine con Cinzia Bianco, research fellow presso lo European Council on Foreign Relations e autrice con Matteo Legrenzi di "Le monarchie arabe del Golfo. Nuovo centro di gravità in Medio Oriente" (Il Mulino)

“L’Italia non dipende dal Golfo per il proprio fabbisogno energetico, importando una quota modesta di petrolio dall’Arabia Saudita e di gas naturale dal Qatar, rispettivamente, 8.1% e 9.2% del fabbisogno importato nel 2020. Allo stesso tempo, la major energetica italiana Eni è sempre più attiva nell’area del Golfo. Paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, primi produttori al mondo di petrolio e gas naturale, hanno la capacità d’influenzare il mercato energetico globale, il che li rende interlocutori imprescindibili per un’economia globalizzata del G7 come quella italiana”.

È quello che sottolinea Cinzia Bianco, research fellow presso lo European Council on Foreign Relations, dove si occupa di politica estera europea verso le monarchie del Golfo, oltre che non-resident scholar presso il Middle East Institute di Washington, in una conversazione con Start Magazine.

Bianco con Matteo Legrenzi è in libreria con il saggio Le monarchie arabe del Golfo. Nuovo centro di gravità in Medio Oriente (Il Mulino), un’opera che traccia un profilo a tutto tondo di un insieme di attori che svolgono un ruolo strategico negli equilibri del Medio Oriente allargato e dunque anche del Mediterraneo.

Perché un libro sulle monarchie arabe del Golfo e perché proprio adesso?

Noi questo libro l’abbiamo scritto principalmente per cercare di scardinare la visione geopolitica italiana del Medio Oriente che è assolutamente mediterraneocentrica ma soprattutto cieca agli ultimi sviluppi geopolitici della regione il cui centro di gravità è nel Golfo. Infatti le decisioni anche che riguardano questioni esistenziali del Mediterraneo vengono prese nel Golfo e non più nelle capitali arabe del Mediterraneo. Quindi la sorte del Cairo si decide a Riyadh, la sorte di Tunisi si decide negli Emirati.

Ci vuole fare un esempio?

Certamente, lo abbiamo visto proprio in questi giorni in Tunisia con la decisione di arrestare il leader di Ennhada da parte di Kais Saied. Questo era qualcosa che l’Arabia Saudita e gli Emirati chiedevano da tempo, e quindi alla fine Saied ha fatto quello che gli avevano chiesto. Nel nostro libro dunque, ripeto, cerchiamo di scardinare una visione desueta della regione cercando di dimostrare che gli interlocutori principali sono nel Golfo.

Quali sono gli attori principali del Golfo?

Si tratta di Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, che sono al centro di una serie di dinamiche molto interessanti. È un trio all’interno del quale ci sono stati degli allineamenti ballerini: Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sono avvinti da un legame sempre più stretto in funzione anti Qatar. Lo abbiamo visto durante la crisi scattata nel 2018.

Una crisi che si è conclusa solo recentemente.

Sì, formalmente si è chiusa nel 2021, quando Arabia Saudita e Qatar si sono avvicinati moltissimo e sono iniziate le frizioni per ora sotto traccia tra Arabia Saudita ed Emirati. E quello che nel 2023 è diventato evidente è una leadership saudita che non viene assolutamente messa in discussione né dagli Emirati né dal Qatar. Tuttavia, mentre il Qatar si allinea in maniera sempre più evidente, gli emiratini si muovono dietro le quinte per coltivare i propri interessi anche quando questo significa andare contro gli interessi dell’Arabia Saudita. In definitiva la leadership regionale è tornata decisamente nelle mani dei sauditi che l’avevano persa nel 2018 a seguito della ben nota uccisione di Jamal Khashoggi.

Quali sono i rapporti economici tra le monarchie del Golfo?

La rivalità tra Arabia Saudita ed emiratini emerge soprattutto in campo economico. C’è sostanzialmente un golfo a due velocità: alcune nazioni, ossia in particolare Arabia Saudita, Emirati e Qatar, corrono molto veloce anche in termini di diversificazione economica nonché sulla transizione energetica e cercano di attrarre investimenti infrastrutturali o sulla logistica. Il problema è che questi Paesi cercano di fare un po’ tutti le stesse cose, inseguono tutti gli stessi investitori e fanno tutti gli stessi progetti. Del resto hanno una struttura dell’economia molto simile, anche se con dimensioni molto diverse. Si trovano dunque a competere.

E le altre monarchie?

Come dicevo prima, c’è una parte del Golfo che corre meno e si tratta di Oman, Bahrein e soprattutto Kuwait. Quest’ultimo è impelagato in questioni di politica interna e non riesce assolutamente ad uscirne. Ma anche questi Paesi comunque promuovono le loro vision economiche anche in termini di diversificazione, dunque vogliono fare più o meno le stesse cose della parte del Golfo che corre di più. Tutti ad esempio vogliono gli investimenti cinesi, in particolar modo nelle infrastrutture, ma anche nelle grandi zone industriali. Tutti vogliono sviluppare un settore manifatturiero di un certo tipo. Ne consegue inevitabilmente una serrata competizione.

E a livello di cooperazione, come sono messe le monarchie del Golfo?

Questo è un campo ancora molto poco sviluppato. Come ho detto tutti cercano di fare le stesse cose, ma non si fa sistema: c’è pochissima collaborazione.

Quali sono i rapporti economici con l’Italia, ad esempio in campo energetico?

Le monarchie del Golfo sono da decenni potenze energetiche, disponendo di circa un terzo delle riserve di petrolio e gas naturale del mondo. L’Italia non dipende dal Golfo per il proprio fabbisogno energetico, importando una quota modesta di petrolio dall’Arabia Saudita e di gas naturale dal Qatar, rispettivamente, 8.1% e 9.2% del fabbisogno importato nel 2020. Allo stesso tempo, la major energetica italiana Eni è sempre più attiva nell’area del Golfo. Paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, primi produttori al mondo di petrolio e gas naturale, hanno la capacità d’influenzare il mercato energetico globale, il che li rende interlocutori imprescindibili per un’economia globalizzata del G7 come quella italiana.

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