Mercoledì 2 aprile, da lui ribattezzato Liberation Day, il presidente degli Stati Uniti ha imposto dazi commerciali verso un gran numero di paesi. Tra i più colpiti ci sono la Cina, con nuove tariffe del 34 per cento (da sommare alle precedenti, al 20 per cento), e alcune nazioni del Sud-est asiatico come il Vietnam, il Laos e la Cambogia (la regione è spesso utilizzata come base manifatturiera dalle aziende cinesi).
I DAZI SONO UN DANNO E UN’OCCASIONE PER LA CINA
È molto probabile che i dazi al 54 per cento danneggeranno l’economia della Cina, che è molto esposta al commercio internazionale e che ha proprio in quello americano il suo mercato principale di esportazione. Ciononostante, le tariffe di Trump potrebbero rappresentare, per Pechino, un’occasione per espandere le sue relazioni anche con alcuni governi vicini agli Stati Uniti: ad esempio con il Giappone e con la Corea del sud, sottoposti rispettivamente a dazi del 24 e del 25 per cento. O addirittura con il Regno Unito.
Giovedì, nel suo discorso alla borsa di Londra per il lancio del primo green bond sovrano cinese, il viceministro delle Finanze Liao Min – già negoziatore durante la prima guerra commerciale sino-americana – ha dichiarato che “il protezionismo non funziona, non è una soluzione. La Cina e il Regno Unito comprendono i benefici della globalizzazione”. Quello che voleva dire è che mentre Washington attacca il libero commercio, Pechino lo difende e lo promuove.
Come scrive Bloomberg, la Cina ha già superato gli Stati Uniti come prima partner commerciale di molti paesi nel mondo (anche nell’America latina, per esempio, cioè nel “vicinato” degli Stati Uniti). I nuovi dazi, ostacolando l’accesso al mercato statunitense, potrebbero indurre questi paesi, e forse altri ancora, a potenziare gli scambi con Pechino.
TRUMP HA TOLTO L’INCENTIVO ALLA COOPERAZIONE ANTICINESE?
La mossa di Trump è coerente con le politiche della sua prima amministrazione ma in contrasto con l’approccio del suo predecessore, Joe Biden, che aveva lavorato per convincere i governi alleati in Europa e in Asia ad allinearsi nell’applicazione di controlli alle esportazioni verso la Cina, con l’obiettivo di frenarne lo sviluppo tecnologico. Con i dazi, però, Trump potrebbe aver tolto a questi governi l’incentivo a collaborare all’isolamento di Pechino.
LE ANALISI
Yun Sun, esperto di Cina presso il think tank americano Stimson Center, ha detto a Bloomberg che “i dazi di Trump amplificano il messaggio che gli Stati Uniti non sono più l’egemone benevolo che erano e che l’ordine globale è destinato a cambiare”. Quanto a Pechino, “si sente fortunata di non essere l’unico paese a dover affrontare ulteriori dazi statunitensi”. Il rischio geopolitico delle tariffe, per l’America è che la Cina possa “approfondire i legami con gli alleati e i partner statunitensi per far progredire il proprio ordine mondiale alternativo”.
Giuliano Noci, prorettore delegato del Polo Territoriale Cinese del Politecnico di Milano, ha spiegato sul Sole 24 Ore che “Trump non si sta solo facendo del male da solo, ma sta anche facendo il gioco della Cina. La sua strategia dei dazi sta unendo il resto del mondo contro gli Usa lasciando spazio libero a nuovi accordi di libero scambio: negli ultimi giorni addirittura Pechino, Tokyo e Seul hanno condiviso propositi in tal senso”.
– Leggi anche: Perché il Giappone oscilla tra la Cina e gli Usa di Trump: dal commercio alla difesa
La Cina, in effetti, ha colto la palla al balzo per rilanciare la sua propaganda. Poco dopo l’annuncio dei dazi da parte di Trump, il ministro cinese del Commercio ha dichiarato che “molti partner commerciali hanno espresso forte insoddisfazione”. L’emittente statale Cctv ha detto che gli Stati Uniti stanno divorziando dal libero scambio; il Quotidiano del popolo, un organo del Partito comunista, ha pubblicato un editoriale nel quale si accusa Trump di “ricatto tariffario su scala globale”.
I media statali cinesi hanno rafforzato questo messaggio: La CCTV ha proclamato che gli Stati Uniti stanno divorziando dal libero scambio, la CGTN ha pubblicato una canzone generata dall’intelligenza artificiale sui “lavoratori americani in tumulto” e il Quotidiano del Popolo ha pubblicato un commento di uno studioso brasiliano che accusa Trump di “ricatto tariffario su scala globale”.
LA CINA RISPONDE AI DAZI
La Cina ha annunciato che risponderà ai dazi di Trump applicando delle contro-tariffe del 34 per cento sulle importazioni dagli Stati Uniti. Potrebbe inoltre prendere di mira le società tecnologiche americane che operano nel paese, come Apple; oppure potrebbe limitare le esportazioni di quei minerali critici di cui controlla le filiere, come le terre rare.
Nelle scorse ore Trump aveva detto che potrebbe ridurre la pressione tariffaria sulla Cina se questa approverà la vendita delle operazioni statunitensi di TikTok, l’applicazione di social media sviluppata da ByteDance.
TUTTE LE DIFFICOLTÀ CINESI IN ASIA E IN EUROPA
È vero che i dazi globali di Trump aprono delle opportunità per la Cina, specialmente nel Sud-est asiatico, dove potrebbe presentarsi come una garante di stabilità nelle relazioni economiche. Ma bisogna ricordare che le nazioni dell’Asia, anche quelle nella porzione sud-orientale, hanno generalmente delle riserve verso Pechino e preferiscono non sbilanciarsi troppo: a impensierirle sono le ambizioni territoriali cinesi e l’aggressività con le quali vengono espresse, in particolare a Taiwan e nel mar Cinese meridionale.
Anche l’Unione europea, pur non gradendo le mosse e la retorica di Trump, difficilmente si volgerà alla Cina o inizierà a considerarla una partner affidabile, anche considerato il sostegno che ha garantito finora alla Russia.