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Chi festeggia per ora con il Pnrr

Le ultime novità del Pnrr commentate da Giuseppe Liturri

Giovedì è stato il giorno del grande trionfalismo per il Pnrr. È infatti partita la richiesta alla Commissione per la valutazione del conseguimento dei 45 obiettivi che condizionano il pagamento della seconda rata di 21 miliardi, tra prestiti e sussidi.

Ora la Commissione si prenderà i consueti due mesi per emettere la sua valutazione preliminare. Poi passerà la palla al Comitato Economico Finanziario, che renderà il proprio parere entro quattro settimane, ed infine la Commissione emetterà la propria valutazione definitiva che sbloccherà il pagamento.

Tutto questo giro di giostra, in occasione del pagamento della prima rata richiesta il 30 dicembre 2021, è terminato il 13 aprile con il pagamento di 21 miliardi.

Tutto bene, dunque? Niente affatto. Stiamo infilando sempre più la testa nel cappio del debito e delle condizioni imposte dalla Commissione, che ci ha imposto delle direttrici di spesa e ci ha costretto a strutturare un imponente apparato burocratico (cabine di regie, unità speciali per il Pnrr, ecc…) per pianificare e rendicontare il tutto. Ma i costi non si fermano qua.

Quelli più importanti li leggeremo tra qualche anno, quando prenderemo atto della modesta spinta propulsiva derivante da investimenti non decisi da noi e che coinvolgono filiere produttive con elevata incidenza di importazioni. A ciò si aggiungerà il costo derivante dal rispetto delle condizioni macroeconomiche restrittive imposte dal Patto di Stabilità e dalle raccomandazioni Paese emesse dalla Commissione.

Cosa potrebbe mai accadere di buono per le prospettive dell’Italia, se già da oggi ci chiedono di contenere la spesa corrente e di far recitare solo al Recovery Fund il ruolo di stimolo alla crescita. Giusto per fare un esempio, non sarà un bello spettacolo scoprire che le strutture per la telemedicina finanziate dal Pnrr, poi richiederanno medici i cui stipendi saranno soggetti ai soliti tagli.

Il conseguimento degli obiettivi e dei traguardi legati alle prime due delle dieci rate semestrali previste fino al 2026 ha costretto Parlamento e Governo ad una marcia a tappe forzate, le cui conseguenze potrebbero rivelarsi in futuro negative. Tuttavia produrre “carta” è stato relativamente facile. Le vere sfide partono dalle prossime scadenze, soprattutto quelle del 2023 e 2024. Quando le carte non basteranno più e bisognerà eseguire le opere e chiudere i cantieri.

Con l’incognita di elezioni politiche lungo la strada che potrebbero offrire un esito non propriamente gradito a Bruxelles. Che comunque sta già affilando le armi e provando con la Polonia il potere di condizionare i pagamenti all’esecuzione di ben determinate riforme o progetti. Infatti, è proprio di giovedì la notizia che la valutazione preliminare della Commissione – dopo che la Polonia attendeva da maggio 2020 – non pare sia proprio soddisfacente e quindi l’agognata prima rata potrebbe essere ancora distante.

Nel frattempo gli unici che festeggiano sono gli investitori che sottoscrivono i titoli emessi dalla Commissione per finanziare i pagamenti a favore degli Stati membri. Le emissioni nel primo semestre hanno raggiunto la somma di circa 50 miliardi e siamo a 119 miliardi dall’inizio delle emissioni. Lo scorso 21 giugno c’è stata la decima emissione che ha raccolto 5 miliardi per un titolo a 25 anni. Il rendimento offerto al mercato è stato pari al 2,71%, ben 79 punti base in più del titolo tedesco di pari durata.

Con un rischio sostanzialmente identico – se non ancora più basso, data la garanzia offerta da tutti gli Stati membri in misura del 0,6% del rispettivo Pil annuo – gli investitori incassano 79 punti base in più. Indice di una scarsa efficienza e liquidità del mercato che ha volumi nettamente inferiori a quelli del debito pubblico italiano.

Ma sono dubbi e rilievi ormai quasi meramente accademici. Il treno è lanciato e potrà arrestarsi solo con lo schianto finale a fine corsa.

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