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Pnrr

Il Pnrr e l’invasione dei “cigni grigi”

L'intervento di Giuseppe Capuano

Quando nel 2007 Nassin N. Taleb nel suo libro “Il Cigno nero” sintetizzava con questo titolo sostanzialmente un evento che fosse isolato, che non rientrava nelle normali aspettative e che avesse un enorme impatto, alcuni economisti, tra i quali il sottoscritto, si domandarono se i processi di turbo-globalizzazione coniugati al turbo-liberismo, che hanno caratterizzato il primo ventennio dell’attuale secolo, lasciassero ancora spazio per fenomeni isolati nel tempo e nello spazio.

La Brexit, la pandemia Covid-19 e la guerra Russo-Ucraina, solo per citare gli ultimi tre avvenimenti a grande impatto macroeconomico che ancora oggi sono attenzionati, in particolare in Europa, sembrano smentire questo approccio. Infatti, le nostre economie dovranno essere pronte ad affrontare fenomeni più o meno attesi ma sempre più frequenti a causa o grazie, a seconda delle posizioni, dei processi di maggiore interconnessioni delle economie globali, che comunque dovranno essere gestiti, attenuati e modificati, altrimenti ingovernabili. Più che “cigni neri”, quindi, nel prossimo futuro, ci dovremmo abituare a gestire fenomeni che potremmo definire “cigni grigi”, sempre più frequenti e non sempre completamente imprevedibili.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stata la risposta della Commissione Ue e degli Stati europei alla pandemia, “cigno nero” per eccellenza. Europa che ha reagito con una politica apertamente neokeynesiana, cambiando chiaramente il paradigma di politica economia degli ultimi venti anni imperniato su politiche di bilancio restrittive.

Negli ultimi anni su questo giornale ho scritto che, come poi verificato, essendo la crisi pandemica un fenomeno esogeno che ha impattato su una economia reale (anche quella italiana) sostanzialmente sana, avremmo avuto, dopo un forte impatto negativo sul Pil (-8,9% nel 2020 dell’Italia), un effetto a V con una rapida ripresa (+ 6,6% nel 2021 dell’Italia). Ripresa che, grazie ai 191,5 miliardi di euro stanziati a favore del nostro Paese per investimenti destinati soprattutto alle “transizioni gemelle” digitale e ecologica (64% di prestiti e 36% di sovvenzioni, pari al 12% del Pil italiano), avrebbero garantito una ripresa stabile negli anni.

Con la guerra Russo-Ucraina, il paradigma è radicalmente cambiato in quanto essa ha fortemente impattato non sulla domanda ma sull’offerta e sulle fonti energetiche mettendo in crisi il sistema produttivo e le sue filiere. In questo caso, pur essendo un fenomeno esogeno, ha colpito al cuore le economie europee ed in particolare quella italiana, una economia notoriamente di trasformazione con una scarsa dotazione naturale di materie prime.

I principali effetti di questo secondo “cigno nero” o meglio di questo “cigno grigio” in quanto più prevedibile nelle sue manifestazioni rispetto al primo, sono un aumento dell’inflazione (in Europa tra il 6 e l’8% e in Italia al 6,9%, un tasso mai conosciuto dopo il 1986) e un progressivo aumento dei tassi di interesse (prima la FED e poi seguirà la BCE per cercare di tenere sotto controllo l’inflazione) e conseguente aumento del costo del debito italiano (si prevede un aumento di 25 miliardi di euro per il servizio del debito nei prossimi tre anni) con relativo spread tra Bond tedeschi e BTP italiani (ad oggi intorno a 215 punti). Tutte variabili, che se non ben governate, potrebbero fortemente impattare negativamente sulla crescita nel prossimo biennio.

Il PNRR potrebbe bilanciare le inevitabili politiche monetarie restrittive e costituire la risposta espansiva delle politiche di bilancio, a condizione che, pur salvaguardando l’impianto generale, siano apportate le necessarie modifiche e integrazioni, premiando le misure più rapide nella loro attuazione e meglio sfruttate dalle imprese.

Già oggi, a più di un anno dalla sua presentazione (il PNRR è stato presentato a Bruxelles il 30 aprile 2021), qualche indicazione in questo senso già le abbiamo: solo per fare qualche esempio, lo sportello dedicato alle imprese femminili di nuove costituzione (Bando MISE) è stato aperto solo un giorno con le risorse dedicate completamente utilizzate. Altro esempio sono i Contratti di sviluppo (vedi Misura 1, C2, investimento 5.2; Misura 2, C2, investimento 5.1 e 5.3) in particolare quelli dedicati alle filiere (aerospazio, rinnovabili e batterie, bus elettrici, etc.) o i bandi sulle filiere agroalimentari che sono partiti con ottimi auspici (5° Bando e 850 milioni di euro stanziati), oppure il bando del MITE su R&S sull’idrogeno dove a fronte di 50 milioni stanziati tra enti di ricerca e imprese sono stati presentati progetti per 240 milioni di euro.

Detto ciò, occorre non dimenticare alcune criticità che, anche se il Commissario Ue all’economia Ue Gentiloni si è espressamente dichiarato contro, porterebbero a ragionare su di un eventuale ampliamento della tempistica del PNRR di due anni (dal 2026 al 2028).

Riflessione giustificata prima dalla durata della pandemia fortemente protrattasi anche nell’inverno 2022 e poi dagli effetti devastanti della guerra che probabilmente durerà non poco, senza ledere l’immagine del nostro Paese e della credibilità del Primo Ministro agli occhi di Bruxelles, essendo cause oggettive indipendenti dalle carenze strutturali presenti in Italia.

Quando scrivo di criticità mi riferisco in particolare alla preoccupazione che si ha sulla capacità che l’economia e la PA del nostro Sud possano assorbire e ben gestire le risorse del PNRR. Parliamo degli 80 miliardi di euro che si aggiungono ai 120 miliardi circa del Fondi strutturali (il totale dei fondi disponibili rappresenta circa il 50% del Pil del Sud). Essi rappresentano il 40% del totale PNRR che in circa tre anni (2023-2026) dovranno essere spesi.

Anche gli enti locali, circa 8100 comuni italiani, molti con meno di 5.000 abitanti, hanno presentato delle oggettive preoccupazioni. Essi dovranno presentare progetti e gestire investimenti per oltre 50 miliardi di euro con personale insufficiente e spesso inadeguato (mancano soprattutto profili tecnici), anche se il Ministero della Funzione pubblica ha previsto a breve nuove assunzioni e costituito una rete consulenziale di supporto, in primis i servizi messi a disposizione da Cassa Depositi e Presiti (CDP).

Ma non dimentichiamo le micro e piccole imprese italiane che, secondo una recente indagine di Unioncamere- Centro Studi Tagliacarne, solo nel 9% dei casi si sono già attivate sui progetti del PNRR contro il 33% delle medio-grandi imprese e che, anche in prospettiva futura, solo l’11% di esse ha in programma di attivarsi contro il 17% delle medio-grandi imprese. Ciò significa che l’80% delle micro-piccole imprese italiane non si è attivato e non ha in programma di attivarsi sui progetti del PNRR. Occorre quindi intensificare nei prossimi mesi una importante attività di comunicazione, informazione e soft formazione per supportare le nostre piccole imprese ad utilizzare una occasione che, senza ombra di dubbio, rappresenta una occasione unica di investimento.

Un importante contributo a questa azione potrebbe essere dato dalle Associazioni di impresa e dalla rete delle Camere di Commercio e gli enti ad esse collegate. Queste ultime secondo il DL Recovery (decreto legge 152/2021) potranno dare il proprio contributo alle amministrazioni centrali, alle Regioni e agli enti locali, titolari dei programmi del PNRR, per l’attuazione dei progetti attraverso la propria rete territoriale.

Sarà necessario, quindi, che l’Italia si metta in condizione di sfruttare la svolta rappresentata dal NGUE, in maniera efficiente ed efficace utilizzando nella maniera più rapida e adeguata le risorse che già sono state messe a disposizione nel 2021 e che saranno disponibili negli anni successivi. Se ciò non avvenisse, diventerebbe ancora più problematico ottenere l’assenso della Commissione Ue che svolgerà un ruolo cruciale nel processo di approvazione periodica (ogni sei mesi l’Italia dovrà presentare un resoconto dei Milestone e Target raggiunti secondo un preciso calendario) degli stati di avanzamento della spesa che dovrà essere impegnata entro il 2023 e completata entro il 2026.

Una delle condizioni imprescindibili per una piena efficacia del PNRR è quella di dialogare con la parte più consistente del tessuto produttivo nazionale di piccole dimensioni in una ottica di rete e con gli Enti locale. Se ciò non avverrà non solo si ridurranno gli effetti moltiplicativi del Piano, in termini di Pil e occupazione, ma si creeranno le condizioni per un aumento degli squilibri e delle diseguaglianze nell’economia e nella società italiana, con l’accentuarsi della dicotomia già presente tra grandi e piccole imprese, tra imprese innovative e competitive e imprese marginali e tra aree forti e aree deboli del nostro Paese.

A tal proposito, seguendo un approccio molto pragmatico, si propongono due importanti interventi relativi alla struttura originaria del PNRR presentata a Bruxelles: il primo, è quello di modificare la tempistica troppo stringente e ampliarla di almeno un biennio (dal 2026 al 2028) per favorire la migliore allocazione delle risorse e il completamento degli interventi; la seconda, modificare e riscrivere alcune delle priorità e misure di politica industriale a favore dei nuovi obiettivi energetici e stornare risorse a favore delle misure più attrattive per le imprese, in considerazione del rapido mutamento dello scenario macroeconomico dell’ultimo anno (aumento dell’inflazione, crisi energetica, crisi di alcune filiere produttive come quella dell’automotive, etc.) e delle conseguenze economiche delle crisi geopolitiche (i “cigni grigi”) secondo un approccio dinamico e non statico al PNRR, come previsto all’art. 21 (Modifica del piano per la ripresa e la resilienza dello Stato membro) del Regolamento Ue 2021/241.

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