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Che cosa sta sbagliando Trump in economia

Le arroganze in politica economica funzionano? Il caso Trump e non solo. Il commento di Polillo

Elogio del libero mercato, della sua capacità di cogliere in anticipo gli errori della politica e lanciare i necessari avvertimenti. Saranno recepiti? Impossibile prevedere. Ma se ignorati, i guai saranno ancora maggiori. Al momento le spie rosse, che segnalano l’allarme, sono molte. A partire dal sentiment (nero) delle borse. A Wall Street è stato un piccolo disastro. Il Dow Jones che perde il 2,08 per cento in un colpo solo. Ancora più giù S&P 500 (-2,7) che rappresenta le società maggiori. Ma peggio di tutti i titoli tecnologici della new economy, che lasciano sul campo il 4 per cento. Con Tesla Motors, l’azienda di Elon Musk, che perde addirittura il 13,21%. Insomma in pochi mesi, tutto il guadagno ottenuto, in vista della possibile elezione di Donald Trump, è andato in fumo.

Analoghi ribassi negli altri comparti del sistema finanziario americano. Il rendimento dei Treasury a 10 anni è sceso di 6 punti base al 4,24%. Quelli dei titoli a 2 anni, che sono più sensibili alla possibile evoluzione della politica monetaria della Fed, sono scesi parimenti di 6 punti, ma in proporzione maggiore al loro più limitato rendimento, toccando quota 3,94%. A sua volta il dollaro si è svalutato di circa il 6 per cento dallo scorso 20 gennaio: data dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.

Ai cento giorni che dovrebbero delineare il primo tempo del nuovo presidente manca ancora poco più di un mese, ma se il bel tempo si vede dal mattino le preoccupazioni non dovrebbero mancare. Anche se Donald ostenta sicurezza: “Odio prevedere cose del genere”: avrebbe detto durante un’intervista a Fox News nella quale gli si chiedeva se si aspettasse una recessione a fine anno. Per poi tornare sui suoi slogan di sempre “C’è un periodo di transizione, perché quello che stiamo facendo è molto grande”. Come dire: l’intendance suivra. Ma quelle erano parole di un grande, come De Gaulle, capace di anteporre la politica all’economia, per poi vedere l’effetto conseguente.

L’esatto contrario delle parole di Elon Musk. Il quale rivolgendosi a Radosław Sikorski, ministro degli Esteri polacco, lo ha fulminato con le parole “Stai zitto, ometto. Paghi una piccola parte del costo e non c’è niente che possa sostituire Starlink”. Solo perché quest’ultimo aveva osato osservare che se “SpaceX si fosse dimostrato un fornitore inaffidabile” in Ucraina “sarebbe stato necessario trovare un sostituto”. La risposta del mercato è stata conseguente, penalizzando il magnate sudafricano. A dimostrazione, appunto, che, in un libero mercato, nessuno, per quanto ricco possa essere, può permettersi il lusso di un’arroganza senza fine.

Al di là dei singoli episodi, c’è tuttavia qualcosa di più profondo che impensierisce. Dovuta al fatto che lo sviluppo dell’economia e della finanza americana non è un fatto autarchico. Al contrario essa si nutre dell’apporto determinante del Resto del mondo. Donald Trump, in modo politicamente strumentale, è portato a vedere solo la bilancia commerciale. Una strategia che lo ha portato a vincere le elezioni, grazie anche ai Democratici che hanno, di fatto, rinunciato alla partita. Negli Stati della rub belt, tra i monti Appalachi settentrionali e i Grandi Laghi, un tempo cuore dell’industria pesante statunitense, ha potuto mietere successo attribuendo al Resto del mondo la responsabilità del loro declino industriale. Cui porre rimedio con il ricorso ad una politica protezionistica.

Ma era una narrazione parziale e fuorviante. Escludeva dal conto il contributo che la new economy aveva fornito al benessere degli americani, cresciuto in misura ben maggiore rispetto ai concorrenti. A sua volta alimentato dalle massicce importazioni di capitale da ogni latitudine. Ma soprattutto dall’Occidente. Che oggi capisce sempre meno quale potrà essere il futuro della politica del nuovo gruppo dirigente, che siede a fianco di Trump nello studio ovale. Se sarà a favore di Putin e contro i tradizionali alleati, che hanno segnato la storia di questi ultimi cento anni. Se sarà contro il Canada, la Groenlandia, il Messico o Panama. Se tra i nemici storici dell’Occidente – la Russia di Putin e la Cina di XI Jinping – sceglierà di coprire l’aggressione militare invece del soft power cinese.

Di fronte a queste incertezze, che si concretizzano nella minaccia dei dazi e nel congelamento del commercio internazionale, la risposta dei mercati è stata una prima fuga, che giustifica ampiamente il crollo di Wall Street. Non è certamente una scelta definitiva. Dipenderà da Donald Trump. Ma se la scelta sarà l’autarchia, allora perché Londra, Berlino, Parigi o la stessa Roma dovrebbero investire in quel mercato? Perché dovrebbero sottoscrivere titoli di un debito pubblico, come quello americano, che è pari ad oltre il 120 per cento del Pil. Quando quello europeo è al di sotto di 40 punti? Domande alle quali di Deep State, non solo Washington, dovrà rispondere.

C’è, infatti, qualcosa di incomprensibile nello svolgimento della politica trumpiana, mentre a Wall Street inizia a circolare il nuovo termine della “trumprecession”. Nella sofisticazione europea si è soliti fare una netta distinzione. Un conto è la campagna elettorale, un altro il contenuto del successivo impegno di governo. Tra questi due momenti la divergenza può essere più o meno ampia, ma è difficile che sia inesistente, Invece nel caso di Trump sembrerebbe ch’egli sia interessato esclusivamente ad una linea di coerenza assoluta. Come se il resto, riflesso di una visione autarchica, appunto, non esistesse.

Eppure il FMI aveva lanciato, a tempo debito, un grido d’allarme. “L’incertezza sulla politica economica, comprese le tasse e la spesa pubblica, induce le imprese a ritardare i progetti di investimento e le famiglie a rinviare i consumi per precauzione, riducendo il debito privato” L’incertezza era diminuita nel 2023 man mano che gli squilibri ciclici si era gradualmente ridotti, con l’attività economica nelle principali economie che convergevano più da vicino alla loro produzione potenziale. Inoltre, nonostante le continue tensioni geopolitiche, il commercio globale era rimasto stabile in percentuale del PIL globale, sostenuto dagli adeguamenti commerciali intra-blocco “Tuttavia, negli Stati Uniti, l’indice di incertezza” era “aumentato a causa delle incertezze che circondavano le future elezioni”. Se questo era lo scenario, occorreva, pertanto, maggiore prudenza. Donald Trump ha ignorato tutto ciò ed i risultati si sono cominciati a vedere.

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