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Che cosa dice (o cosa non dice) Tria su Fiscal Compact, pensioni e non solo

Il commento di Gianfranco Polillo, editorialista ed ex sottosegretario al ministero dell'Economia, a latere dell'intervista del ministro dell'Economia, Giovanni Tria, al Sole 24 Ore

“Io comunque sono per la crescita felice”: dice Giovanni Tria, al termine della sua lunga intervista di ieri al Sole 24 ore. Potrebbe sembrare una boutade se dietro non vi fosse una robusta tradizione economica: da Marx che già allora aveva capito quanto importante fosse lo sviluppo delle forze produttive – compito assegnato all’odiata (nemmeno tanto) borghesia – a John Maynard Keynes ed il suo ottimismo sui futuri destini dell’umanità.

Per il ministro dell’Economia, tuttavia, non basta la crescita. Deve essere anche “felice”. Vale a dire sostenibile. Rispetto dell’ambiente, regole di welfare, rapporti di lavoro meno ansiogeni. Quindi ok al decreto Dignità. Anche se restano da calcolare gli effetti di più lungo periodo, per giudicare se quella misura abbia contribuito o meno a determinare maggiore benessere sociale. Elemento che presuppone un incremento del reddito prodotto. Se tutto ciò non dovesse verificarsi, pronti ad intervenire con misure adeguate.

L’ottica del ministro è di medio periodo. Non potrebbe essere altrimenti. Il tutto e subito non appartiene a questo mondo. Tanto meno alla politica economica. Vi sono provvedimenti da approvare. Riordini non solo legislativi da realizzare. Gli stessi investimenti pubblici, da rilanciare, più che di risorse hanno bisogno di strutture di cui, al momento, la Pubblica amministrazione è sprovvista. E senza queste nuove centrali del “saper fare” i soldi rimangono nel cassetto.

Per paradosso la cosa più semplice da impostare sarebbe la flat tax, se le risorse fossero disponibili. Basterebbe rimodulare le aliquote nel senso voluto. Ma per farlo sono necessarie le coperture. Soprattutto il riordino di quelle tax expenditures (riduzioni e detrazioni) che rappresentano una giungla inestricabile: frutto delle concessioni elargite in passato. Un po’ per alleviare il carico fiscale complessivo, un po’ frutto delle mille lobbies che hanno operato in Parlamento, negli anni della Grande spartizione. Ci vorrà tempo. Soprattutto non derogare dal principio della contestualità: ogni euro risparmiato dovrà tradursi in riduzione pro-quota delle aliquote. Per evitare aumenti surrettizi del carico fiscale.

Più complicato è mettere in piedi il “salario di cittadinanza”. Questa misura richiede, da un lato, una robusta riforma delle altre forme di assistenza. Dall’altro il dotarsi di strutture amministrative, che a tutt’oggi, semplicemente, non esistono. E che considerati i livelli di efficenza della Pubblica Amministrazione, specie a livello territoriale, richiede un’opera colossale. Ci vorrà quindi il tempo necessario, sebbene Di Maio scalpiti un giorno sì e l’altro pure.

Sulla possibile riforma della legge Fornero, il ministro ha glissato. Stiamo vedendo: si è limitato a dire. Consapevole che trattasi di un argomento più che sensibile per i mercati e la Commissione europea. Mercati che, sempre secondo il Ministro, non lasciano intravedere segnali di nervosismo. Ma è come chiedere all’oste un giudizio sul suo vino. Gli indici di borsa e gli andamenti dello spread dimostrano il contrario. Ma siamo ad agosto ed mercati – tranquillizza Tria – sono sottili. Il che ovviamente è vero. Ma lo sono pure altrove. Dove le cose vanno meglio.

Nel complesso, quindi, un’intervista tranquillizzante. Il brand della casa. Poteva dire qualcosa di più? Forse sì. Nessun accenno, per esempio, all’attivo della bilancia commerciale: punto di forza, ma anche di imbarazzo dell’economia italiana. I dati relativi ai primi 5 mesi dell’anno, mostrano un surplus consistente. Protezionismo permettendo, l’avanzo di fine anno sarà solo leggermente inferiore ai 47 miliardi del 2017. Al tempo stesso a primavera la Commissione europea dovrebbe inserire definitivamente il Fiscal Compact nell’ordinamento europeo. Ipotesi su cui sia la Camera dei deputati, che il Senato della Repubblica, sebbene con varietà di accenti, si sono dichiarati contrari.

Sarebbe il caso di cominciare a rifletterci evitando che l’onere della dissenting opinion ricada solo sulle spalle di Paolo Savona. Costringendolo sempre più nella scomoda posizione di euroscettico. Quando invece alcune sue critiche al funzionamento del Fiscal Compact ed alla sua architettura sono più che giustificate. Giovanni Tria non ne parla. Almeno in pubblico. Speriamo sia solo il naturale riserbo del ministro dell’Economia che di questo argomento dovrà discutere in seguito nelle stanze più ovattate dei summit europei.

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