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Dati Bilancio Banche

Cosa sono e come vanno le challenger banks in Europa

Cosa dice il report di Mediobanca sulle performance contabili delle tre tipologie di challenger banks attive in Europa. L'articolo di Emanuela Rossi.

Oltre 130 e più della metà con sede nel Regno Unito. Le challenger banks – o banche digitali o banche virtuali – sono una realtà che avanza in Europa nonostante siano comparse da poco tempo sul mercato. A questi istituti finanziari, attivi solo via smartphone e via app, l’Area studi di Mediobanca ha dedicato un report in cui traccia un quadro anche delle realtà attive e con sede nel Vecchio Continente.

A questo proposito va osservato che – secondo l’Osservatorio FinTech & InsurTech del Politecnico di Milano – dal 2009 sono state istituite 138 challenger banks in Europa (di cui 18 ancora in fase di lancio), oltre la metà delle quali con sede nel Regno Unito. Di queste, molte non hanno una licenza bancaria, ma utilizzano quella di una banca partner o agiscono in qualità di Imel (istituto di moneta elettronica) o di Istituto di Pagamento. Alcuni operatori sono attivi esclusivamente nei prestiti P2P, ossia fra privati, nelle carte prepagate o nei cambi valuta.

I TIPI DI CHALLENGER BANKS

In Europa sono attive tre tipologie di challenger banks.

Partiamo dalle “Traditional” ovvero tutte le società costituite entro il 2010. L’inglese CashPlus Bank e la svedese Northmill Bank, pur essendo nate rispettivamente nel 2005 e nel 2006, sono state escluse da questo gruppo perché di recente hanno ottenuto la licenza bancaria (nel 2020 la prima e nel 2019 la seconda), evento che ha modificato profondamente il loro business model. Per lo stesso motivo è stata esclusa l’inglese Zopa che, offrendo sin dalla sua fondazione nel 2005 il servizio di p2p lending, sta pianificando la dismissione dell’attività originaria dopo aver ottenuto due anni fa la licenza bancaria.

Ci sono poi le “Subsidiary”: si tratta delle società appartenenti a grandi gruppi bancari, oltre a due controllate dall’incumbent telefonico Orange (la francese Orange Bank e la belga Anytime) e a Ma French Bank (controllata dall’operatore postale transalpino La Poste). Infine esistono le “Neobank” in cui rientrano tutte le rimanenti società, accomunate dal fatto che sono state fondate dopo il 2010.

PRINCIPALI CARATTERISTICHE

Andando a indagare quelle che sono le caratteristiche più rilevanti delle challenger banks in Europa si scopre che la licenza bancaria piena è posseduta da 63 operatori, altre 20 società (il 20,8%) agiscono invece come agenti di operatori terzi, tre hanno ricevuto una licenza bancaria con restrizioni e infine sono quattro gli operatori in attesa di ottenere la licenza bancaria piena e che dunque hanno ad oggi un’operatività limitata. La maggior parte delle società selezionate, in base alle regole del passaporto unico europeo, è libera di operare in tutto il Vecchio Continente ma sono comunque numerosi, soprattutto tra gli operatori britannici, francesi e italiani, i casi di attività confinate al mercato domestico. Solo le britanniche Revolut e Starling Bank agiscono su scala globale, mentre altri tre operatori estendono i propri servizi in mercati extra-europei: si tratta di N26, attiva anche in Usa e Brasile, di Monzo Bank (in Usa) e di Openbank, presente anche in Argentina.

Per quanto riguarda la data di nascita, poco meno dei due terzi è stato costituito dopo il 2013 mentre il triennio 2014-16 è risultato il più fecondo con l’avvio di 26 società. E ancora: solo nove società sono quotate in Borsa; tra di esse sei sono inglesi, una è italiana (Illimity Bank), una è estone e una è norvegese (Aprila Bank). Altre tre società sono state delistate, in quanto “oggetto di acquisizione da parte di incumbent o fondi d’investimento”.

Molto stretto il rapporto fra challenger banks e venture capital: dal 2016 ammontano a 11,6 miliardi di euro le risorse raccolte mediante questa forma di finanziamento che risulta in costante crescita eccezion fatta per la lieve contrazione del 2020. Solo nel 2021 sono stati raccolti 3,5 miliardi di euro (+129,5% sul 2020), di cui 805 milioni dalla sola N26.

COME VANNO I CONTI?

Nel report di Mediobanca si mettono anche a confronto le performance contabili delle tre diverse tipologie di challenger banks attive in Europa.

Si viene dunque a sapere che, sul fonte dei ricavi, le traditional nel 2020 hanno segnato le maggiori contrazioni (- 7,1%), dovute agli effetti delle misure di contenimento sanitario a causa del Covid-19. In questo gruppo rientrano alcuni istituti che affiancano all’operatività online anche una discreta presenza fisica, come la britannica Metro Bank, attiva non solo sul digitale ma anche con 78 filiali sparse in tutto il Paese e, soprattutto, la conterranea Virgin Money – fondata da Richard Branson – con 131 sportelli.

Al contrario, la diffusione della pandemia ha giovato alle challenger banks prettamente digitali, ovvero le subsidiaries (enti giuridici che gestiscono le iniziative online di grandi gruppi incumbent) e le neobanks, con crescite dei ricavi rispettivamente del 19,9% e del 24,8%.

Sul fronte della redditività, le neobanks sono ancora in rosso, anche se in marginale miglioramento (ROE al -13,9%, appena +0,1% sul 2019). “Per esse – si legge nello studio di Piazzetta Cuccia – il raggiungimento del breakeven è legato all’incremento sia della customer base che del ventaglio di servizi offerti (tramite accordi con altri operatori o grazie all’ottenimento della licenza bancaria piena), con lo sviluppo dimensionale che può quindi agire da ulteriore game changer”. Anche a livello di stato patrimoniale le neobank hanno segnato una maggiore effervescenza, con una crescita dei crediti v/clienti del 21% e del totale attivo del 39,5%, a fronte di una sostanziale stabilità delle traditional (crediti +0,1% e totale attivo +4,5%).

Per le neobanks l’incidenza dei finanziamenti alla clientela sul totale attivo nel 2020 era pari al 52,4% rispetto al 75,3% delle traditional, “segno di un’attività di lending ancora non sviluppata appieno, che si riflette in una limitata diversificazione delle fonti di ricavo”.

Inoltre, più bassi valori pro-capite di ricavi e di totale attivo sono realizzati dalle neobanks con, rispettivamente, 151,3 mila euro (a fronte di 194,1 mila medi) e 5.859 mila euro (contro i €9.746 mila medi); i valori massimi spettano invece alle subsidiaries che, attraverso una struttura comunque snella, riescono a intercettare parte dell’operatività online della clientela dei gruppi di appartenenza.

Passando ai singoli operatori, quattro neobanks hanno cumulato circa 580 milioni di perdite nel 2020: si tratta delle inglesi Revolut (-245,2 milioni), Monzo (-154,4 mln) e Starling Bank (-27,8 mln) e della tedesca N26 (-150,7 milioni). Le performance di queste challenger risentono degli investimenti e degli oneri scaturiti dal lancio delle attività negli Stati Uniti; i loro ricavi sono cresciuti del 23,7% rispetto al 2019.

I conteggi per i primi sei mesi dell’anno in corso risultano “ancora spumeggianti”, in rialzo dell’82,3% su base tendenziale, sebbene in parziale raffreddamento. Particolarmente vivaci all’inizio del 2022 sono risultate la francese Qonto e le britanniche Monzo e Clear Bank che hanno complessivamente raccolto 1,1 miliardi, pari al 60,5% delle operazioni realizzate nel semestre.

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