skip to Main Content

Perequazione

Caro governatore Knot, patrimoniali e aumenti dell’Iva sono perversioni diaboliche. Firmato: Polillo

Altro che patrimoniali, aumento dell’Iva o qualsiasi altra imposta. Nella situazione italiana sono perversioni del demonio. Il commento di Gianfranco Polilo

Altro che patrimoniali, aumento dell’Iva o qualsiasi altra imposta, che porti ad un aumento della pressione fiscale. Nella situazione italiana sono perversioni del demonio. È da tempo che insistiamo su questi aspetti del problema. Soprattutto sul rischio che interventi pensati a fin di bene si traducano nel loro contrario, dando luogo a forme urticanti di eterogenesi dei fini. Questa volta, tuttavia, l’avallo a questa impostazione arriva dal Paese dei tulipani e in particolare da Klaas Knot. Che oggi, molti anni trascorsi come studente in Italia, è il governatore della Banca d’Olanda. Di un Paese che, al di là della diversa dimensione del rapporto debito-Pil, presenta forti analogie con la situazione italiana. Una su tutte: il forte attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti.

Dell’Italia, Knot si occupa nella sua lunga intervista a Federico Fubini, sulle pagine de Il Corriere della sera. Ne riportiamo quel che riteniamo essere un passaggio centrale, che spiega, meglio di tante inutili polemiche, qual è la malattia vera che ha colpito il Bel Paese. Dice Knot: “Il debito pubblico è una preoccupazione, sì. Ma una preoccupazione del tutto particolare è la bassa crescita. Di rado succede che il debito pubblico sia ritirato riducendone l’ammontare in termini nominali. È sempre ridotto permettendo all’economia di crescere, in modo che quello cali in proporzione al prodotto interno lordo. Il problema dell’Italia è che da vent’anni ha una crescita della produttività stagnante o nulla, il reddito per abitante in termini reali è ancora ai livelli simili di quando entrò nell’euro. Praticamente non c’è stata crescita. E il debito sta salendo”.

Si può invertire questa tendenza, rendendo ancor più stringenti le politiche deflative? La domanda, ovviamente, è solo retorica. Dal 2012 in poi la relativa stagnazione (assenza di crescita reale e bassa inflazione) è stata alimentata dalla forte caduta della domanda interna, che la pur forte crescita dei conti con l’estero non è riuscita a compensare. Se aumentassimo il prelievo fiscale in qualsiasi modo o ricorrendo a qualsiasi altro accorgimento, non faremmo altre che aggravare il male originario. Pioverebbe sul bagnato. Se fossimo fortunati, ma è improbabile, potremmo recuperare qualcosa sul fronte estero (protezionismo permettendo) ma sarebbe poca cosa. Come suggerisce Knot, meglio quindi non pensarci ed occuparsi d’altro.

Tornare a crescere a ritmi maggiori del passato non è una cosa semplice. Ci vogliono innanzitutto le risorse. Ma questo, per fortuna, non è un problema. L’Italia, a differenza di altri Paesi, presenta un forte surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Dispone, pertanto, di un risparmio implicito (50 miliardi l’anno), che non trovando occasioni d’investimento all’interno, prende la via dell’estero. Basta guardare, da questo punto di vista, al grande ammontare di ricchezza (pari quasi all’intero reddito nazionale), gestita dai grandi intermediari finanziari: broker, fondi d’investimento, banche d’affari e via dicendo.

In passato i movimenti di capitale verso l’estero potevano essere scoraggiati e financo bloccati, con misure di carattere amministrative. Cosa oggi impossibile. Si tratta, allora, di creare le condizioni affinché ciò avvenga spontaneamente. Offrendo al singolo investitore le necessarie garanzie. Cosa non facile. Esse richiedono un programma di politica economica non solo credibile, ma in grado di creare quella fiducia, che oggi manca. Quindi un Governo che se ne faccia garante, grazie alla forte condivisione da parte di tutti suoi ministri. Con priorità effettive che siano tutte incardinate in un unico progetto. Ed una leadership capace di garantire tutto questo. L’esatto opposto di quanto si è verificato in Italia da tempo immemorabile.

Che si tratti di un progetto ambizioso è indubbio. Che l’Italia possa farcela, non è detto. Almeno non prima che le altre ipotetiche strade si siano dimostrare impraticabili. Mancherebbero solo pochi mesi, se non settimane. Ma vale la pena di attrezzarsi fin da ora. Abbandonare le discussioni oziose su possibili stangate finanziarie ed invece occuparsi del “che fare?” per riconquistare posizioni da tempo perdite. Ma non cancellate da un Dna, che, nonostante la crisi, le consente ancora oggi di essere la seconda manifattura d’Europa.

Back To Top