Non c’è pace all’ombra della Lanterna dopo il varo dell’aumento di capitale da 900 milioni e l’entrata nell’azionariato del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (79%) e di Cassa Centrale Banca (8,34%) che ha la possibilità di diventare primo azionista entro i prossimi due anni. Ora è la Procura di Milano a mettere sotto la lente l’operato dei vertici della banca genovese negli ultimi anni. E, ancora una volta, protagonista è la famiglia Malacalza, divenuta azionista di maggioranza di Carige a cavallo tra il 2015 e il 2016 e arrivata a detenerne il 27,5%: con la sua assenza all’assemblea decisiva, la famiglia Malacalza ha lasciato campo libero all’aumento di capitale scendendo al 2% dell’azionariato di Carige.
Nel frattempo, a fine gennaio, è stato eletto il nuovo consiglio d’amministrazione con Vincenzo Calandra presidente e Francesco Guido amministratore delegato.
LA DENUNCIA DEI MALACALZA
Come riporta il Sole 24 Ore, la nuova indagine nasce da una denuncia della Malacalza Investimenti, la holding della potente famiglia guidata da Vittorio, depositata prima della scorsa estate (e della successiva assemblea degli azionisti, il 22 settembre).
La denuncia è relativa alla prima semestrale del 2018 – quando era amministratore delegato Paolo Fiorentino – e alla gestione di Carige prima del commissariamento voluto dalla Bce all’inizio del 2019. In pratica si deve tornare indietro a fine 2017 quando – dopo un aumento di capitale da 700 milioni – l’ad aveva promesso “una banca pulita” e “un ritorno all’utile”.
E la strada sembrava in discesa visto che al 31 marzo 2018 si era registrato un utile di 6,4 milioni. Arrivati a fine giugno, però – con Vittorio Malacalza che si dimette dalla vicepresidenza – l’esercizio era in rosso per 20 milioni. Poi, al termine dell’ispezione della Banca centrale europea – due mesi dopo -, Francoforte chiedeva ai vertici di Carige rettifiche per 257 milioni e nel resoconto dei nove mesi del 2018, il nuovo board guidato da Modiano e Innocenzi ha approvato rettifiche per oltre 219 milioni.
In precedenza i Malacalza – come è emerso lo scorso gennaio – avevano depositato al tribunale di Genova anche una richiesta di risarcimento per 480 milioni a Carige, al Fondo Interbancario di tutela dei depositi (con lo Schema volontario) e a Ccb. Dunque, nel mirino dei Malacalza, pare ci siano un po’ tutti: i nuovi azionisti dell’antica banca genovese (il Fondo e la trentina Ccb) ma anche i commissari Pietro Modiano, Fabio Innocenzi e Raffaele Lener e i vecchi vertici come Paolo Fiorentino.
Secondo una fonte qualificata del Secolo XIX “assieme alle 81 pagine del ricorso non è stata presentata istanza di sospensiva della delibera assembleare”.
L’INDAGINE DELLA PROCURA DI MILANO
Dunque, all’esito della denuncia dei Malacalza, la procura di Milano ha aperto un’indagine per aggiotaggio – coordinata dal pm Paolo Filippini e dell’aggiunto Maurizio Romanelli – per manipolazione del mercato su Carige a causa della mancata comunicazione, nella prima semestrale del 2018, della necessità di svalutare crediti per oltre 200 milioni. Da quanto apprende Il Sole 24 Ore, agli atti del fascicolo ci sarebbe la documentazione acquisita presso la Consob per cercare di capire se ci sia stata alterazione del mercato, da parte degli amministratori, con informazioni non veritiere sui crediti in sofferenza.
Va ricordato, come fa il quotidiano confindustriale, che prima dell’assemblea del 22 settembre i commissari erano stati interpellati proprio dalla Consob sulla prima semestrale del 2018. Gli stessi commissari – nella documentazione emessa per i soci – avevano chiarito che “sulla base degli elementi” presi in considerazione non erano “in condizioni di affermare” che la relazione fosse “stata determinata in conformità ai principi contabili di riferimento applicabili all’informativa finanziaria infra-annuale (Ias 34)”.