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Boicottaggi Pepsi Coca-cola

Pepsi e Coca-Cola boicottate dall’Egitto al Pakistan

Da quando è iniziata la guerra a Gaza, i Paesi a maggioranza musulmana preferiscono bere bibite locali rinnegando colossi a stelle e strisce come Coca-Cola e Pepsi in quanto simboli dell'America e, per estensione, di Israele. Ma quanto incidono i boicottaggi sull'economia aziendale? Fatti, numeri e commenti

 

Soldi andati in fumo quelli spesi per decenni da Coca-Cola e Pepsi nei Paesi a maggioranza musulmana? La situazione non appare fuori controllo ma i boicottaggi intrapresi dopo l’inizio della guerra a Gaza, in solidarietà con il popolo palestinese, stanno avendo un impatto su aree geografiche particolari come Libano, Pakistan ed Egitto. Oltre a favorire la vendita di alternative locali.

LA LUNGA E PACIFICA PROTESTA DEI BOICOTTAGGI

I boicottaggi dei consumatori risalgono almeno a una protesta del XVIII secolo contro la schiavitù dello zucchero in Gran Bretagna. Questa strategia poi, ricorda Reuters, è stata utilizzata nel XX secolo per combattere l’apartheid in Sudafrica e contro Israele attraverso il movimento Boycott, Divestment and Sanctions, nato nel 2005.

Venendo ai giorni nostri, sebbene Pepsi abbia dichiarato che né l’azienda né alcuno dei suoi marchi sono affiliati a governi o forze armate nel conflitto e Coca-Cola abbia assicurato di non finanziare operazioni militari in Israele o in altri Paesi, entrambi – dopo aver speso centinaia di milioni di dollari per decenni per conquistare anche i Paesi a maggioranza musulmana – devono ora fare i conti con le conseguenze dei boicottaggi, in quanto simboli dell’America e, per estensione, di Israele.

LA RIVINCITA DEI MARCHI LOCALI

In Egitto e Pakistan, per esempio, due tra i Paesi in cui si osservano di più gli effetti dei boicottaggi a Coca-Cola e Pepsi, c’è un nuovo interesse per bibite simili prodotte localmente.

Mentre infatti le vendite di Coca-Cola quest’anno sono crollate in Egitto, il suo marchio V7 ha esportato in Medio Oriente e in tutta la regione un numero di bottiglie di cola tre volte superiore a quello dell’anno scorso, come dichiarato dal suo fondatore, nonché ex dirigente di Coca-Cola, Mohamed Nour. E in patria, dove il prodotto è disponibile solo da luglio 2023, le vendite sono aumentate del 40%.

In Pakistan, invece, stanno riscuotendo successo Cola Next e Pakola che, secondo i dati dell’app di consegne Krave Mart, hanno ora una popolarità del 12% nella categoria delle bevande analcoliche, mentre prima del boicottaggio si fermavano al 2,5%.

L’EFFETTO SUI CONTI DI COCA-COLA E PEPSI

Stando ai risultati di Coca-Cola, che per l’Egitto imbottiglia direttamente nel Paese, i volumi venduti lì sono diminuiti di due cifre percentuali nel semestre conclusosi il 28 giugno. Nello stesso periodo dell’anno scorso, erano aumentati a una cifra.

Per quanto riguarda Pepsi, nei sei mesi successivi all’inizio della guerra a Gaza, i volumi delle sue bevande nella divisione Africa, Medio Oriente e Asia meridionale sono cresciuti a malapena, dopo aver registrato una crescita dell’8% e del 15% negli stessi trimestri del 2022 e 2023, scrive Reuters riportando i dati della società.

Ma oltre ai boicottaggi, anche l’inflazione e le turbolenze economiche in Egitto, Pakistan e Bangladesh sono alla radice del cambiamento di abitudini dei consumatori, costretti a scegliere prodotti, spesso locali, che costano meno. In Pakistan, per esempio, secondo GlobalData, già l’anno scorso la quota di mercato di Coca-Cola nel settore dei consumi è passata dal 6,3% del 2022 al 5,7% e quella di Pepsi dal 10,8% al 10,4%.

I BOICOTTAGGI FUNZIONANO O NO?

Nonostante gli analisti affermino che è difficile quantificare le vendite perse e che Pepsi e Coca-Cola hanno ancora attività in crescita in diversi Paesi del Medio Oriente, “i marchi occidentali di bevande hanno subito un calo delle vendite del 7% nella prima metà dell’anno in tutta la regione”, secondo l’azienda di ricerche di mercato NielsenIQ citata da Reuters.

Nel 2023 il fatturato totale della divisione Africa, Medio Oriente e Asia meridionale di Pepsi è stato di 6 miliardi di dollari e quello di Coca-Cola nella regione Europa, Medio Oriente e Africa di 8 miliardi di dollari.

Tuttavia, per Zahi Khouri, imprenditore palestinese-americano, che ha fondato la National Beverage Company, imbottigliatrice di Coca-Cola con sede a Ramallah e che vende la bibita americana in Cisgiordania, “i boicottaggi sono una questione di scelta personale, ma non aiutano realmente i palestinesi”. Nella stessa Cisgiordania, “hanno avuto un impatto limitato sulle vendite”.

Infatti, secondo Khouri, che sostiene la creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele, “solo la fine dell’occupazione aiuterebbe la situazione”.

Per Paul Musgrave, professore della Georgetown University in Qatar, più che considerare gli effetti nel breve termine bisogna pensare a quelli in futuro: “Se si rompono le abitudini, sarà più difficile riconquistarle nel lungo periodo”.

Come ricorda Reuters, Coca-Cola, dopo aver aperto una fabbrica in Israele negli anni ’60, è stata colpita da un boicottaggio della Lega Araba che è durato fino all’inizio degli anni ’90, favorendo così per anni Pepsi in Medio Oriente, tanto che secondo GlobalData, Coca-Cola è ancora in ritardo rispetto alla quota di mercato della rivale in Egitto e Pakistan.

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