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Fit For 55

Banca Marche, Etruria, Mps, Carige e non solo. Ecco chi (e come) ha contribuito a sbancare le banche italiane

La sentenza del Tribunale Ue sul caso Tercas che sconfessa l'operato della Commissione di Bruxelles. Il rimpallo di responsabilità sulla natura del Fitd. Le inazioni del Tesoro. Le capriole di Bankitalia. Come e perché il caso Tercas ha influenzato il corso delle vicende bancarie a partire da Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara fino a Mps, Carige e Popolare di Bari

 

Da martedì 19 marzo nulla sarà più come prima nei rapporti tra la Commissione Ue e l’Italia. Quel giorno il Tribunale Ue ha reso nota la sentenza che annulla la decisione della Commissione del 23 dicembre 2015, in cui si considerava come aiuto di Stato l’intervento del fondo interbancario tutela depositi (FITD) a favore di Banca Tercas.

La portata della decisione non è tanto relativa alla specifica vicenda che, ricordiamolo, fu comunque risolta consentendo al FITD di creare uno schema volontario che erogò le stesse somme che Tercas fu costretta dalla Commissione a restituire perché ritenute un aiuto di Stato in quanto erogate da un soggetto pubblico. L’impatto più rilevante della decisione della Commissione, bocciata dai giudici ben 4 anni dopo, è quello che ebbe sulla contemporanea vicenda che si concluse con la risoluzione delle 4 banche (Etruria, Marche, Chieti e Ferrara).

In quel caso, il FITD aveva già preparato le delibere per sottoscrivere l’aumento di capitale di ciascuna di quelle banche, ma la posizione della Commissione che, nonostante la natura privata del FITD giudicava come aiuto di Stato il suo intervento e quindi richiedeva il preventivo sacrificio degli obbligazionisti subordinati, impedì di dare esecuzione a tale piano.

La discussione tra il ministro Piercarlo Padoan e gli uffici di Bruxelles durò alcuni mesi e finì sotto la pietra tombale della ormai famosa lettera del 19 novembre 2015 (solo pochi giorni prima del fine settimana in cui fu disposta la risoluzione delle 4 banche) firmata dai Commissari Hill e Vestager.

In tale lettera si stabiliva che gli interventi di soggetti come il FITD dovevano passare al vaglio della normativa sugli aiuti di Stato, con un doppio alternativo esito: nel caso non fosse stata riconosciuta la loro natura privata, sarebbe stata applicabile la condizionalità prevista dalla direttiva BRRD cioè, in una parola, il sacrificio di azionisti ed obbligazionisti.

E chi decideva circa la natura privata o pubblica dell’intervento del FITD? La Commissione. Un bel circolo vizioso che il governo Renzi non fu in grado si spezzare, scegliendo invece di subire il diktat della Commissione, con la risoluzione delle 4 banche e l’azzeramento di decine di migliaia di obbligazionisti.

La storia dei mesi successivi è nota. Una galleria degli orrori disseminata da numerosi dissesti bancari, con l’indice FTSE Banche crollato dei 60% circa nel primo semestre 2016.

Appena resa nota la sentenza, si è scatenato l’inverecondo spettacolo delle dichiarazioni dei protagonisti della vicenda.

Sulla stampa è stato tutto un poco credibile florilegio di articoli a sostegno della necessità del bail-out eseguito da fondi di protezione dei depositi, in contrapposizione al bail-in ritenuto ora da tutti dannoso e causa di una epocale distruzione di valore nel settore bancario.

Perfino l’ABI che, prima dell’approvazione del bail-in, aveva supinamente accettato la norma senza fiatare dichiarandosi addirittura favorevole anche all’applicazione retroattiva ai titoli già emessi, ha ritenuto opportuno rifarsi una verginità, chiedendo le dimissioni della Vestager e parlando subito di risarcimento dei danni.

La Vestager ha subito parlato di due diverse catene causali, facendo finta di non sapere che le due vicende (Tercas e 4 banche) furono temporalmente sovrapposte e la posizione della Commissione sulla prima vicenda fu determinante nell’esito della seconda. In ogni caso, il commissario europeo non ha avuto dubbi nell’aggiungere che la risoluzione delle 4 banche fu una scelta di Bankitalia.

Dall’altro lato, la vulgata prevalente sulla stampa italiana (Sole 24 Ore in testa) ha subito preso le difese di Bankitalia, attribuendo la responsabilità dell’accaduto a Bruxelles.

È stato sostenuto che la posizione assunta dalla Commissione avrebbe pure impedito di disobbedire e quindi di procedere con la ricapitalizzazione ad opera del FITD. In questo caso, come anche dichiarato dal presidente del FITD Salvatore Maccarone davanti alla Commissione d’inchiesta sulla banche della passata legislatura, la ricapitalizzazione sarebbe rimasta sub judice e gli accantonamenti necessari per fronteggiare il rischio di una vittoria successiva della Commissione, avrebbero di fatto reso vano il beneficio dell’intervento del FITD. È la stessa tesi sostenuta anche dal ministro dell’epoca Padoan, nell’intervista al Sole del 21 marzo.

Bankitalia non ha mancato di far sentire la sua voce, tramite la solita stampa pronta a fare da megafono, ribadendo la tesi della sua totale contrarietà, non da oggi, alla posizione della Commissione sugli aiuti di Stato. Questo è infatti vero e risulta anche dall’ormai famosa audizione parlamentare del capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo del dicembre 2015, a danno ormai fatto. Resta il fatto che Bankitalia non riuscì ad incidere efficacemente in quei difficili mesi della trattativa con la UE, fornendo alla parte politica gli adeguati strumenti per ribaltare l’assurda convinzione della Vestager che invece il Tribunale UE ha passato da parte a parte con argomenti inequivocabili.

Da parte di qualche sedicente competente è stata pure avanzata la tesi che quelle banche erano ormai decotte e sarebbero crollate comunque, anche con l’intervento del FITD. Nessuno può saperlo. Si può però affermare con relativa certezza che tenere sulla graticola una banca, anche sana, per qualche mese, come è stato fatto con le 4 banche, con MPS o anche Carige, determina il rapido deterioramento del conto economico a causa della fuga dei depositanti, del conseguente calo dei ricavi e, in presenza di costi difficilmente comprimibili, del crollo dei margini. Si distrugge il bene più importante (non) iscritto all’attivo di una banca: la fiducia.

Uno dei commenti francamente più imbarazzanti è stato quello di Andrea Enria, capo della Vigilanza BCE. Sostenendo che quella sentenza apriva ‘strade nuove’, sembrava dimenticare che la strada degli interventi del FITD era stata da sempre percorsa per gestire i dissesti bancari degli ultimi 30 anni in Italia, senza perdite per soggetti diversi dagli azionisti, e solo l’improvvida posizione della Commissione UE l’aveva sbarrata nel 2015.

Un coro francamente stonato che prova troppo, che ora però finirà sotto il setaccio di una commissione di inchiesta che, con buona pace dell’inquilino del Colle, durerà tutta la legislatura e non sarà presieduta da chi, come Pierferdinando Casini presidente della precedente commissione, si è incredibilmente astenuto nella votazione della legge istitutiva della nuova commissione (in compagnia di Bonino, Monti e Cattaneo, ca va sans dire).

Ma là dove non potrà arrivare la commissione parlamentare, potrebbe arrivare una mozione presentata al Senato il 28 marzo (Pesco e Bagnai primi firmatari) con cui si impegna il Governo a richiedere un risarcimento dei danni all’Unione per responsabilità extra contrattuale. L’elenco è sostanzioso: si spazia dai danni diretti a quelli indiretti all’intero sistema bancario, dai danni per la eccessiva svalutazione delle sofferenze a quelli per l’instabilità del mercato del debito pubblico. È un conto che si preannuncia molto salato.

Gli italiani hanno diritto di sapere e di essere risarciti in misura congrua, questa volta senza il “troncare e sopire” della precedente commissione ed evitando che il rimpallo delle responsabilità nel triangolo tra Bruxelles, Bankitalia e Governi Letta/Renzi/Gentiloni infligga l’ennesima umiliazione al Paese.

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