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Banca Ifis e non solo, ecco chi festeggia con gli Npl di Mps

Mps ha comunicato chi sono gli 11 assegnatari della gara: fra gli altri Banca Ifis, Cerved Credit Management, Credito Fondiario, Cribis, Fire, Finint, doValue e Intrum. Mentre crescono le preoccupazioni del Tesoro sulla bomba delle cause legali. L'articolo di Emanuela Rossi

 

Si rincorrono di continuo, da mesi, le voci di possibili pretendenti alle nozze con Monte Paschi di Siena (Mps) e l’arrivo in Unicredit del romano Andrea Orcel, in sostituzione del ceo uscente Jean Pierre Mustier, non ha fatto che aggiungere legna al fuoco.

Mentre si guarda al futuro, comunque con una certa apprensione visto che i tempi stringono e il Tesoro deve lasciare la quota di maggioranza (64%) entro il 2022, a Siena c’è però chi fa i conti con il presente, frutto di un passato spesso poco accorto.

GLI NPL GESTITI DA AMCO

Un elemento che grava come un macigno è la vasta mole di crediti deteriorati prodotti in Mps. La novità riguarda la gara di Amco, l’ex Sga, per la gestione di 3,3 miliardi di Npe relativi a circa 72 mila debitori. Proprio ieri la controllata del Mef ha comunicato chi sono gli 11 assegnatari della gara: At, Banca Ifis, Cerved Credit Management, Covisian Credit Management (già Css), Credito Fondiario, Cribis Credit Management, Fire, Finint Revalue (Gruppo Finanziaria Internazionale), Gruppo doValue (doValue e Italfondiario), Intrum Italy e Sistemia S.p.A.

La procedura competitiva è stata avviata lo scorso mese di ottobre e ha coinvolto circa 40 servicer: le offerte presentate – si legge nella nota – sono state valutate “sulla base di criteri di selezione ben definiti tenendo in considerazione il livello di specializzazione nella gestione dei crediti, le competenze operative, i livelli di performance e il track record”.

Amco ha inoltre annunciato che sono stati già rimborsati 250 milioni di debito del gruppo bancario toscano con Ubs e JPMorgan, con scadenza dicembre 2021 e garantiti mediante cartolarizzazione del portafoglio del compendio Mps. Dunque, il debito garantito ancora in essere diminuisce da 1 miliardo a 750 milioni di euro.

IL REPORT DI BANCA IFIS

Secondo il report Market Watch NPL elaborato da Banca Ifis, nel corso del 2021 sul mercato potrebbero essere venduti dal sistema bancario altri 40 miliardi di NPL – Non Performing Loans. Di questi, 30 miliardi sono già state annunciati come prossime dimissioni, dunque già in corso di lavorazione.

Il trend, già delineato a fine settembre nel corso dell’NPL Meeting a Cernobbio, ha subìto nell’ultimo trimestre del 2020 e in particolare nel mese di dicembre, un nuovo sprint che ha portato a chiudere l’anno a quota 38 miliardi di euro di NPL ceduti nel 2020. Si stima che per effetto della crisi, nel 2022 i flussi di cessione si manterranno elevati. Il report indica inoltre un deciso incremento del deteriorato nei bilanci bancari con un tasso di deterioramento o default rate, cioè i crediti che diventano non performing, in crescita al 2,6% nel 2021 e al 3% nel 2022.

A CHE PUNTO È LA CARTOLARIZZAZIONE DA 24,6 MLD

A fare altri conti in tasca a Montepaschi ci ha pensato ieri Andrea Greco che, su “Affari & Finanza” di Repubblica, ha raccontato come nella cartolarizzazione da 24,6 miliardi – la più grande d’Europa, partita a fine 2017, che si chiama Valentine – il recupero dei crediti vada a rilento tanto che i tempi sono stati allungati da 5 a 10 anni. Lo stesso discorso va fatto pure per il denaro pubblico per rendere possibile la stessa cartolarizzazione ovvero quasi 3 miliardi di garanzie Gacs sui titoli senior meno rischiosi. “I numeri pubblici sono pochi – viene riferito -, spesso ritardati di 6-9 mesi, e il nuovo padrone fondo Dea Capital, che 14 mesi fa la comprò da Quaestio, non cerca facili clamori”.

Ma cosa è accaduto? Due le narrazioni opposte. “Una dice che l’operazione, finanziata con meno debito rispetto alle rivali mostra resilienza” e al 30 settembre 2020 “i rimborsi legati al recupero dei crediti avevano ridotto l’ammontare delle tre tranche di obbligazioni a 1,89 miliardi, dagli iniziali 3,47, pari a un ‘rischio Stato’ quasi dimezzato a 1,7 miliardi”. L’altro modo di guardare a Valentine, “è invece più critico: l’agenzia Dbrs, citando i flussi dal gennaio 2018 (esordio dei servicer nel recupero crediti) al giugno 2020, rilevavano incassi al lordo dei costi di recupero di 1,59 miliardi, il 39% meno dei 2,61 miliardi stimati dal piano iniziale; Jp Morgan, su dati che partono dal via dell’operazione nel gennaio 2017, mostra dinamiche di poco attenuate”.

E dunque, complice pure la pandemia che ha rallentato o bloccato molte procedure, la nuova proprietà “ha avuto buon gioco a rivoluzionare i piani di recupero iniziali, parecchio ambiziosi e concentrati in cinque anni, ma nove mesi fa raddoppiati a 10, fino al 2026. Tale revisione rimescola e ritarda, e certo limerà i rendimenti stimati nel 6% annui circa per i quotisti di Atlante 2, ribattezzato (già da Quaestio) Italian recovery fund”.

LA GRANA DEL PETITUM

Altro dossier caldo a Rocca Salimbeni è quello del contenzioso legale per circa 10 miliardi, causato dall’operazione Antonveneta e dalle operazioni Alexandria e Santorini. Come annunciato qualche settimana fa, la Fondazione Monte dei Paschi ha deciso di fare causa a Mps sia nei confronti degli ex amministratori della banca per gli aumenti di capitale del 2008, del 2011, del 2014 e del 2015 sia contro gli ex vertici per i derivati Santorini e Alexandria, come chiarito dal presidente Carlo Rossi.

Dunque, riferisce l’agenzia Radiocor, la Fondazione è al lavoro con i suoi legali e sta mettendo a punto nel dettaglio le richieste danni. “Il petitum, un volta formalizzata la causa, sarà certamente inferiore, si apprende da fonti finanziarie, ai 3,8 miliardi complessivi indicati nelle tre lettere di intimazione e messa in mora inviate da palazzo Sansedoni a banca Mps nel luglio scorso”.

Radiocor spiega che l’importo complessivo, indicato proprio nei documenti di Mps, indica solo il danno massimo possibile, non quello effettivo, in corso di calcolo che sarà necessariamente più basso. La cifra più alta richiesta dalla Fondazione come danno massimo è relativa all’aumento di capitale 2008 per l’acquisto di Antonveneta ed è pari a 2.667 milioni per la componente in opzione cui vanno aggiunti altri 366 milioni per l’aumento di capitale riservato. Un’altra richiesta danni da 590 milioni circa di danno massimo teorico è invece relativa all’aumento di capitale del 2011 per la contabilizzazione – sbagliata – di Alexandria e Santorini nel periodo 2008-2012. Ai 590 milioni bisogna sommare oltre 90 milioni di danno reputazionale.

Infine, l’ultima lettera di messa in mora da arte di Palazzo Sansedoni, riguarda gli aumenti di capitale 2014-2015 per la non corretta contabilizzazione di Santorini e Alexandria negli anni dal 2012 al 2015: la richiesta in questo caso è pari ad almeno 171 milioni. In totale, dunque, la Fondazione potrebbe fare causa per 3,8 miliardi. Una bella dote, insomma, per le nozze di cui si favoleggia.

COSA NE PENSA EQUITA

Di sicuro, e l’affermazione non stupisce, la neutralizzazione dei rischi legali di Rocca Salimbeni aumenterebbe “in modo sostanziale” le possibilità di trovare un pretendente in quel di Siena secondo gli analisti di Equita che hanno commentato le indiscrezioni sui piani dei Via XX Settembre per intervenire proprio sul petitum. È però evidente che il Tesoro si trova davanti “ostacoli sia a livello europeo (visti i vincoli nell’ambito delle regole sulla concorrenza) sia a livello domestico” per le difficoltà “di trasferire rischi determinatisi nello svolgimento di un’attività privata sul bilancio pubblico”.

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