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Autostrade, Alitalia, Ilva. Come cambierà la linea del governo dopo il flop M5S in Emilia-Romagna. L’analisi di Polillo

Le prospettive del governo sui dossier fiscali ed economici (come Alitalia, Autostrade e Ilva) dopo le elezioni in Emilia-Romagna. Il commento di Gianfranco Polillo

Ormai i 5 stelle sono come la Gallia descritta da Giulio Cesare nel “De bello gallico”: “Omnis divisa in partes tres”. C’è innanzitutto chi si considera “terza forza”, portatore di una cultura post-ideologica, secondo le tesi più volte avanzate da Luigi Di Maio. C’è invece chi rimpiange l’abbraccio con la Lega, durante il governo giallo-verde. E chi, evidentemente, come l’attuale presidente del Consiglio (lo stesso di ieri) l’aveva subito e oggi brinda e spera nel successo della nuova ed opposta alleanza.

Difficile individuare i possibili pretoriani. Il vertice stesso del movimento – Beppe Grillo e Davide Casaleggio – stando ai rumor si dislocano su posizioni opposte. Al punto che (stando sempre a quanto si dice) le improvvise dimissioni di Di Maio troverebbero una loro logica spiegazione proprio in relazione al disequilibrio magmatico che si era determinato tra i due. Al momento sono le seconde linee che si confrontano. Il reggente Vito Crimi non ha esitato un momento nel respingere le tesi “frontiste” di chi vorrebbe un’Union Sacrée contro la destra. Nella scelta del nuovo capo-delegazione al governo, alla fine e contro le indicazioni iniziali a favore di Stefano Patuanelli, è prevalso Alfonso Bonafede. Quasi un argine al frontismo manifesto di Giuseppe Conte. Non sarà facile trovare soluzioni per prescrizione e quant’altro.

C’è poi la grande incognita rappresentata da Alessandro Di Battista. L’unico, secondo quanto scrive Gianluigi Paragone, che sarebbe in grado di “far rinascere il Movimento”. Ma al momento “Dibba” si è chiamato fuori. Sono in molti a credere che le accuse di Di Maio durante la conferenza stampa contro coloro che pugnalavano nell’ombra, fossero rivolte proprio a lui. Queste interpretazioni sono state poi smentite dai diversi staff. Ma il dubbio è rimasto. Ma se così fosse stato, lo scontro al vertice del Movimento sarebbe risultato ancora più cruento. Di Maio contro Grillo, a sua volta lontano, per non dire altro, da Casaleggio. E Di Battista che compie il gran rifiuto, lasciando solo il suo amico (concorrente) fraterno. Sebbene entrambi non disponibili a fare da scendiletto al Pd.

Come la crisi interna al Movimento si rifletterà sulla tenuta del governo, lo si vedrà nelle prossime settimane, anche in vista delle altre scadenze elettorali di maggio. Tanto si cerca di blindare questo parlamento con il referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei relativi membri. Approvata definitivamente la riforma, per mandare a casa chi difficilmente potrà ricandidarsi ci vorrà, quanto meno, l’ufficiale giudiziario. Non è un caso se Vito Crimi consideri quest’argomento l’impegno prioritario dei 5 stelle. Anche perché sugli altri temi spinosi – Ilva, Alitalia, le concessioni autostradali – cambiamenti saranno inevitabili. Come del resto ha fatto chiaramente intendere lo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha spronato il governo a operare.

Per il Pd, il meno che si può dire è che è finita la pace. Finora non doveva far altro che perseverare. Cercare di limitare il danno di fronte alle intemperanze di quei barbari che, con pazienza, doveva romanizzare. Ma l’accelerazione data dai risultati elettorali cambia il quadro, dando al partito ben altre responsabilità. Non deve solo fare la guardia al bidone. Deve assumersi l’onere delle scelte. Cosa non facile, alla luce dei risultati emiliani. Più si scava nel voto è più risulta evidente che quel successo elettorale è principalmente figlio di chi ha preferito lo status quo. Come nel primo municipio di Roma, sono i benestanti a votare il PD, mentre i sofferenti cercano altre soluzioni politiche.

Dall’analisi del voto, infatti, risulta evidente come il voto a favore di Bonaccini sia stato, per così dire, una variabile direttamente connessa con l’altezza del reddito posseduto.

Ma quel che vale per Bologna e Modena, non è replicabile nelle altre piazze d’Italia alla prese con una crisi che non lascia eccessive speranze. Il Pd è in grado di affrontare questa emergenza o pensa di risolvere tutto con le piccole mance – i 20 euro del taglio del cuneo fiscale – a favore dei propri probabili elettori? Difficile azzardare previsioni, ma certo è che qualsiasi politica di sviluppo in Italia deve passare per la cruna dell’ago di un serrato confronto con la Commissione europea. Problema di non facile soluzione, visto come sono andate finora le cose. Con una Commissione disposta anche a concedere margini di flessibilità. Ma ad una condizione: che non si mettano in dubbio le regole basiche che sostengono l’attuale equilibrio politico, in cui l’Italia non ha voce in capitolo.

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