Ci sono dei numeri che non si possono negare. Ricorrere al Mes effettivamente porterebbe a risparmi di circa 500 milioni l’anno rispetto al caso in cui dovessimo prendere quelle somme a prestito noi direttamente sui mercati. Ma forse i risparmi sarebbero maggiori: non si può escludere che se l’Italia decidesse di cercarsi tanti miliardi da sola sui mercati lo spread salirebbe ulteriormente. Supponiamo dunque di arrivare ad 1 miliardo di euro, ovvero lo 0,06% del nostro Pil: circa 16 euro annui a testa di tasse in più o di servizi sociali in meno a causa della rinuncia al Mes. Poco, ma non nulla.
Se la storia finisse qui sarebbe stupido rinunciare al Mes. Io però non ho ancora trovato una dichiarazione esplicita che mi convinca del fatto che l’accettazione del Mes non avrebbe anche una ulteriore conseguenza, oltre a quella di abbassarci il costo di prendere a prestito: ovvero quella che saremo obbligati a… prendere a prestito di meno di quanto non potremmo fare direttamente noi da soli. Ovvero: se accettiamo il Mes ci dobbiamo obbligare (la c.d. condizionalità) a rientrare nel percorso di sorveglianza del rientro del deficit pubblico sul Pil verso il bilancio in pareggio. Di fatto vuol dire che l’attuale discrezionalità acquisita su quanto spendere a sostegno del Paese, ottenuta a valle della sospensione legata a Covid del Fiscal Compact, sarebbe interrotta e l’Europa tornerebbe a dire all’Italia cosa fare quanto a riduzione di spese ed aumenti di tasse. E questo proprio in un periodo in cui l’Italia avrebbe bisogno di ben altro. Immaginando anche a essere ottimisti che invece di chiederci di rientrare nel 2022 al, per esempio, 5% di deficit da noi desiderato, l’Europa ci chiedesse di scendere al 4%, sarebbero 17 miliardi di euro di tasse in più o di tagli alla spesa in più (investimenti pubblici e stipendi con tutta probabilità).
Paragonate questi 17 miliardi di costi in più del Mes col miliardo in più di vantaggi del Mes: non c’è storia, è bene non accettarlo quel Mes. Lo dico da europeista convinto e sostenitore dell’euro: chiedere all’Italia nel 2022, ancora tramortita, di fare politiche restrittive vorrebbe dire dare in mano il Paese all’opposizione sovranista, una follia.
Diversa sarebbe la questione col nuovo Recovery Fund che non solo nascerebbe da un nuovo negoziato (e quindi si potrebbe immaginare che i fondi a prestito possano essere ottenuti senza condizionalità ulteriori come invece ha senza scampo il Mes) ma dove ci sono anche trasferimenti a fondo perduto: quando ne arriveremo a discuterne seriamente, nella primavera del 2021 se tutto va bene data la lentezza delle istituzioni europee, sarà bene riparlarne.
La questione vera tuttavia non finisce col No al Mes. Perché a breve, lo si è capito dalle recenti parole di Dombrovskis, si tratterà di decidere se rientrare, con o senza prestito Mes ottenuto, nel Fiscal Compact da cui ci siamo staccati durante Covid. Stiamo parlando di quel Fiscal Compact che non fa parte dei Trattati europei perché non ha mai trovato il consenso del Parlamento europeo a valle dei suoi fallimentari primi 5 anni di vita, quel Fiscal Compact che lo stesso European Fiscal Board – creatura europea – ha dichiarato fallimentare, quel Fiscal Compact che ha rischiato di far fallire il progetto europeo facendo crescere i sovranismi e l’avversione all’Europa, obbligando quei Paesi che avevano bisogno di sostegno a invece autoridurselo.
L’Italia ha ora potere di veto nel dire No alla ripartenza del Fiscal Compact e sì alla creazione di regole fiscali che aiutino i Paesi quando sono nell’inverno più gelido e li spronino ad aggiustare i conti quando c’è il sole, in tempi di crescita sostenuta. È un’occasione unica, ed è l’unica occasione che avremo per dire veramente la nostra, e con ciò salvare l’Europa.