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Bce

Anche il Sole 24 Ore (finalmente) si accorge della bomba atomica Ue-Bce contro banche e pmi

Se l'Ue non procederà alla sospensione del cosiddetto “calendar provisioning”, si rischia di pregiudicare il credito alle imprese, soprattutto le piccole e medie, poiché le banche difficilmente presteranno soldi rischiando di perderli tutti in tre anni se l'azienda finirà anche solo in crisi temporanea. Parola (a scoppio ritardato) del Sole 24 Ore

 

Se la Ue non procederà alla sospensione del cosiddetto “calendar provisioning”, si rischia di pregiudicare il credito alle imprese, soprattutto le piccole e medie, poiché le banche difficilmente presteranno soldi rischiando di perderli tutti in tre anni se l’azienda finirà anche solo in crisi temporanea.

E’ l’allarme che lancia oggi il Sole 24 Ore con un commento di Alessandro Graziani, giornalista esperto di banche del quotidiano di Confindustria.

Un allarme che s’inserisce in un dibattito che circolano da tempo fra gli addetti ai lavori: una questione rilevante e perniciosa per l’economia oltre che per gli istituti di credito sollevata tempo fa tra i pochissimi Vladimiro Giacché nel corso di un’audizione all’Europarlamento dello scorso giugno.

“Occorre la modifica temporanea del Regolamento 2019/630 del Parlamento e del Consiglio del 17 aprile 2019 per quanto riguarda la copertura minima delle perdite su NPE (Non-Performing Exposures): è necessario ritardare di due anni le regole sul capital provisioning (in altri termini, le norme sulla progressiva copertura dei crediti deteriorati dovrebbero essere differite per 24 mesi), – sarebbe necessario anche un ritardo più sostanziale della nuova definizione di default (la nuova data concordata, 1.1.2021, è ancora troppo vicina). In caso contrario, come sottolineato in una recente bozza di parere del Comitato economico e sociale europeo, le banche sarebbero costrette a rispettare “regole che potrebbero in ultima analisi esercitare un’enorme pressione sul capitale o almeno scoraggiare le banche dall’emettere finanziamenti in un’economia in difficoltà, al fine di evitare ripercussioni negative sul capitale”.

E’ quanto ha affermato, il 15 giugno scorso, nel corso di un’audizione al Parlamento europeo Vladimiro Giacché, già presidente del Cer, e dal primo luglio scorso Responsabile Comunicazione, Studi e Marketing Strategico della Banca del Fucino.

Il tema è diventato di pubblico dominio – almeno sui giornali – dopo l’audizione in Parlamento da parte del numero uno di Mediobanca, Alberto Nagel.

Il calendar provisioning della Bce, che impone la progressiva svalutazione dei crediti deteriorati fino al 100% in tre anni, è “una norma sbagliata” e andrebbe rivista: “applicata nel post Covid è come una bomba atomica” e determinerebbe “un disastro nel bilancio delle banche, non solo nostre”, ha detto il 9 settembre il numero uno dell’istituto di Piazzetta Cuccia.

Una questione che non pare preoccupar, però, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco (qui i dettagli in un articolo di Start).

Stessa impostazione, in sostanza, del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri (qui l’articolo di Start con le dichiarazioni entusiastiche di Gualtieri quando fu relatore al Parlamento europeo del provvedimento sulla materia).

ECCO IL COMMENTO DEL SOLE 24 ORE A FIRMA GRAZIANI:

Tutti i Governi e tutte le banche centrali concordano nel definire l’attuale fase economica indotta dalla pandemia come la più grave crisi del Dopoguerra. In Europa sia gli Stati nazionali chela commissione Ue e la Bce hanno varato provvedimenti straordinari per tamponare una situazione di emergenza finanziaria mai vista prima.

In tutta Europa anche le banche sono state chiamate a fare la loro parte per contrastare gli effetti sulla clientela del ciclo economico avverso. Solamente in Italia, secondo i dati diffusi ieri dall’Abi, alle banche sono pervenute domande di moratoria per 300 miliardi di euro e oltre 88 miliardi di richieste di prestiti al Fondo di Garanzia Pmi. Interventi analoghi sono avvenuti in ogni Paese europeo.

Per ovviare alle rigidità regolamentari cui sono sottoposte le banche, a fine giugno Commissione e Parlamento Ue hanno adottato una serie di deroghe di “quick fix” tese ad alleviare l’impatto sul capitale Cet1 delle moratorie sul credito, dei principi contabili Ifrs9 e del computo sul patrimonio dei titoli di Stato in portafoglio.

A queste misure si è aggiunta la richiesta alle banche, avanzata formalmente dalla Vigilanza Bce, di non distribuire dividendi e non procedere a buy back in modo da poter utilizzare i buffer di capitale in eccesso al finanziamento dell’economia reale. Con le stesse finalità, la Bce ha varato un piano di aste di Tltro a tassi negativi per le banche che ha iniettato centinaia di miliardi di liquidità.

Il rischio è che tutta questa serie di provvedimenti, che univocamente sono diretti a contrastare le avversità del ciclo economico, siano in parte vanificati se la Ue non procederà alla sospensione del cosiddetto “calendar provisioning”. Ovvero la recente normativa dell’Unione che impone in automatico alle banche l’azzeramento in tre anni dei crediti a rischio non garantiti (sia Npl che Utp) e in 7-9 anni di quelli con garanzie reali.

Una regola fortemente prociclica che, introdotta in tempi di ripresa dell’economia, doveva servire ad anticipare la pulizia dei bilanci delle banche. Ma che in questa fase di recessione invece rischia di pregiudicare il credito alle imprese, soprattutto le piccole e medie, poiché le banche difficilmente presteranno soldi rischiando di perderli tutti in tre anni se l’azienda finirà anche solo in crisi temporanea. E di aziende in situazione d’incertezza, in Italia e in tutta Europa, ce ne sono centinaia di migliaia e con milioni di dipendenti.

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