Come ho scritto ieri, guardando la regolarità con cui i numeri di COVID-19 in Italia continuino a scendere, è forte la tentazione di dire: “Lasciamo che il virus sparisca senza cambiare la formula vincente”. Ma mi rendo conto che la sofferenza economica e socio-sanitaria legata al lock-down ormai sta superando quella causata dal virus.
Cosa fare allora? Come sapete, io non faccio parte di alcun comitato consultivo ufficiale in Italia. Ed è giusto così perché il premier Conte ed il ministro Speranza sono circondati di ottimi consiglieri tecnico-scientifici, mentre i miei ruoli istituzionali sono negli Usa e non in Italia.
Ma se ipoteticamente qualcuno che comanda mi chiedesse un opinione, gli direi che la nostra ricetta si basa su tre semplici principi: MONITORAGGIO (sia delle infezioni che del livello di immunità, con test sierologici e virologici, ed anche con “contact tracing”), FLESSIBILITA’ (sia nel riaprire che, se necessario, nel richiudere, anche a livello loco-regionale), e COORDINAZIONE (a livello nazionale, tra regioni, ma anche internazionale, integrandosi con le strategie usate in Europa, USA, Cina etc).
E almeno nelle prime settimane di apertura, con il virus che ancora circola, sarà cruciale usare molte mascherine, buon distanziamento sociale e tanta igiene personale.
Presto, cari amici, torneremo tutti alla normalità, ne sono convinto. Ma dobbiamo gestirla bene questa transizione, non alla carlona, perché il rischio di andare a sbattere contro un altro muro non è per niente piccolo.
REPETITA IUVANT
Ancora sul virus a cui “piace freddo”.
Scrive un lettore, con l’ironia un po’ arrogante di chi conosce abbastanza un argomento da pensare di aver ragione, ma non abbastanza da rendersi conto che sta dicendo una sciocchezza: “Questo virus opera dentro il corpo umano che è di media 37° e non si fa nessun problema quando subentra la febbre che la porta a valori più alti (altrimenti guariremmo semplicemente di febbre), sarà anche vero che non sopporta i 60° (per dire un numero) peccato che noi a 60° stiamo ben peggio di lui.”
Allora ripeto per l’ennesima volta. Quando si dice “a questo virus non piace il caldo” non ci riferisce alla temperatura a cui il virus stesso viene disattivato dal calore, ma alle temperature che rendono instabili le goccioline di fomiti (saliva, starnuti, tosse etc) che trasportano il virus nell’ambiente. Questo meccanismo è noto ai virologi da decenni, e spiega perché tutte le infezioni virali respiratorie sono altamente stagionali con chiarissima predilezione per l’inverno. Onestamente pensavo che fosse un concetto ovvio, di quelli che ogni studenti principiante di microbiologia impara nel primo mese di lezione, ma vedo che è bene spiegarlo di nuovo.