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Le “esperienze occulte” di Thomas Mann

Il Bloc Notes di Michele Magno

Monaco di Baviera, vigilia di Natale, 1922: Thomas Mann sale su un tram in compagnia di un caricaturista che gli ha procurato un appuntamento con il barone Albert von Schrenck-Notzing. Medico, specialista in patologie nervose e sessuali, l’aristocratico tedesco era l’autore di due tomi intitolati “Fenomeni di materializzazione”, con cui si era conquistata una discreta fama tra i seguaci del paranormale che affollavano la società monacense. Il suo salotto era frequentato da pittori, musicisti, professori universitari, poeti, tutti accomunati dall’interesse per i fenomeni medianici. Esoterismo e occultismo, già presenti nella Germania prebellica, si erano diffusi capillarmente dopo la sconfitta nella Grande guerra. L’umiliazione subita e una devastante crisi economica costituivano un terreno fertile per la proliferazione di sette segrete e di strampalati culti misterici.

Mann, che allora aveva già iniziato la sua conversione alla democrazia di Weimar, sbarcava il lunario collaborando con il periodico americano The Dial, per cui scrisse le famose otto “Lettere dalla Germania” (1922-1928). Nel frattempo si manteneva curioso e avido di nuove avventure intellettuali. Aveva perciò accettato di buon grado l’invito del barone. Giunto nei pressi del Karolinenplatz, dove si trovava la casa di von Schreck, viene ricevuto e fatto accomodare in biblioteca. Una variopinta delegazione di Schwabing, il quartiere degli artisti, era lì in attesa che il medium Willi S. mostrasse le sue doti. Mann non ha troppe aspettative. Sa che può essere coinvolto in un’impostura, ma decide comunque di restare, quasi in veste di antropologo. Non se ne pentirà. Lo racconta in un agile volumetto, stampato per la prima volta in Italia grazie a un raffinato editore di nicchia (“Sedute spiritiche e un’altra prosa inedita”, a cura e traduzione di Claudia Ciardi, Via Del Vento, 2016).

I resoconti dei tre esperimenti a cui assiste hanno un altissimo valore documentale, in quanto rappresentano il primo nucleo narrativo di un tema che Mann sviluppa in chiave letteraria nel medesimo arco di tempo. In primo luogo nel saggio “Esperienze occulte” (1923), redatto in occasione di una conferenza e subito pubblicato sulla rivista Neue Rundschau. In secondo luogo nel romanzo “La montagna incantata”, il capolavoro cui attendeva da un decennio. Un suo intero capitolo è dedicato alle sedute spiritiche che si tengono nel sanatorio svizzero di Davos, a cui partecipa il protagonista, il solido e rispettabile borghese Hans Castorp.

La passione per le zone d’ombra della psicologia umana, dove la mente vibra tra sogno e allucinazione, sarà un motivo ricorrente nell’opera del grande narratore di Lubecca. Si pensi al gondoliere-Caronte che scorta Gustav Aschenbach in “La morte a Venezia”; o al ritratto del mago Cipolla, l’ipnotizzatore incontrato durante una vacanza in Versilia, immortalato in “Mario e il mago”, dove, a proposito delle suggestioni suscitate dalla pratica della magia, osserva: “Ognuno ha gettato una rapida occhiata, tra curiosa e sprezzante, sul carattere ambiguo e indecifrabile dell’occulto, quell’occulto incline sempre a confondersi, nell’individuo, con la ciarlataneria e il soccorrevole imbroglio, seppure tale connubio nulla provi contro la purezza degli altri elementi del pericoloso amalgama”.

In queste riflessioni, già abbozzate in una delle primissime prove dello scrittore, lo schizzo in prosa “Visione” (1893), si avverte chiaramente l’eco dell’esperienza vissuta nelle sedute spiritiche organizzate dal suo illustre ospite. È proprio il barone il destinatario delle sue note, stese in forma epistolare e con stile freddo e austero, assai diverso da quello vivace e -in alcuni punti- perfino canzonatorio che usa nel citato opuscolo “Esperienze occulte”. Fin dall”incipit del primo resoconto il tono è grave: ” Dopo il mio ingresso nel suo salotto [di von Schrenck], fatta la conoscenza del resto dei partecipanti, mi presi la briga di salutare il giovane Willi e di scambiare qualche parola con lui, in parte per convincerlo che in me non si sarebbe palesato alcun nemico né una spia maligna, in parte per ricavarne un’impressione della sua personalità”. Pure, nelle righe successive non nasconde il debole che lo lega al suo interlocutore, un ventenne di estrazione chiaramente modesta, di indole garbata e cordiale, che non tradiva alcun bisogno di conquistarsi le simpatie del pubblico attraverso smancerie o una forbita gentilezza.
Essendo un neofita, a Mann viene permesso di ispezionare il locale dove si sarebbe svolto l’esperimento e di assistere alla vestizione del medium. Quando la seduta inizia, gli astanti si dispongono a semicerchio. Di fronte a loro, seduto, c’è Willi. Due controllori gli immobilizzano mani e piedi. La stanza era fiocamente illuminata da un lampadario a schermi rossi e neri. Viene messo in moto un carillon. Il medium cade subito in trance. Il suo corpo è scosso da sussulti spasmodici. All’improvviso si sdoppia in una figura femminile e in una maschile, che lui chiama Minna e Erwin. Questi promette eventi prodigiosi, che però non avvengono. Allora gli spettatori prendono a incitare come ossessi lo spirito di Minna, ma invano. “Qualcosa di mistico -registra Mann- e precisamente non in senso spettrale, ma inerente a una mistica organica, primitiva e al contempo sconvolgente, l’insieme lo guadagnava per via del medium che si contorceva come in una lotta, dimenandosi di qua e di là, bisbigliando, respirando affannosamente e gemendo: tutto il mio interesse andava a lui […].

Il tempo passava però senza risultati. Il padrone di casa, spazientito, dichiara chiusa la seduta. Un attimo dopo, tra lo stupore dei presenti, un fazzoletto che giaceva disteso sul pavimento si solleva con energia, e rimane sospeso nel vuoto per alcuni secondi. La tensione si fa spasmodica stelle quando, insieme al fazzoletto, comincia a vagare nell’aria un oggetto dai contorni indefiniti che poi si dissolve nel nulla. Più tardi, è una piccola campana a dirigersi velocemente verso la sedia di uno dei partecipanti. L’ultima levitazione è quella di un anello: terminate le sue rotazioni, si depone delicatamente su un piatto. “Mi avvicinai [a Willi] -ricorda Mann- e gli espressi la mia soddisfazione, al che restando muto mi rivolse uno sguardo assonnato e un sorriso tra il bonario e il melanconico”.

In effetti, anche per lui era difficile sospettare l’esistenza di qualche raggiro. Dietro l’atto di afferrare, scuotere e scagliare la campanella non poteva esserci nessuno. Inoltre, chi o che cosa avevano potuto spostare il fazzoletto e l’anello? “Insisto, il discorso -sottolinea Mann- non può vertere sull’imbroglio in un qualsivoglia senso meccanico. Si tratta di un artificio occulto prodotto da una forma di vita organica, la cui anomala realtà mi è parsa indiscutibile, nutrita da confusi stati psicologici a livello profondo e istintivo dell’umano che […] si prestano veramente bene a demolire il tronfio senso estetico; fenomeni la cui indubbia esistenza deve irritare fino allo sconforto l’istinto a fornire spiegazioni proprio dello scienziato”.

Paradossalmente, Mann si serve proprio delle teorie elaborate agli albori del Novecento da due sommi scienziati per corroborare le sue tesi. Rovesciando i principi della fisica classica, Albert Einstein e Niels Bohr avevano infatti descritto l’universo proprio come una “danza di energia immateriale”. In un passo di “Esperienze occulte”, dopo aver dibattuto sul dualismo erroneamente esasperato tra spirito e natura, peraltro asse portante della sua costruzione filosofico-letteraria, viene menzionata la teoria della relatività quale primo tassello di un nuovo edificio della conoscenza umana, dove “il confine tra fisica matematica e metafisica è divenuto fluttuante”. Si tratta dell’assunto di fondo dei resoconti ispirati dal medium. Nel manifestarsi della telecinesi, fenomeno chiave delle performance di Willi, per Mann era incontestabile la commistione tra forze organiche e poteri ultrasensibilil, per la cui complessa esplorazione un valido aiuto poteva provenire dalla psicoanalisi di Freud (a cui dedicherà un saggio nel 1929), ossia dall’altra scoperta rivoluzionaria che aveva segnato il passaggio al ventesimo secolo.

“Ieri, nel corso della seconda seduta [6 gennaio 1923] mi venne lanciato in faccia un piccolo anello luminoso che poi dalle mie ginocchia cadde sul pavimento”; inoltre, “la prestazione più considerevole fu forse il successivo volo del cestino per la carta, provvisto di strisce fosforescenti, il quale in maniera ostentata fu alzato orizzontalmente e fatto scendere nell’acclamazione generale”; infine, non meno portentoso lo spettacolo della macchina da scrivere che “viene maneggiata a distanza in un incessante tramestio”: insomma, le capacità soprannaturali di Willi sembravano non avere limiti, e Mann ne è sempre più impressionato. Solo un inganno, si chiede? Non era tecnicamente possibile, risponde. Dunque, qual era la spiegazione? Quella proposta dal lucido cantore della saga familiare dei Buddenbrook rasenta il visionario: “Qui ha agito un’essenza occulta, dotata di vita autonoma che rifugge la luce e gli sguardi, creatrice di effetti fisici, un’entità che non possiede un’esistenza come noi l’intendiamo, ma discendente da una sfera in cui il mistero del vivere si mischia con i misteri iper o iposensibili, metapsichici e metafisici […]”. Pur escludendo recisamente di essere vittima di manipolazioni fraudolente, Mann si augura però di poter controllare personalmente almeno una volta il medium.

Il suo desiderio viene esaudito nella terza seduta (24 gennaio 1923). Adesso è lui a bloccare entrambi i polsi di Willi, mentre “le sue ginocchia erano custodite tra quelle del professor Zimmer”. Nonostante ciò, dopo una breve attesa riprendono a levitare campanella, cestino e tavolo. Ad essi si aggiunge, unica novità, un tamburello la cui membrana tremava emettendo strani suoni. Per Mann era la conferma definitiva delle sue congetture, e cioè che gli oggetti si muovessero su impulso di membra invisibili. Infatti, “solo membra costituite in modo preciso e corretto si fanno vedere, per la semplice ragione che ‘possono farsi vedere’; e immagino che la grande ritrosia davanti alla luce e agli sguardi solitamente insita in queste forme, è attribuibile a una loro intima consapevolezza di essere corpi innaturali e primitivi […], i quali corpi, a causa di una specie di pudore estetico, non vogliono mostrarsi a occhi umani”. Voglio chiarire, conclude, che “quanto alla realtà, all’occulta autenticità dei fenomeni per me non c’è ombra di dubbio. Io sono convinto che una scienza futura sarà grata a quelli che oggi hanno avuto mancanza di pregiudizio e il coraggio di affidarsi alla loro sensibilità”.

Quando Mann si congeda con queste righe da von Schrenck, la disoccupazione di massa e un’inflazione alle stelle stavano gettando nel panico la popolazione tedesca (il 1923 sarà definito un “anno inumano”). Pochi mesi prima, il 24 giugno 1922, il ministro degli Esteri Walther Rathenau era stato assassinato da due sicari dell’estrema destra, militanti nei Freikorps. Fu il primo segnale dell’instabilità e della violenza che avrebbero distrutto la Repubblica di Weimar. Per altro verso, il clima imperante di frustrazione morale e di disorientamento politico conferiva uno straordinario ascendente ai professionisti dell’occulto. È proprio in quel clima che matura la cultura esoterica dei vertici del nazionalsocialismo. In quegli anni il mentore di Hitler è Rudolf von Sebottendorf, studioso della cabala, di testi alchemici e rosacrociani, delle pratiche occultistiche dei dervisci. È lui l’animatore della “Thule Gesellschaft”, una società mistica fondata nel 1910 che si ispirava agli scritti teosofici di Guido von List e Lanz von Liebenfels, un coacervo di religioni orientali, teosofia, antisemitismo, mistificazione runica e paganesimo nordico. Gli iscritti alla “Thule” (la mitica Atlantide) si riunivano ogni sabato nei saloni dell’elegante Hotel Vier Jahrunderszeiten di Monaco: oltre a quello del futuro Führer, spiccavano i nomi di Rudolf Hess, Karl Haushofer, Alfred Rosenberg, Hans Frank, ossia l’élite del nazionalsocialismo.

Mann aveva sicuramente sentito parlare di Eusepia Palladino (1854-1918), la più celebre medium dell’epoca. Lo stesso von Schrenck era stato uno dei suoi studiosi, insieme a Pierre e Marie Curie, Henry Bergson e a uno stuolo di filosofi e scienziati. Cesare Lombroso in un primo momento aveva attribuito le sue eccezionali facoltà a un “carattere neuro-psicopatico”. In seguito divennne uno dei suoi più accaniti sostenitori, contribuendo notevolmente, grazie alla sua autorevolezza, al crescente prestigio della medium. Eusapia potè così esibirsi nelle principali città d’Europa, sempre acclamata dalla folla. Solo a Cambridge i controllori la accusarono di barare, ma senza poterlo dimostrare. Finché, sull’onda del successo, ebbe la malaugurata idea di fare una tournée negli Stati Uniti. Sul finire del 1909 sbarcò quindi a New York. Nella metropoli americana la sua carriera fu stroncata per sempre. Durante una seduta, una commissione della Columbia University, comprendente alcuni famosi prestigiatori, riuscì nell’impresa di svelare i suoi trucchi più ingegnosi (di cui qui non è possibile dare conto). Eppure Eusepia, come Willi, si faceva serrare gli arti superiori e inferiori. E, come Wlli, era una specialista nella levitazione di mobili e strumenti musicali. Ma forse l’anziana pugliese era meno brava del ragazzo bavarese che aveva stregato Thomas Mann.

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