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Ecco la strada pro investimenti che l’Europa deve imboccare. Il documento di Savona inviato a Bruxelles

“Una politeia, per un’Europa diversa, più forte e più equa”. E’ questo il titolo del documento firmato dal ministero degli Affari europei retto da Paolo Savona e inviato alla Commissione europea. Ecco la seconda parte (qui la prima parte) 2. L’architettura istituzionale europea: obiettivi e strumenti Dopo aver indicato nell’art. 2 i valori su cui…

2. L’architettura istituzionale europea: obiettivi e strumenti

Dopo aver indicato nell’art. 2 i valori su cui si fonda l’Unione, il Trattato sull’Unione Europea elenca nell’art. 3 gli obiettivi perseguiti con l’accordo:
➢ promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli senza frontiere interne;
➢ offrire ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia;
➢ adoperarsi per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi,
➢ su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale,
➢ e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente;
➢ promuovere il progresso scientifico ed economico;
➢ combattere l’esclusione sociale e le discriminazioni;
➢ promuovere la giustizia e la protezione sociale,
➢ la parità tra donne e uomini,
➢ la solidarietà tra le generazioni
➢ e la tutela dei diritti del minore,
➢ la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri;
➢ rispettare la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica;
➢ vigilare sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale.

Esiste un forte contrasto tra la giusta ambizione degli obiettivi espressi nel Trattato e gli strumenti messi a disposizione per realizzarli. Un’elementare principio di logica matematica indica che per il raggiungimento di ciascun obiettivo è necessario indicare uno strumento, meglio anche più d’uno per garantire il successo.

Il Trattato avverte questa lacuna e indica i modi in cui queste scelte vanno fatte; l’art. 3ter prevede le seguenti caratteristiche:
i. La delimitazione delle competenze si fonda sul principio di attribuzione. L’esercizio delle competenze dell’Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità.
ii. In virtù del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuiti dagli Stati membri (omissis).
iii. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri (omissis).
iv. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati.

La peculiarità dell’architettura istituzionale europea è non essere retta da uno Stato, che poco si raccorda con il riferimento frequente alle idee federaliste del Gruppo di intellettuali che ha dato vita al Manifesto di Ventotene. Si è reso interprete di questa situazione uno dei più attivi protagonisti della moneta unica, il Presidente della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi, che ha ripetutamente detto che l’architettura europea era affetta da “zoppia”, mancava di unione politica, della messa in comune delle sorti dei cittadini dell’Unione. Un principio elementare per la sopravvivenza legale, non solo economica, di una moneta comune.

Il Parlamento è privo di iniziativa legislativa e opera da co-legislatore del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo per le proposte avanzate dalla Commissione. Perciò la definizione dei modi/strumenti non tiene sempre conto dei problemi e delle urgenze nascenti dalle vicende interne ed esterne vissute dall’Unione, ma dagli equilibri politici vigenti nel momento in cui essi vengono decisi. Questo dà luogo a incertezze nell’efficacia della mediazione svolta dal Parlamento e dal Consiglio e, talvolta, all’insorgere di necessità che richiedono successive, ulteriori, mediazioni politiche, causando tempi decisionali non coincidenti con la moderna dinamica degli eventi.

Queste peculiarità hanno indotto e inducono a togliere discrezionalità alle scelte, tipiche della politica, stabilendo indicatori matematico-statistici. I casi tipici sono i parametri fissati nell’Addendum al Trattato di Maastricht per entrare nell’Eurosistema e i complessi calcoli che li accompagnano dopo l’introduzione dell’accordo di fiscal compact.

Gli ideatori dell’accordo di Maastricht sostennero che l’architettura decisa fosse il “campo di gioco” (playing field) per realizzare gli obiettivi di crescita reale e benessere sociale, come testimonia la popolarità iniziale dell’idea di un’Europa “patria comune”, dove l’euro aveva lo specifico compito di propiziarne l’avvento (la money first di Jenkins e Delors), in linea con le idee iniziali di progressiva integrazione di Monnet e Schuman.

Vi era coscienza delle profonde diversità allora esistenti tra i paesi firmatari, che si sono accresciute con l’ingresso dei paesi liberatisi dal vincolo sovietico, ma si riteneva che criteri così rigidi avrebbero costretto le economie dei paesi membri a convergere. Queste aspettative non si sono realizzate per alcuni paesi membri, nonostante la flessibilità nell’applicazione; la qualità e rigidità delle regole ha finito per minare gli obiettivi finali della convergenza economica complessiva, ostacolando l’unificazione politica.

Affinché questa unione si possa realizzare in futuro, è necessario educare i giovani, oltre che istruirli, dando vita a una scuola europea di ogni ordine e grado nella quale trovi spazio una comune cultura, mantenendo viva la coscienza dell’immenso patrimonio culturale di cui dispongono tutti i paesi membri, come stabilisce il Trattato.

Fatta l’Europa si devono fare gli europei.

Il perno essenziale è la scuola, come testimonia il successo presso i giovani, gli abitanti dell’Europa futura, del progetto Erasmus.

Poiché questa strada richiede tempo per raggiungere l’obiettivo dell’unificazione politica, per far funzionare l’accordo, in particolare rendere irreversibile l’euro, è necessaria una strategia alternativa (di second best) che, rinviando i pur necessari problemi riguardanti l’integrazione dell’architettura istituzionale dell’Unione, si deve concentrare nell’interpretazione degli accordi per attuare una politica monetaria e fiscale che consenta la convergenza delle condizioni di vita dei cittadini europei per rivitalizzare il consenso necessario per l’Unione Europea e l’euro.

Va riconosciuto che un qualche progresso nella dimensione strumentale dell’azione economica europea è stato registrato negli ultimi tempi, in particolare nell’azione della BCE e negli interventi di contrasto degli effetti delle crisi finanziarie, ma l’attivazione di nuovi strumenti è avvenuta con tempi inadeguati alle urgenze da fronteggiare ed è stata sottoposta ai vincoli tipici dell’azione comunitaria (le condizionalità) piuttosto che al raggiungimento degli obiettivi statuiti dagli accordi raggiunti a Maastricht nel 1992 e ribaditi nel 2007 nell’accordo di Lisbona.

Occorre soprattutto affrontare l’inversione della funzione di comportamento tipica della politica fiscale, quella di essere al servizio della crescita del reddito e dell’occupazione, mentre ha finito con l’essere subordinata all’istanza della stabilità monetaria; sono ancora pressanti le richieste affinché si approfondisca questo orientamento, come testimonia la richiesta di dare vita a un Ministro europeo per il coordinamento delle politiche fiscali nazionali in funzione del buon funzionamento dell’euro e come garanzia dell’attuazione delle riforme richieste.

Il dibattito sul tipo di politica che dovesse essere condotta nell’Unione si sviluppò fin dalla prima fase dell’avvio della moneta comune e prevalse la decisione che sarebbe dovuta essere orientata al governo dell’offerta. La gran parte degli economisti chiese che venisse integrata con interventi sulla domanda aggregata, ponendo una specifica attenzione per le aree arretrate, come richiedeva la natura di area monetaria non ottimale dell’eurozona, ossia di un’area caratterizzata da profonde diversità strutturali nella crescita della produttività. L’unica concessione a questa istanza fu il rilevante intervento a favore degli investimenti agricoli, che ha dato buoni frutti, e la politica di coesione, la cui attuazione tuttavia è sottoposta a vincoli burocratici che ne ostacolano l’efficacia; il suo peso è cresciuto sul bilancio europeo, anche se le risorse restano inadeguate agli obiettivi perseguiti e sarebbero necessarie ulteriori riforme operative. Ad esempio, occorrerebbe valutare la compatibilità degli interventi che conducono le imprese a delocalizzare; l’aiuto dovrebbe essere autorizzato solo se ha un effetto incentivante rispetto all’intera economia dell’UE, ossia se conduce a nuovi e diversi investimenti aggiuntivi rispetto a quelli spontanei del mercato.

Trascorso un quarto di secolo dall’avvio del mercato unico e quasi un quinto dall’introduzione dell’euro si può affermare che l’obiettivo della stabilità monetaria è stato approssimato, anche se in certi momenti con grande fatica; ma è altrettanto chiaro che la stabilità finanziaria è lungi dall’essere approssimata e sono stati sacrificati gli obiettivi di crescita reale, occupazione e benessere materiale e sociale. Sebbene le politiche a sostegno dell’euro abbiano avuto successo, ciò è avvenuto a scapito di una elevata percentuale di cittadini europei che mostrano d’aver perso fiducia nel futuro dell’alleanza europea.

I motivi del mancato raggiungimento di un saggio di crescita reale comparabile con quello del resto del mondo sono stati oggetto di continue dispute teoriche e pratiche che si collocano ai due estremi: quello dell’insufficiente applicazione della politica delle riforme (o dell’offerta) e quello dell’assenza di una politica della domanda. La prima interpretazione riceve più consensi da parte dei gruppi dirigenti.

La teoria economica e l’evidenza empirica non sono in condizione di dirimere la vertenza. Procedendo in direzione della prevalenza della politica dell’offerta l’UE non sarebbe in condizione di invertire la tendenza alla perdita di consenso presso gli elettori, rischiando di arrivare alle elezioni europee del 2019 nella situazione in cui si è trovata l’Italia con le elezioni del 4 marzo, inducendo i votanti a negare l’utilità di procedere verso l’unione politica.

Il Governo italiano chiede la costituzione di un Gruppo di alto livello che coinvolga gli Stati membri e la Commissione europea ponendosi una scadenza precisa per discutere tali questioni e pervenire alla definizione di un documento da presentare al prossimo Consiglio in merito ai passi da compiere per migliorare il benessere di tutti i cittadini europei. Non sarà certo la soluzione di tutti i problemi irrisolti, tuttavia aiuterà a persuadere l’opinione pubblica che le promesse di crescita formulate nel Rapporto Delors-Cecchini del 1988 saranno mantenute, in maniera simile alle prime conquiste dell’unificazione europea (CEE e CE).

In particolare, il Governo italiano richiede uno specifico impegno sugli investimenti capaci di creare economie esterne alle imprese e benessere sociale, come strumento indispensabile per una maggiore crescita del reddito e dell’occupazione.

(seconda parte)

(la prima parte si può leggere qui)

IL TESTO COMPLETO DEL DOCUMENTO FIRMATO DAL MINISTRO PAOLO SAVONA

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